Come rendere di successo gli oli del territorio
L’olio non è come il vino, non ha le stesse chance - ed è diverso anche come prodotto, meno attrattivo, perché non è una bevanda; e ha sempre necessità della complicità di altri ingredienti, per potersi esprimere al meglio - ma, nonostante i tanti limiti strutturali e culturali, è possibile attivare una serie di soluzioni in modo da rendere anche gli extra vergini Dop e Igp finalmente vincenti sul mercato

Riportiamo l’intervento di Francesco Gasparini, owner di Primoli, a Olio Officina Festival 2025.
Le assonanze tra oli extra vergini di oliva intimamente legati al territorio e il vino sono molte.
Come per il vino, infatti, a conferire ad un olio extra vergine “territoriale” una propria identità sono principalmente fattori ambientali, fattori agronomici e, soprattutto, le cultivar.
È infatti lo stretto legame tra cultivar e specifici areali, frutto di un lento processo di selezione, il fattore che più caratterizza la tipicità di un olio extra vergine “territoriale”: oli ottenuti da cultivar diverse possono essere tanto dissimili quanto vini ottenuti da vitigni diversi.
Se si considera inoltre che i singoli areali olivicoli sono influenzati, oltre che da fattori pedoclimatici e agronomici, anche da fattori culturali, sociali ed economici, frutto di relazioni complesse e di lungo periodo, allora, come per il vino, anche per un olio extra vergine “territoriale” si può parlare di legame con un terroir.
Sulla base di queste considerazioni si può allora dire che, al consumo, un olio extra vergine Dop o Igp corrisponde a una buona etichetta di vino? Purtroppo, no, e i numeri lo dimostrano: a più di trent’anni dall’entrata in vigore del Regolamento Comunitario istitutivo delle Dop e Igp la produzione di oli certificati in Italia – il Paese con la maggior biodiversità sia genetica che di ecosistemi – pesa solo il 3,76% della produzione complessiva di olio di pressione (Fonte: Ismea, campagna 2023-2024) mentre il fatturato nella Gdo degli oli a certificati pesa solo il 4,8% del fatturato dell’intera categoria, quando invece quello dei vini certificati pesa l’82,9% (Fonte: Rapporto Ismea Qualivita, gennaio -settembre 2024).
Le motivazioni alla base di questa deludente situazione sono tante, proviamo a elencare le principali:
- l’eccessiva frammentazione dell’offerta, troppe IG (ben 50!) e tra di loro disomogenee (le prime 4 IG rappresentano il 76% della produzione complessiva di oli certificati);
- l’eccessiva frammentazione delle aziende agricole e la resistenza all’aggregazione dei produttori
- la presenza di molti areali marginali dove l’olivicoltura stenta a innovarsi e i costi di gestione sono troppo elevati;
- il basso livello cultuale e di aggiornamento tecnico dei produttori (non esistono figure equivalenti agli enologi né esistono scuole di formazione);
- la resistenza dei produttori a sottostare alle norme disciplinari (tanti privilegiano le vendite dirette di oli non certificati);
- disciplinari di produzione datati e poco distintivi;
- la mancanza dei Consorzi di tutela per alcune IG;
- la scarsa evidenziazione del comparto sugli scaffali della Gdo.
Aree geografiche con confini ben definiti sono anche luoghi metaforici che producono valori simbolici, si pensi alla regione Toscana.
Non possiamo però sperare che la fortuna di un olio extra vergine “territoriale” possa fondarsi solo sulla potenza evocativa di una denominazione d’origine (ad es. Igp Toscano), è necessario prima di tutto puntare a standard qualitativi più elevati, procedendo con la revisione dei disciplinari di produzione (rendendoli più stringenti e integrandoli con parametri salutistici). Se si vuole stare al passo con i tempi un olio certificato Dop/Igp, oltre ad essere il portato di un territorio, deve saper veicolare messaggi di sostenibilità e modernità.
Vi sono alcuni possibili rimedi a questa situazione.
E potrebbero essere, sotto il profilo dell’offerta:
- razionalizzare le IG;
- aumentare la produzione (anche con nuovi impianti a maggior densità per ettaro);
- attirare i giovani;
- rafforzare il ruolo delle organizzazioni di produttori.
Mentre, sotto il profilo della domanda, si prospettano queste indicazioni:
- diffondere la cultura degli oli extra vergini di oliva Dop/Igp;
- proteggere le denominazioni su più mercati;
- fare rete con la Gdp.
Insomma, la strada è ancora molto lunga, ma vale la pena percorrerla!
In apertura, immagine di Primoli
La prima regola del Marketing è quella di “ascoltare” i bisogni del consumatore e comunicare i propri prodotti e servizi in una maniera che rispondano a questi bisogni.
Purtroppo tutte le proposte fatte in passato nel campo dell’olio e queste che leggo in questo articolo, non partono dal consumatore e dai suoi bisogni. Partono sempre dal prodotto e dal produttore. Per capire tutto ciò bisogna farsi la domanda: “ma il consumatore quando si sveglia la mattina, pensa come prima cosa alle IG, alla razionalizzazione delle IG, alle denominazione e a tutto il resto che viene proposto?” Se la risposta è NO, vuol dire che non stiamo mettendo il consumatore al centro con le proposte che stiamo avanzando.
Se non si ascolta il consumatore, questi continuerà sempre a scegliere sulla base del prezzo!
E allora si che saremo “costretti” a trasformare tutta la produzione italiana in intensiva e super intensiva, perdendo quindi l’unica possibilità di avere un valore competitivo sia sul mercato nazionale che internazionale.
Da piu di 15 anni io sono una imprenditrice nel campo dell’olio extra vergine di oliva. Ho creato una grande community di clientela internazionale super fidelizzata che compra i migliori olii italiani, accollandosi anche le elevate spese di spedizione. Io ascolto i loro bisogni e propongo i miei prodotti in risposta ai loro bisogni. I loro bisogni sono molto piu “semplici” di quelli che leggo in questo articolo.
Sono disponibile a condividere la mia esperienza con altri produttori di olio extra vergine di qualita.