Visioni

Servizio

Alfonso Pascale

Cosa significa la parola “servizio”?

Una prima derivazione connette il termine “servizio” al greco “seirà” (corda, fune) – a sua volta intrecciato con il verbo “eiro” (legare, collegare) – e con il latino “sero” (collegare). Il servo sarebbe, così, “colui che è legato”, sia fisicamente sia socialmente, a un padrone.

Ma questa origine etimologica non è attendibile, benché abbia in passato influenzato la nostra società. Più accreditata è la derivazione dal verbo latino “servāre” (guardare, custodire, sorvegliare). Il servo sarebbe quindi un “custode”, una “guardia”.

Più feconda appare, nella parola “servizio”, la presenza della radice indoeuropea “swer”, dalla quale deriva il greco “eros”, che in Omero significa sia “protettore del popolo” sia “uomo abile al combattimento”. In tal caso il servo è colui che tiene costantemente gli occhi su qualcuno per essere pronto ai suoi desideri e alle sue aspettative.

Ma la parola “servizio” (e l’altra ad essa legata, “servo”) porta con sé la ricchezza del termine ebraico “ābad” che, utilizzato prevalentemente in ambito agricolo, significa letteralmente “servire”, “coltivare”. In ambito biblico, indica anche il servizio che il popolo è chiamato a rendere a Dio come conseguenza della liberazione dall’Egitto e del patto stipulato al Sinai.

Sono stati i filosofi greci, ad eccezione di Aristotele, i primi a considerare la parola “servizio” come una prestazione d’opera dovuta da alcuni ad altri per la superiorità razziale di questi ultimi. Tale concezione divenne prassi diffusa nell’antica Roma, grazie anche alle continue conquiste ed espansioni. Tanto che oltre un terzo della popolazione romana era composta da schiavi e da servi. Uomini senza diritti né status sociale.

Oggi la parola “servizio” è tornata in auge ma è, in parte, circondata da una buona dose di stucchevole retorica: si mette in mostra il proprio “servizio” e, per questo, si pretendono riconoscimenti.

C’è un solo modo per verificare l’autenticità di un “ābad” (servizio): servire gli altri senza servirsi degli altri e senza farsi servire. Perché non può esistere solo la dimensione dell’utilità (dell’”uti”) senza quella della gratuità (del “frui”). Nella “civitas hominis”, Agostino mette in relazione “otium” e “negotium”, “frui” e “uti”. Dalla loro armonica interdipendenza nasce la personalità completa.

Il “servizio” presuppone dunque accoglienza, apertura all’altro, disponibilità, capacità di ascolto. Per questo “ābad” significa sia “servire” che “coltivare”. Per coltivare è necessario prima poggiare a terra l’orecchio quasi a cogliere il pulsare profondo del sottosuolo dove oscuramente germina la vita. È questo l’atteggiamento della persona umile. L’umiltà ha a che fare con la terra, con l’”humus”, con l’“ābad”.

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