In sordina, senza grandi strombazzamenti mediatici, si è tenuta ultimamente a Molfetta la prima Assemblea nazionale delle Cooperative olivicole italiane, aderenti all’Alleanza delle cooperative. All’iniziativa sono intervenuti anche i rappresentanti di Aipo, Cno, Unapol, Unasco. L’evento assume un valore altamente simbolico nell’ottica di dare una svolta al settore, che non riesce a uscire da una situazione di difficoltà. Un punto di partenza, un nuovo inizio, insomma, per provare a cancellare anche vecchie contrapposizioni tra Cooperazione e Unioni di prodotto, nell’ottica dell’indispensabile rilancio dell’olivicoltura italiana.
Per troppo tempo l’olivicoltura italiana ha vissuto di una rendita d’immagine, che ha fatto sottovalutare problematiche di mercato che, tra l’altro, vedevano scendere in campo agguerriti e bravi concorrenti. Per troppo tempo ci siamo nascosti dietro il dito della qualità tutta italiana, dividendoci su questioni strumentali più finalizzate a “apparire” sulla stampa, che a “essere” soggetti promotori dell’indispensabile adeguamento ai tempi, leggi mercati.
Invece di fare unità, abbiamo lanciato fulmini e saette tra i componenti della filiera con l’unico risultato di creare mondi separati, tra loro in contrapposizione. Invece di siglare un “patto di lealtà” tra tutta la filiera contro le sofisticazioni, per mettere da parte gli imbroglioni, abbiamo dato l’idea che intere categorie fossero dedite alla concorrenza sleale. Siamo arrivati al punto che paesi notoriamente “pataccari”, Cina ad esempio, hanno chiuso le frontiere all’olio italiano. I dati ufficiali dimostrano che le sofisticazioni in Italia sono nella media degli altri settori, in alcuni casi anche più bassi. La verità che i bassi prezzi di mercato sono riconducibili, in primo luogo, al fatto che l’olio di oliva è considerato una commodity indifferenziata. C’è poi il fatto che i nostri sistemi di produzione, difronte per esempio ai concorrenti spagnoli, sono a dir poco obsoleti. E, qui, la cooperazione nelle sue varie forme – cooperazione associata dei terreni, cooperazione di servizio – può fare molto.
Ma al di là di tutto, serve investire in comunicazione, con progetti mirati e condivisi. I consumatori non hanno un livello d’informazione adeguato sulle differenze organolettiche tra i diversi tipi di olio: extravergine, vergine, olio di oliva. Alla fine il parametro che condiziona maggiormente la scelta del consumatore è il prezzo.
In questi giorni, dopo anni di dibattito, pare che possa arrivare in porto il decreto sull’Alta Qualità per il settore olio. Ci auguriamo che talune barricate della burocrazia delle periferie, più di principio che di sostanza, ispirate alla tutela ad oltranza del proprio orticello di agevolazioni e di potere locale, e meno alla difesa dell’utilità generale del sistema Paese, vengano bloccate dal ministro De Girolamo..
C’è però bisogno, come ampiamente dibattuto nel corso dell’Assemblea delle cooperative a Molfetta di “costruire grandi OP con piena disponibilità del prodotto con una struttura unitaria associativa a livello nazionale.” Da qui, a mio avviso, passa la grande scommessa per la riproposizione, a tutto tondo, dell’olivicoltura italiana. Non è cosa semplice, ma possibile. Bisogna dotarsi di buona volontà e lasciarsi dietro il passato: bello o brutto che sia stato.
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