Visioni

Non aver paura di mettersi in discussione

Enrico Maria Lodolini

La nostra non è una società che punta fortemente sui giovani e sull’innovazione. In agricoltura, e in particolare in olivicoltura, il retaggio culturale e la tradizione influiscono tantissimo.

Ho avuto modo negli anni di visitare diverse realtà olivicole in giro per il mondo e i Paesi di nuova olivicoltura (quelli, per intenderci, che non hanno una tradizione nella coltivazione dell’olivo e nel consumo di olio) hanno spesso applicato modelli colturali, livelli di meccanizzazione e gestioni tecniche dettate da scelte molto pragmatiche e legate ad una convenienza economica.

Tali scelte sono spesso effettuate da giovani imprenditori, o da imprenditori meno giovani ma che puntano su tecnici giovani e molto ben formati (che conoscono più lingue, che si aggiornano continuamente partecipando a convegni, seminari e incontri, e che propongono idee e innovazioni in azienda). Tutto ciò rientra in un’ottica di rischio d’impresa, che stimola sempre più a una crescita continua di tutto il sistema.

Da noi, in Italia, c’è ancora molta difficoltà a ragionare in questo modo. Spesso l’imprenditore (o il padre proprietario dell’azienda a cui il figlio dovrebbe subentrare) è anche colui che ha “la conoscenza” in mano, ed è poco disposto a raccogliere stimoli provenienti da persone più giovani.

Questo atteggiamento io lo vedo anche nell’insegnamento.
Con gli studenti si fa una grande fatica a stimolare un’attitudine all’osservazione critica dei problemi, a un’analisi sistemica dei fattori e alla formulazione di soluzioni innovative.

E’ anche normale, visto che per anni e anni si è abituati, sia in famiglia, sia a scuola, e in università, a imparare nozioni e non a risolvere problemi con le nozioni apprese.

Nei vari corsi o iniziative di tipo formativo o divulgativo, sono davvero molto poche le persone con una prospettiva da vero imprenditore. Ci si trova per la maggior parte dei casi di fronte a hobbisti che hanno sì l’interesse a imparare, migliorare, perfezionare, ma che difficilmente hanno la propensione o lo stimolo a innovare.

Quanto all’accoglienza di una olivicoltura ad alta densità, sicuramente si registra un interesse crescente, in generale, attorno all’alta densità in olivicoltura. I giovani sono più aperti a prendere in considerazione tale modello. Anche se spesso tale modello viene visto come l’unica alternativa per il rilancio del comparto, non è così. E’ solo che per ciascun modello vanno attuate scelte imprenditoriali e tecniche differenti. Forse anche da questo punto di vista, le giovani generazioni sono più propense ad accettare la coesistenza di più modelli.

Credo che lo sforzo di tutti in questo momento sia proprio quello di far capire che esistono diversi modelli di olivicoltura. Le “olivicolture” al plurale, appunto. Ciascuno si trova davanti alle proprie opportunità e problematiche, e con diversi livelli di densità di impianto abbinati ad opportuni livelli di assistenza tecnica e meccanizzazione. E’ un po’ il percorso a cui si è assistito in frutticoltura o in viticoltura.

E’ un processo inevitabile, se vogliamo “innovare” e “rinnovare” l’olivicoltura italiana rimanendo al passo nel panorama globale. I giovani, in tutto ciò, devono essere coinvolti in tale processo. Anzi, direi che dovrebbero essere messi al centro dell’attenzione e stimolati a proporre idee innovative.
Molto spesso ciò però non succede. I giovani sono quelli che hanno bisogno di fare la “gavetta” o seguire l’ennesimo corso di formazione prima di poter dire la loro!

Esiste un contrasto generazionale, in olivicoltura, come per gli altri settori; ed è tanto più forte quanto maggiore è il carattere di “familiarità” all’interno dell’azienda.
Per la maggior parte dei casi, nel nostro Paese tale contrasto è a favore delle generazioni più mature, ed è inevitabile che un adulto abbia un approccio più “prudente” rispetto alle novità.
Lo vediamo ormai tutti i giorni, così come spesso assistiamo a un atteggiamento più spregiudicato, e meno “prudente”, in grado di generare idee innovative e geniali, capaci di rivoluzionare un intero settore.

Lo dico da “ricercatore” che ha già passato i 40 e può definirsi “maturo”: noi dobbiamo trovare il modo di lasciare maggiore spazio di espressione ai giovani e di essere pronti a “sperimentare” le nuove soluzioni proposte senza cedere alla paura di mettersi in discussione.

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