Economia

Ecco l’olivicoltura tunisina

L’ultima edizione di Olio Officina Festival è stata l’occasione per scattare, e presentare al pubblico italiano, una vivida istantanea del comparto olivicolo del Paese nord africano. Pronta a esibire un patrimonio varietale ricco e complesso anche grazie alle sue forti differenze climatiche, la Tunisia conta in particolare su due cultivar: la Chemlali, che rappresenta il 70% della produzione nazionale, e la Chetoui

Mariangela Molinari

Ecco l’olivicoltura tunisina

In Italia sono ancora in pochi a conoscere gli oli di questo Paese, nonostante la storia dell’ulivo sia strettamente intrecciata con quella della Tunisia, dove ben un terzo della superficie destinata all’agricoltura è ricoperto da ulivi e la produzione olivicola rappresenta il 15% circa di quella agricola complessiva, arrivando a rappresentare il 50% dell’export dei prodotti della terra.

Oggi, con 1,82 milioni di ettari, la Tunisia è il secondo Paese a livello mondiale per superficie olivicola totale, coperta da circa 82 milioni di ulivi.
Negli ultimi 10-15 anni la produzione media si è aggirata sulle 185mila tonnellate all’anno, che posizionano il Paese al quarto posto tra i produttori, dietro a Spagna, Italia e Grecia, ma con la campagna 2014-15 è stato raggiunto il record di 340mila tonnellate.

Pronta a esibire un patrimonio varietale ricco e complesso anche grazie alle sue forti differenze climatiche, la Tunisia conta in particolare su due cultivar: la Chemlali, che rappresenta il 70% della produzione nazionale, e la Chetoui, che ne copre, invece, il 10%. Spesso vengono utilizzate insieme per realizzare oli di grande equilibrio.

A queste si aggiunge un buon numero di varietà minori, distribuite dalle regioni del nord del Paese, più umide, fino a quelle del sud, più aride e desertiche.

Dalla Chemlali, prima cultivar per estensione e coltivata essenzialmente nel centro e nel sud, si ricava un olio dolce, poco amaro, che non pizzica il palato.

Dalla seconda varietà, invece, la Chetoui, coltivata nelle regioni del nord, si ottiene un olio caratterizzato da un fruttato intenso, con toni amari.

Tra le varietà minori, sempre al nord è prodotta la Sayali, dai toni piuttosto amari e utilizzata anche per tagliare la Chetoui, mentre la Oueslati produce un olio particolarmente profumato. Nell’area meridionale, desertica, troviamo due varietà rustiche: la Zalmati e la Zarrazi. Quest’ultima, in particolare, si esprime in un olio dolce e molto apprezzato. È al Sud anche l’areale di coltivazione della Chamchali, che dà un olio molto fruttato, così come esibisce intensi profumi quello ricavato dalla Jarboui, coltivata al nord.

Della produzione complessiva prendono la via dell’export circa 155mila tonnellate all’anno (20mila delle quali confezionate), anche in questo caso con il picco della campagna 2014-15, che ha registrato 312mila tonnellate di olio di oliva esportate a fine ottobre 2015.

Nello scenario mondiale gli oli di origine tunisina coprono il 20% degli oli di oliva esportati e, in quanto alle tipologie, sono extra vergini per il 73% circa (erano il 32% tra il 1999 e il 2003). Per quanto riguarda le destinazioni, il 38% giunge in Italia, il 23% in Spagna e quantità sempre più significative viaggiano verso gli Usa.

Ma in Tunisia l’olio è anche sempre più biologico. Non per niente questo è il primo Paese in Africa ad avere una legge specifica per l’agricoltura biologica, la 99/30, che la Commissione europea ha riconosciuto equivalente a quella dell’Ue.

L’80% del settore biologico è costituito proprio dall’olio di oliva, anche se, va detto, l’intera olivicoltura tunisina viene condotta con un uso minimo di chimica. Inoltre, considerato il clima e l’utilizzo di varietà ben adattate alle condizioni pedoclimatiche del Paese, risulta molto improbabile il verificarsi di malattie, e anche le aziende non certificate bio non ricorrono a trattamenti particolari né a fertilizzanti azotati.

Oggi la Tunisia conta una superficie agricola di 140mila ettari coltivati bio e 3.300 operatori certificati. Dal 2005 la crescita dei quantitativi di olio di oliva bio tunisino esportato nel mondo è stata costante, fino ad arrivare alle 35mila tonnellate di olio di oliva biologico esportato del 2015. I principali mercati per l’olio bio si confermano Francia (45%), Italia (26%) e Usa (20%).

Lo stesso governo sta incentivando concretamente gli agricoltori a passare all’agricoltura biologica e se al momento la maggior parte della produzione esportata è sfusa, il prossimo passo sarà proprio l’incremento dell’export di olio bio imbottigliato, in modo da accrescerne anche il valore.

A fornire un assaggio concreto dell’olivicoltura tunisina è intervenuto alla kermesse milanese il Gruppo Bichiou, guidato da Fethi Bichiou e dai figli Sabhbi e Aymen, che con il brand Tanit Mediterraneum, creato nel 2010, hanno conferito un’impronta moderna a un’attività produttiva iniziata già nel 1988, firmando prodotti che stanno conquistando non pochi mercati europei. Nel loro moderno “Moulin a Huile Bouachir”, creato proprio con l’intento di realizzare un prodotto di categoria superiore in grado di affermarsi a buon diritto sul mercato internazionale, sono numerose le varietà oggi lavorate. Tra tutte, in particolare, la Chemlali e la Chetoui.

Anche il Gruppo Bichiou, inoltre, in linea con il trend del Paese, sta dimostrando uno spiccato interesse per il biologico. Al momento sono 500 gli ettari coltivati secondo questi dettami, per una produzione che nell’annata 2015-16 ha raggiunto le 450 tonnellate di olio bio e nell’ultima campagna le 1.050 tonnellate, certificate e, come del resto tutta la produzione aziendale, interamente tracciate.

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