Economia

Come mai nessuno guadagna con l’olio?

La bassa redditività del settore oleario appartiene al mito o alla realtà? Il direttore generale di “Mercacei”, il più importante gruppo editoriale specializzato nell’olio da olive , intervenendo al Simei ha tracciato una lucida analisi di quanto avviene in Spagna. E’ l’export l’unica via di fuga alla ricerca di una adeguata remuneratività

Juan A. Peñamil

Come mai nessuno guadagna con l’olio?

Nel 2010, il precedente Ministero dell’ambiente, agricoltura e pesca elaborò uno studio sulla formazione dei prezzi dell’olio d’oliva. Nella campagna olearia oggetto dello studio (2009/10) – secondo il documento – il beneficio per la retribuzione di ogni livello della filiera rappresenta il 2,5% sul prezzo di vendita al pubblico dell’extra vergine e scende a 0,5% per l’olio d’oliva. Questo dato si traduce in un prezzo dell’olio extra vergine di oliva al consumatore finale pari a 1,56 volte di quello percepito dall’agricoltore e di 1,43 volte nel caso invece dell’olio d’oliva, includendo con ciò le fasi di elaborazione, imbottigliamento e distribuzione.

Inoltre, i costi di produzione della materia prima sono quelli che incidono maggiormente, rappresentando il 68% del prezzo di vendita al pubblico (IVA esclusa) per l’extra vergine e il 75% per l’olio d’oliva. Rigaurdo alla produzione agricola, la mano d’opera incide per il 27% del totale, per entrambe le categorie. Il mercato spagnolo applica un prezzo molto simile alle due categorie di olio, valorizzando molto poco la qualità. Il prezzo di vendita dell’extra vergine è solo superiore del 10% all’olio d’oliva.

Studio di Mercacei Magazine

Su Mercacei Magazine abbiamo trattato il tema della bassa reddiditività del settore, con un ampio reportage nel quale abbiamo chiesto l’opinione di tutti gli attori del settore stesso: piccoli e grandi produttori, imbottigliatori, commercializzatori, industriali, oleifici privati e coooperativi, rappresentanti del Ministero dell’agricoltura, alimentazione e ambiente (Magrama), organizzazioni agricole, distributori …

Le principali conclusioni evidenziano che, dopo un’epoca d’oro di grande abbondanza, tra il 1992 e il 2005, la redditività dell’oliveto iniziò a diminuire, fino ad arrivare alla situazione attuale di una redditività quasi nulla. Le maggiori perdite si producono normalmente in oliveti di tipo tradizionale e/o con scarsa meccanizzazione, le cui dimensioni richiedono l’impiego di mano d’opera esterna.

Se indaghiamo quali siano le cause che spiegano l’attuale situazione dei prezzi bassi e lo scarso margine di redditività del settore, il segmento imbottigliatori trova tre ragioni: l’aspettativa di un’elevata produzione in Spagna e nel resto del mondo, il significativo calo del consumo –specialmente in Spagna, Italia, Grecia e Portogallo, paesi forti in termini di produzione – e la crisi economica mondiale, che limita il potere d’acquisto del consumatore.

Le cooperative sostengono che la redditività del settore è caduta radicalmente in tutta la filiera. I produttori si stanno mantenendo grazie agli aiuti della PAC, mentre gli oleifici, imbottigliatori e distributori ottengono scarsi benefici a causa del ribasso dei prezzi degli ultimi anni. Una situazione che obbedisce, secondo le cooperative, al considerevole aumento della produzione e allo squilibrio del settore agroalimentare, oltre che alla sparizione dei meccanismi di gestione del mercato.

Da parte sua, la distribuzione sottolinea la necessità di trovare un mercato per la produzione spagnola, aumentata di oltre il 50% nell’ultimo decennio, considerando che il mercato nazionale non è in grado di assorbire un volume così grande.

