Visioni

Non esiste la crisi dei valori ma il vuoto di valori

Alfonso Pascale

La parola “valore” deriva dal verbo tardo latino “valēre”. È un termine polisemico. Fin dall’antichità, tra i tanti significati, “valore” è anche il riferimento scelto consapevolmente per orientare la propria condotta e per dare un senso alle proprie azioni”. Per Diogene Laerzio è “ogni contributo a una vita conforme a ragione” (VII, 105) e per Cicerone “ciò che è conforme alla natura o ciò che è degno di scelta” (De finibus bonorum et malorum, III, 6,20).

Nella storia del pensiero sociologico e antropologico, emergono due distinte definizioni di “valore”. La prima attiene ad un oggetto significante e ricco di una carica affettiva, di variabile intensità, ma non necessariamente efficace dal punto di vista operativo (W. I. Thomas e F. Znaniecki). In opposizione al concetto psicologico di “atteggiamento”, per questi autori il “valore” indica qualunque oggetto rivesta un significato per i membri di un gruppo sociale. Secondo questa prospettiva «un genere alimentare, uno strumento, una moneta, un pezzo di poesia, una università, un mito, una teoria scientifica sono valori sociali». Per M. Weber il “valore” è, invece, il criterio simbolico di valutazione dell’azione sociale, ricco di carica ideale, orientativo dell’azione. In base a questa interpretazione, non c’è compatibilità tra valori diversi, ma conflittualità non mediabile. La connotazione etica è più o meno presente in quasi tutte le trattazioni contemporanee del “valore” inteso come bussola di orientamento nei comportamenti individuali e collettivi o come criterio di giudizio.

Quali sono le differenze tra valori e credenze? tra valori e ideologie? tra valori e ideali?

Le “credenze” non presentano aspetti pratici, non sono orientative, come i valori, per l’azione. Le “ideologie” hanno fini pratici, ma sono funzionali per un determinato assetto di potere. Gli “ideali”, da ultimo, pur essendo, come i “valori”, modelli di azione, presentano connotati di irraggiungibilità.

Inoltre, va precisato che i “valori” non si identificano con le norme specifiche di condotta. Queste stabiliscono nel dettaglio, come nel caso del codice penale, quanto sia proibito o comandato e la situazione relativa, mentre i valori si pongono a riferimento di un ventaglio più o meno ampio di norme, come il concetto di eguaglianza. Reciprocamente una norma può richiamarsi a più “valori”. In ogni caso i valori si definiscono in una prospettiva culturale e in una struttura sociale ben determinata.

I “valori” non vanno mitizzati. Scrive Franco Ferrarotti: «I valori sono semplicemente risposte a bisogni umani specifici. Quindi non sono fissi, dati una volta per tutte, perché l’uomo non ha (solo) natura, ma storia. La variabilità storica dei bisogni emergenti implica necessariamente la riformulazione costante dei valori, la loro de-dogmatizzazione, la loro fluidità”.

Quando si fa riferimento alla “crisi di valori” per spiegare un fenomeno sociale, spesso siamo dinanzi ad una mistificazione. Non esistono valori universali o meta-storici. I valori specifici di un determinato contesto storico e in una specifica struttura sociale possono sempre essere messi in discussione e svanire. E, nei cambiamenti sociali, quei valori tradizionali che criticamente abbandoniamo devono essere rielaborati o riformulati nell’ambito di processi culturali da progettare e realizzare.

Non devono, dunque, preoccuparci le “crisi di valori”, ma i “vuoti di valori”. Devono allertarci le pigrizie culturali che ci impediscono di creare razionalmente nuovi “valori” capaci di orientare la nostra azione sociale.

In questi vuoti pericolosi che si creano, s’innestano e s’allargano e facilmente conquistano una posizione di dominio incontrastato gli irrazionalismi, le soggettività capricciose e indisciplinate, le vaporose nebulosità nelle quali si perdono i contorni rigorosi delle idee e tutto sfuma nella gratuità pura, nei comportamenti privi di scopo, a volte nella violenza, fino a quella terroristica. Una violenza intesa come attività ludica, invenzione folle, ΰβρις di chi non conosce altro mezzo tecnico per purificare la società che il fuoco e anche la sospettosità, insicura e paranoide, di colui che fiuta nelle procedure impersonali del regime democratico la pura e semplice truffa.

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