Visioni

Per gli 80 anni di Antonio Saltini

Alfonso Pascale

Venerdì 17 marzo, il giornalista, agronomo e scrittore Antonio Saltini compie ottant’anni. Nell’augurargli lunga vita, vorrei sottolineare l’importanza del suo impegno culturale, fin dagli anni Settanta del secolo scorso, per smentire una tesi dominante tra gli economisti e i decisori politici e istituzionali: quella secondo la quale il problema alimentare sarebbe solo un problema redistributivo e il pianeta avrebbe risorse naturali sufficienti per affrontarlo.

Nel 1972 esce il Rapporto sui “limiti dello sviluppo” commissionato al Massachusetts Institute of Technology (MIT) dal Club di Roma, un gruppo variegato di scienziati ed esperti animato da Aurelio Peccei, dirigente prima alla Fiat e poi all’Olivetti. La ricerca è condotta in previsione della prima conferenza organizzata dall’Onu a Stoccolma dedicata al problema dell’ambiente. Mel mezzo dell’unica crisi dei mercati cerealicoli della seconda metà del secolo, lo studio produce un’enorme attenzione ma l’essenza del messaggio – la previsione che dopo l’anno 2000 l’umanità si sarebbe scontrata con la rarefazione delle risorse naturali – verrà sostanzialmente rigettata dalla cultura economica internazionale, assolutamente convinta che lo sviluppo tecnologico avrebbe sopperito a ogni rarefazione di risorse. Solo pochi analisti degli equilibri tra disponibilità e impiego di risorse naturali continueranno nei decenni successivi a ispirare il proprio lavoro di indagine e prospezione al “teorema del MIT”, come Lester Brown negli Stati Uniti e Saltini in Italia.

Il tema dell’equilibrio delle risorse alimentari è centrale in una parte considerevole della sterminata produzione scientifica e letteraria di Saltini. Si trovano riferimenti a tale problema in saggi, articoli, inchieste, romanzi scritti in periodi diversi anche a distanza di decenni.

Lo scrittore ricerca costantemente le relazioni tra l’entità delle popolazioni e le metodologie di sfruttamento delle risorse agrarie: suoli, acque, specie animali e vegetali. E da tale visuale, indaga a fondo ordinamenti annonari di Roma imperiale, società dell’Ancien Régime e di Roma pontificia, economie recenti nelle realtà più varie del nostro paese e negli angoli più disparati del pianeta.

“Nuova Terra Antica” – una fondazione promossa da Saltini e dal suo amico Eliseo Alimena – pubblicherà due volumi importanti che raccolgono i risultati delle inchieste. Il primo è del 2009: “Inviato speciale. Reportages dall’agricoltura del Globo”. Il volume raccoglie decine di articoli apparsi prevalentemente sulla rivista “Terra e Vita”.È il racconto di una serie di lunghi viaggi attraverso una varietà notevole di agricolture che la rivoluzione verde aveva già trasformato o che stava ancora plasmando. Le prime due tappe sono nelle grandi aziende del Middle West e dell’East Coast, dove è situata l’avanguardia dell’allevamento americano, e alla Fiera di Poznam, in Polonia. Segue il resoconto del tour nell’agricoltura inglese. Poi le ulteriori tappe in Germania, Svezia, Spagna, Olanda, Israele, Nuova Zelanda, Russia, Messico. Sono cinquanta articoli scritti come capitoli di un lungo romanzo, pieni di storie di vita di tanti protagonisti, di riferimenti letterari, di geopolitica, di informazioni scientifiche, agronomiche, tecniche, di storia sociale, di approfondimenti riguardanti i conflitti mondiali che insorgono per via del carattere strategico delle derrate agricole.

Il secondo volume è del 2013: “Il mosaico di Ausonia. Per la storia delle cento agricolture italiane. Dieci tessere esemplari”. In esso Saltini sintetizza la storia delle campagne e, in particolare, degli equilibri alimentari in Friuli, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Sicilia. Si tratta di dieci saggi, in parte inediti, scritti nell’arco di un trentennio.

Sui conflitti alimentari, lo scrittore ha prodotto anche un romanzo di fanta-economia: “2057 l’ultimo negoziato”. In esso l’autore immagina il futuro aggravarsi della penuria di cibo fino all’esplosione, per il controllo delle risorse mondiali, dello scontro termonucleare.