Per alcuni produttori, l’attuale situazione è segnata dalla concentrazione dell’offerta e dalla decapitalizzazione, con misure rivolte alla mera sopravvivenza di molte imprese del settore. Nell’opinione dei produttori, manca un progetto chiaro e ambizioso, teso a migliorare il consumo tanto a livello nazionale, quanto a livello internazionale; una visione strategica nazionale per un prodotto tanto importante come l’olio da olive, così come la capacità di analisi per definire le priorità e trarre le conclusioni operative in modo da prendere le decisioni più adeguate.

Il segmento dei produttori si rivela particolarmente critico con l’Amministrazione pubblica e i rappresentanti della politica, i quali dimostrano, nella maggioranza dei casi, una ignoranza assoluta del prodotto. Stando alla loro opinione, è necessario promuovere i vantaggi e la bontà nutrizionale e salutistica dell’extra vergine, oltre poi ad adattarsi alle tendenze di gusto del consumatore.

I produttori che puntano prima di tutto sulla qualità, considerano che il problema non sia solo derivante dalla scarsa redditività, ma dal costo che varia a seconda del tipo di olio che si pensa di ottenere. Varia, il costo, in base al fatto che si pretenda di ottenere un extra vergine d’alta gamma (fascia premium) oppure un prodotto diverso.

Il principale problema che ha dato origine all’attuale situazione di prezzi bassi, oltre che di scarsi margini di redditività, è la banalizzazione del prodotto. Il mercato spagnolo è molto competitivo, e molte volte utilizza l’olio d’oliva come prodotto “civetta”, particolarmente attraente quando la domanda è debilitata per via della congiuntura economica, al contrario di ciò che succede in molti altri paesi, dove invece l’extra vergine viene considerato come un prodotto premium. Da qui l’importanza di dare valore all’olio da olive e convertirlo in un prodotto da domanda e non da offerta – qualcosa francamente difficile da conseguire, trattandosi di un prodotto di largo consumo – tentando così di raggiungere un accordo tra tutti gli attori della filiera per mettere fine a questa situazione

A ciò si aggiunga il fatto che il 60% dell’olio da olive commercializzato in Spagna ha l’etichetta del distributore (marca bianca, private label), una situazione che ha provocato una feroce concorrenza nel segmento degli imbottigliatori e lasciato uno spazio di azione molto limitato alle etichette proprie dei produttori.

Una situazione che fa sì che l’esportazione funzioni il più delle volte come unica via di fuga, alla ricerca della redditività. Al tempo stesso, l’export rappresenta la principale risorsa per dare risalto alle produzioni d’eccellenza.

Le cooperative ci ricordano che il settore dell’olio da olive in Spagna si sia convertito in un business fondato sui volumi, con scarsi margini, che spinge a cercare nei mercati esteri la redditività che non trova nel mercato interno, adottando una strategia commerciale orientata all’internazionalizzazione. Da qui il forte incremento delle esportazioni, sia di olio sfuso, sia di olio imbottigliato, che è peraltro un ambito verso il quale il mercato olivicolo spagnolo sta destinando oltre il 60% della propria produzione.

Motivi che spiegano la sopravvivenza dell’industria

In Spagna, primo produttore mondiale con 2,5 milioni di ettari di superficie investita a oliveto, il settore olivicolo genera un volume d’affari stimato in più di 2.100 milioni di euro e un impiego di mano d’opera che supera i 46 milioni di giornate lavorative per campagna, settore sul quale vivono più di 400.000 famiglie e 2.500 aziende tra cooperative, oleifici, imbottigliatori e il resto degli attori che operano nel settore. Se i margini di redditività sono realmente tanto esigui, com’è possibile che possa sussistere un’industria di simili dimensioni e di così grande importanza nel tessuto economico del Paese?

La risposta a tale questione pare essere unanime: gli aiuti della PAC in Spagna sono decisivi per la sopravvivenza di tutte le aziende olivicole, fatti salvi alcuni oliveti intensivi e superintensivi con alta produttività, che risultano redditizi anche in anni di prezzi all’origine bassi. Buona parte degli oliveti che reggono l’economia familiare sarebbero vocati alla sparizione, senza l’aiuto della PAC.

