La lezione di Amendola sull’asprezza della lotta politica nella Resistenza anche riguardo al problema di come fare la guerra. Un risvolto poco indagato dalla storiografia.
Nel 1965, nel quadro delle celebrazioni per il ventennale della Liberazione, fu organizzato un corso di lezioni sul tema “La Resistenza in Lombardia”, a cura del comitato per il 20° anniversario della Resistenza e dell’Istituto lombardo per la storia del movimento di liberazione in Italia.
Amendola vi tenne una lezione su “Mito e realtà della Liberazione”, che costituisce un esempio del carattere provocatorio e spregiudicato di molti suoi interventi e ragionamenti politici. Infatti, contestando l’impostazione celebrativa e agiografica del ventennale della Resistenza, egli non esita ad esprimere il dissenso verso un’interpretazione acritica della lotta di liberazione in Italia, che appiattisca le differenze e le divisioni tra le forze politiche che vi operarono, e ridimensioni i limiti e le carenze della vittoria del 1945.
A proposito delle polemiche sui problemi della guerra, Amendola disse:
“La lotta politica nella Resistenza fu vivacissima. A volte si guarda alla lotta politica nella Resistenza come se si fosse limitata alla polemica sulla monarchia. […] Ma io ritengo invece che acquistino maggiore interesse i temi della lotta politica legati ai problemi della guerra, perché la dialettica nei CLN non nasceva da posizioni ideologiche astratte, nasceva dal modo con cui rispondere ai problemi della guerra: come fare la guerra? C’era chi pensava che bisognasse fare il meno di guerra possibile, restare in posizione attesista, aspettando che arrivassero gli Alleati e svolgendo, intanto, una funzione di appoggio agli Alleati, di informazione, di collegamento, ecc. C’era chi pensava invece che bisognasse fare il più di guerra possibile, e non soltanto per un’astratta volontà di guerra, per volontà di affermazione nazionale, per desiderio di combattere i tedeschi, ma per necessità di vita, per salvare gli uomini, i beni, il paese. Per potersi salvare, per sfuggire ai bandi, alle razzie, alle deportazioni, per impedire il saccheggio del paese, bisognava combattere e, quindi, organizzarsi. Il combattimento era la condizione stessa della salvezza. Ora, su questi temi, attesismo o meno, si è sviluppata una battaglia politica, che ha avuto le sue vicende”.
Quando pensiamo agli ucraini che combattono per liberare il proprio paese, ricordiamo questa “lezione” di Amendola. Essi utilizzano le armi non già perché vogliono astrattamente la guerra, ma per salvare il proprio paese dalle grinfie di un tiranno che vuole asservirli.
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