“L’ultimo negoziato” è un romanzo fantapolitico ambientato nel 2057 con 14 miliardi di persone sulla terra e campi insufficienti per produrre il pane necessario a sfamare tutti i componenti della famiglia umana. Gli Stati Uniti, chiusa ogni industria, sono divenuti una colonia agricola della Cina; il Giappone si è assicurata l’egemonia sulla Russia per disporre del frumento della Steppa; la Germania, ultima nazione industriale d’Europa, è senza grano; la Francia della provincia contadina e cattolica vuole separarsi da Parigi, una megalopoli nera e musulmana, per vendere il proprio frumento su un mercato disposto a pagarlo in tonnellate d’oro. S’impone, per destrezza e disinvoltura, un commerciante italiano, il successore dei grandi mercanti di frumento di tutti i tempi, inafferrabile manipolatore di transazioni borsistiche, impenitente dominatore di alcove, che negozia, su tutti i fronti del commercio e della diplomazia, le ultime partite di grano che le potenze che si preparano alla guerra si premurano di accaparrare. I guadagni che attende dall’ultimo negoziato sono ogni giorno più incredibili, ma non sa trattenersi e limitarli, come gli suggerisce il più fedele degli amici, un autorevole agente dello spionaggio americano, e la sua avventura si conclude appunto nella guerra nucleare.

Ma per chi non conosce Saltini, ecco una breve presentazione. È nato a Brioni Maggiore (Pola) da una famiglia carpigiana. Nel 1962, terminato il liceo classico, collabora per quattro anni con lo zio, don Zeno – sì, proprio quello che inseguiva l’utopia di Nomadelfia! – condividendo “gli insuccessi, nell’età straordinaria del Concilio Vaticano II, di un prete e dei suoi sogni”. Nel 1967 si laurea in giurisprudenza a Roma e, nel 1972, in scienze agrarie a Milano. E dopo gli studi universitari, collabora per un breve periodo con il “Giornale di agricoltura”, la più antica testata nazionale del settore.

È durante questo noviziato giornalistico che Saltini matura la decisione di approfondire i dilemmi posti dai rapporti del MIT che aveva letto studiando scienze agrarie. Gli acquisti di grano effettuati dall’Unione Sovietica per assicurare la tranquillità sociale fanno lievitare i prezzi dei cereali. E a Napoli tre forni vengono saccheggiati dalla folla in rivolta per il timore della carestia. Il “Giornale di agricoltura” invia il neo redattore a rendersi conto di persona e nascono i primi articoli sul tema che lo appassionerà per sempre. Da allora si procura la pubblicistica sulla crisi, i suoi precedenti, le conseguenze prevedibili.

Nel 1976 entra nella redazione di “Terra e vita”, il settimanale rilevato da Rizzoli da Luigi Perdisa, già preside della prestigiosa Facoltà di agraria del capoluogo felsineo, proteso dopo il pensionamento a potenziare l’Edagricole, la casa editrice che per numero di riviste e di volumi in catalogo vanta il titolo di prima editrice specializzata in agricoltura del mondo. Saltini è direttore del mensile tecnico-professionale più prestigioso del gruppo, “Genio rurale”. È vicedirettore di “Terra e vita”, diretto personalmente da Perdisa.

Per dodici anni, Saltini è l’interlocutore privilegiato dei titolari del “potere agricolo”. Le sue interviste e i suoi articoli diventano, su suggerimento di Perdisa, volumi che vengono diffusi capillarmente tra gli addetti ai lavori. Nascono così “Un progetto per l’agricoltura. Interviste di Arcangelo Lobianco”, “I contadini verso l’impresa. Interviste a Giuseppe Avolio” e “Processo all’agricoltura”, una raccolta di articoli che disegnano, in modo impietoso, il volto reale dell’agricoltura italiana, così come era uscita dalle trasformazioni virulente dell’ultimo quindicennio. Il volume è adottato quasi come manifesto da Giovanni Marcora, che firma la prefazione alla seconda edizione.

