La riforma del Codice Antimafia approvata definitivamente dalla Camera dei Deputati ha eliminato dall’elenco dei possibili gestori di beni confiscati gli operatori dell’agricoltura sociale che non hanno il requisito di cooperativa a mutualità prevalente senza fine di lucro. E’ un peccato che il Parlamento abbia dato ascolto alle organizzazioni che finora hanno gestito i beni confiscati e che non vogliono ampliare la gamma dei soggetti gestori a singoli agricoltori o a società agricole impegnati a svolgere attività d’interesse generale.
L’inserimento degli “operatori dell’agricoltura sociale riconosciuti” tra i possibili gestori dei beni confiscati non era affatto una scelta casuale del legislatore ma rispondeva ad una logica del tutto coerente con l’impianto della legge n. 141/2015 sull’agricoltura sociale. Tale provvedimento – come recita l’art. 1 – promuove una serie di attività “allo scopo di facilitare l’accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate”.
Pertanto, il riconoscimento degli operatori dell’agricoltura sociale viene effettuato sulla base di una verifica delle attività svolte al fine di rilevare che queste siano orientate all’interesse generale e non a scopi puramente privatistici. È l’attività sociale, socio-sanitaria ed educativa, svolta dall’imprenditore agricolo e verificata dall’amministrazione pubblica, che qualifica l’impresa agricola come soggetto idoneo ad essere eventuale gestore di beni pubblici, di cui tutta la comunità torna a beneficiare in maniera diretta e indiretta.
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