A margine di tutto questo, conviene anche ricordare che gran parte di queste 400.000 famiglie hanno altre entrate, al di fuori dell’olivicoltura. Di fatto, l’olivo è la coltivazione con meno agricoltori professionisti di tutta la Spagna. Una circostanza che spiega in parte il motivo del perché si mantenga l’oliveto nonostante questo sia in perdita continua.

I grandi gruppi di imbottigliatori che operano nel settore aggiungono altri fattori che spiegano la sopravvivenza dell’industria dell’olivo in Spagna. Oltre agli aiuti alla produzione, e le sovvenzioni destinate agli investimenti, si segnala l’elevato livello di efficienza della produzione spagnola, con il know-how che colloca la Spagna all’avanguardia in termini di innovazione, una coltura che si è perfettamente adattata al clima del centro e del sud della Spagna, e dunque una coltura permanente che non offre alternative migliori tali da renderne difficile la sostituzione.

Possibili soluzioni

Quanto alle soluzioni, i produttori sembrano avere una risposta chiara: ci vogliono tempo e cultura. C’è innanzitutto l’esigenza di informare e di provvedere a realizzare una specifica comunicazione rivolta al consumatore, il quale non sa distinguere tra le diverse categorie. Non c’è altra via che quella di divulgare la cultura dell’extra vergine. E’ necessario pertanto educare il consumatore al consumo dell’olio di qualità, anche perché nessun altro prodotto alimentare spagnolo ha altrettanti argomenti di vendita così forti quanto l’olio extra vergine di oliva. Ovviamente, bisogna essere consapevoli della necessità di destinare tempo e investimenti a un simile impegno, affinchè il consumatore possa capire che l’autentico extra vergine sia un succo di frutta naturale, dall’alto valore sia dal punto di vista gastronomico, sia da quello più strettamente salutistico.

E’ necessario valorizzare e promuovere il consumo e la cultura dell’olio da olive come grasso vegetale salutare, adatto all’uso in cucina, curando al massimo l’immagine del prodotto e recuperando il consumo che è andato perso negli stessi Paesi produttori, e, allo stesso tempo, si tratta anche di raggiungere i nuovi consumatori di ogni altra area del mondo. Bisogna inoltre ricordarsi che tutt’ora sono in molti i posti del pianeta in cui non si consuma ancora l’olio da olive.

Per altri attori del settore, viene considerato un elemento chiave il ruolo svolto dall’Interprofessione dell’olio d’oliva spagnolo, un organismo che lavora sulla promozione con l’obiettivo di dare valore a questo alimento, potenziando le azioni sui mercati internazionali, con il proposito di incrementare le vendite così da riequilibrare i bilanci del settore. In questo senso, una formula proposta da alcuni importanti produttori è di collegare l’immagine dell’olio da olive spagnolo a personaggi sportivi di fama mondiale, come Rafa Nadal, Fernando Alonso, Pau Gasol o la selezione spagnola di calcio.

“Costa molto?” – si chiede uno – “e quanto stiamo perdendo ogni anno, da qualche decennio?”, risponde l’altro, senza vacillare.

Per le cooperative, una soluzione potrebbe essere quella di rendere più flessibile la normativa in materia di concorrenza, permettendo un necessario ordinamento e una concentrazione dell’offerta, in modo da permettere al settore un certo margine di manovra e correggere gli squilibri tra domanda e offerta. Inoltre, le cooperative concordano su come sia necessario promuovere il consumo, migliorando l’informazione destinata al consumatore e stabilendo dei limiti per la crescita della marca bianca dei canali di distribuzione (private label), così come è altrettanto necessario continuare a scommettere fortemente sui mercati esteri.

Inoltre, vi sono anche altre opinioni, come quelle espresse da chi sostiene che per raggiungere un grande patto, probabilmente utopistico, tra produzione e distribuzione, bisognerebbe fare in modo che l’olio da olive potesse essere remunerato a partire da un prezzo minimo, tale da garantire la redditività di tutta la filiera. Per far questo, bisognerebbe porre freno alle super offerte applicate sul prodotto. Attualmente, oltretutto, il consumatore è l’unico beneficiario di una simile situazione, in quanto paga un prezzo inferiore al valore del prodotto.

Si ringrazia per la traduzione Daniela Capogna.

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