Operare a fianco di Perdisa consente a Saltini di tradurre le sue ricerche sulle fondamenta scientifiche dell’agricoltura moderna, esaminando le opere dei grandi agronomi del passato, in una serie di volumi che culminano nella “Storia delle scienze agrarie”. Un’opera che viene salutata, nell’autorevole prefazione di Ludovico Geymonat, nume dell’epistemologia europea, come l’ingresso dell’agronomia nell’alveo degli studi storici della scienza. Scrive infatti l’illustre studioso: “[…] il volume di Saltini è forse ancora più utile per il filosofo che non per lo scienziato militante. Esso ci dimostra infatti l’esistenza, in ogni epoca della storia e quindi anche nella nostra, di un «pensiero agronomico» la cui importanza non può venire sottovalutata. Anche la migliore storiografia ha purtroppo il difetto di lasciare in ombra questo lato del pensiero scientifico, che sembra possedere -almeno a un primo esame- minore incisività di quelli connessi alle grandi svolte delle cosiddette scienze fondamentali. C’è da augurarsi che l’intelligente sintesi storica operata da Saltini valga a farci riflettere sui pericoli di una accettazione passiva di questo stato di cose, e stimoli i futuri storici e filosofi della scienza a cercar di colmare l’insidiosa lacuna”.

La morte dell’editore bolognese apre un confuso scontro per il controllo della società editrice, che Saltini lascia nel 1988, proponendosi come curatore free lance di saggi e volumi commemorativi per organismi agricoli pubblici e privati.

La liquidazione della Federconsorzi induce la direzione di “Terra e vita” a proporgli di riprendere la collaborazione per illustrare la vicenda. Un impegno che Saltini affronta, ma che deve interrompere quando la direzione della rivista decide di non approfondire più quella storia. Il giornalista non si arrende e continua ad indagare sulla vicenda, ricostruendo la storia del colosso economico dell’agricoltura italiana dalle origini fino al crack, l’inchiesta parlamentare, i processi e il silenzio che ha fatto seguito ai pronunciamenti del Parlamento e della magistratura. Nessun editore ha mostrato interesse alla pubblicazione dell’inchiesta. Ma essa è reperibile in rete, come d’altronde altre opere di Saltini.

Sul tema del rapporto tra popolazione, risorse naturali e tecnologie, Saltini torna a riflettere nel 2012 con la relazione “Scienza e storia per la comprensione del futuro”, presentata in un incontro promosso dalla Fondazione Mach – Istituto agronomico di San Michele all’Adige. Egli scrive: “Credo che i connotati della crisi mondiale quale crisi di disponibilità di risorse finite sia identificabile in un fenomeno che nessun economista aveva immaginato: la sostanziale fungibilità dell’energia e degli alimenti. Gli economisti non conoscono la storia, ignorano che per millenni i contadini dell’Europa e dell’Asia hanno rinunciato ad un terzo della produzione delle terre arabili perché su quel terzo doveva essere prodotta avena, il carburante per le macchine da guerra del tempo, i cavalli. Quando il cavallo fu sostituito dal carro armato, che consumava benzina, l’agricoltura europea ‘liberò’ dalle colture di ‘carburante’ milioni di ettari, una circostanza determinante nel contenimento del prezzo degli alimenti che ha costituito connotato essenziale della civiltà industriale del Ventesimo secolo. Nessun economista avrebbe potuto prevedere, perciò, il fenomeno simmetrico, che si è imposto, inesorabilmente, quando il dollaro americano, svalutato da quarant’anni di imprese militari pagate emettendo bonds con l’effige di George Washington, ha perduto l’antico potere di scambio con l’oro giallo e quello nero”.

Negli anni successivi, le turbolenze dei mercati mondiali delle produzioni agricole si fanno sempre più intense. E Saltini riprende il tema delle conoscenze e previsioni sul futuro delle relazioni tra l’umanità e le risorse in un editoriale degli ultimi numeri della rivista che egli dirige, “I tempi della terra”. È il numero 11 del gennaio 2022, che contiene anche un’analisi molto puntuale dell’economista agrario Dario Casati sul tema della produzione e degli scambi internazionali delle fondamentali derrate alimentari. Ma è come gridare nel deserto. Pochissimi sembrano accorgersi del disastro che sta per abbattersi alle porte dell’Europa.

Un mese dopo la Russia invade l’Ucraina e l’ordine mondiale ne viene sconvolto. Saltini scrive articoli infuocati – ospitati dalla rivista “Olio Officina” – su Putin, sulla sua nefasta ideologia, sul pericolo che l’aggressione russa rappresenta per l’Occidente e per la democrazia.

L’augurio che formulo ad Antonio è anche un invito, una richiesta accorata: continuare a scrivere su questi argomenti. Ne abbiamo bisogno per capire quello che sta succedendo e soprattutto per aprire strade nuove, ora che al vecchio ordine mondiale dovrà subentrare uno nuovo. Egli aveva anticipato trent’anni fa quello che poi è accaduto. Ora abbiamo bisogno del suo afflato profetico per districarci in un tempo molto difficile.

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