Visioni

Sovranisti o europeisti? Quel che ci attende in futuro

Alfonso Pascale

I sovranisti criticano l’integrazione europea perché la considerano uno strumento volto a neutralizzare la capacità protettiva degli Stati. Che tale capacità degli Stati si sia indebolita è un dato di fatto che sta sotto gli occhi di tutti: siamo, infatti, dinanzi ad una polarizzazione sociale, che contrappone gli “avvantaggiati” e gli “svantaggiati” dell’apertura economica.

Per ovviare allo svantaggio, il sovranismo propone di ridurre l’integrazione economica, di rimpatriare competenze, di restituire agli Stati il controllo (se non la proprietà) di attività industriali e finanziarie. In poche parole, propone il protezionismo statale.

Per confutare questi argomenti, gli europeisti non si possono limitare a dire che il protezionismo statale ci renderebbe tutti più poveri. Ci sono molti cittadini che votano i partiti sovranisti perché sono interessati più a soluzioni stataliste che a visioni contrarie al mercato. La risposta degli europeisti ai timori di questi elettori deve, pertanto, necessariamente affrontare il tema del governo dell’apertura dei mercati per prevenire la polarizzazione sociale. Una questione che richiede la riforma del Trattato per rendere efficienti le istituzioni europee: un parlamento formato da due camere, quella dei popoli e quella degli stati, che esercita la funzione legislativa e di bilancio in modo esclusivo; dà o revoca la ‘fiducia’ al governo dell’Unione.

I sovranisti giustificano il ritorno alle sovranità nazionali con la necessità di restituire ai “popoli” la loro capacità di difendere l’identità culturale, etnica e perfino religiosa. Per i sovranisti, l’Ue celebra il cittadino astratto ma non la sua comunità concreta. L’Ue viene vista come un progetto cosmopolita fatto di individui “che stanno da nessuna parte (nowhere)”, mentre il popolo è fatto di gente che “sta da qualche parte (somewhere)”. Di qui, il rifiuto radicale dell’immigrazione. A Budapest o a Varsavia, in nome della difesa delle tradizioni costituzionali nazionali, viene ridimensionata l’indipendenza del potere giudiziario o l’autonomia del sistema dei media dal potere politico.

Per confutare queste tesi, gli europeisti non possono solo dire che il populismo ci renderebbe tutti meno liberi e che l’immigrazione potrebbe costituire una risorsa. I cittadini che votano i partiti sovranisti temono che la costruzione di un super-stato europeo sostituisca gli attuali stati, i quali oggi garantiscono i diritti conquistati nei decenni scorsi. La risposta degli europeisti a queste legittime preoccupazioni deve necessariamente affrontare il tema del riconoscimento delle identità nazionali. Una questione che richiede una riforma del Trattato. Si tratta, infatti, di confermare la sovranità degli stati nazionali su gran parte delle competenze che riguardano la vita dei cittadini (anche restituendo agli stati competenze impropriamente gestire dall’Ue) e di definire con precisione le poche competenze essenziali che effettivamente necessitano di essere svolte in una dimensione sovranazionale (difesa, sicurezza, migrazioni, commercio internazionale, sistema della conoscenza e dell’innovazione, cambiamenti climatici). Va, inoltre, affermata la centralità del Parlamento europeo nella cura, salvaguardia e difesa dei principi di democrazia e dello Stato di diritto in tutte le articolazioni dell’Unione e negli Stati membri. La democratizzazione dell’Unione non va fatta pensando di ripetere l’esperienza degli Stati nazionali. Dobbiamo abituarci a ragionare su forme di democrazia rappresentativa senza Stato perché una di queste incarnerà l’Unione europea del futuro.

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