Visioni

Rimboccarsi le maniche

Daniela Marcheschi

Morte degli intellettuali o riforma della cultura?

Come intellettuali, dovremmo più spesso pensare a quell’insegna di libertà che è il Manifesto agli intellettuali redatto da Carlo Antoni, connesso alla costituzione dell’Associazione italiana per la Libertà della Cultura. La data è quella del 1 dicembre 1951. Vi leggiamo:

Noi riteniamo che il mondo moderno possa proseguire nel suo avanzamento solamente in virtù di quel principio di libertà della coscienza, del pensiero, dell’espressione, che si è faticosamente conquistato nei passati secoli.
Riteniamo che, in quanto uomini e cittadini, anche coloro che professano le arti e le scienze siano tenuti ad impegnarsi nella vita politica e civile, ma che al di fuori delle tendenze e degli ideali politici e delle preferenze per l’una o per l’altra forma di ordinamento sociale e di struttura economica, sia loro dovere custodire e difendere la propria indipendenza, e che gravissima e senza perdono sia la loro responsabilità ove rinuncino a questa difesa.
E riteniamo infine che, nell’attuale periodo storico che ha visto e vede tanti sistematici attentati alla vita dell’arte e del pensiero da parte dei potenti del giorno, i liberi artisti e scienziati siano tenuti a prestarsi reciproca solidarietà e a confortarsi nel pericolo.

76 le firme, fra cui Arrigo Benedetti, Vitaliano Brancati, Piero Calamandrei, Nicola Chiaromonte, Eugenio Montale, Mario Pannunzio, Ferruccio Parri, Ernesto Rossi, Nina Ruffini, Gaetano Salvemini, Ignazio Silone, Mario Soldati.

Oggi si parla di morte o crisi dell’intellettuale; e gli intellettuali dovrebbero invece solo rimboccarsi le maniche: c’è tanto da fare, tanto da lavorare. In questo paese, dove anche la grande borghesia ragiona da piccola borghesia, occorre una vera riforma della cultura, e che questa faccia i conti con l’etica, appunto. Quegli scrittori, quei giornalisti, quegli intellettuali l’avevano già capito nel 1951.

L’Italia, terra delle occasioni perse, dei problemi incancreniti. Per un periodo si è asservita l’etica all’ideologia, considerata salvifica di per sé: la crisi dei partiti nasce anche da questo errore della cultura. Poi si sono asserviti i propri ideali personali al denaro e al potere: e abbiamo visto/vediamo spesso quanti intellettuali hanno gestito/gestiscono spazi pubblici o istituzionali di qualsiasi tipo nello stesso modo clientelare in cui vari politici e amministratori hanno gestito la cosa pubblica.

Perché? Perché spesso chi la fa, non crede nella cultura, non crede nei suoi valori di riscatto civile e morale e la ritiene qualcosa di inferiore: prima alla politica, ora all’economia. Soprattutto, non ne è cambiato.

Sì, questi intellettuali sono davvero morti. Lo riconoscano e si definiscano in altro modo.

Questa “Incursione” è stata anche pubblicata, in contemporanea, su Corso Italia 7, il supplemento culturale di Olio Officina Magazine

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