Economia

Farm to Work, ovvero il trasferimento della miseria dalla fattoria alla tavola

L’UE, con la nuova Commissione e la proposta di Politica Agricola Comunitaria (la nota PAC) ha lanciato una sfida che ha denominato Green deal e ha come fine fronteggiare le minacce climatiche e il degrado ambientale in Europa e nel mondo. Dicendo questo, evidentemente, avrebbero la presunzione di essere imitati da tutti sul pianeta

Alberto Guidorzi

Farm to Work, ovvero il trasferimento della miseria dalla fattoria alla tavola

L’obiettivo dell’UE con il Green deal è di trasformare le problematiche climatiche e le sfide ambientali in opportunità per tutti e arrivare ad essere il primo continente ad impatto climatico nullo. Il piano implica la riforma di tutti i settori produttivi e tra questi vi è in particolare l’agricoltura. Per questa hanno escogitato il programma “Farm to Work” che potremmo tradurre in vario modo, letteralmente “dalla Fattoria alla Tavola”, ma anche “dal Produttore al Consumatore”, vista la pretesa di voler proporre un cibo più sano ed ecocompatibile al consumatore… come se l’età media di morte di questo fosse in continua diminuzione per avvelenamenti alimentari!

Io sono un agronomo e quindi mi limito ad analizzare cosa ci si propone di cambiare in agricoltura.

In sintesi, si dice che:

1 – si vuole diminuire del 10% la terra coltivata per aumentare la biodiversità,

2 – sul 90% delle terre rimaste il 25% deve essere coltivato con i metodi biologici,

3 – ridurre di un 20% l’uso dei fertilizzanti,

4 – ridurre del 50% i fitofarmaci in agricoltura e di altrettanto gli antibiotici nelle produzioni animali.

Il limite temporale del programma è il 2030, ossia un lasso di tempo fuori dalla realtà se gli atti concreti sono già stati rimandati al 2023 e spalmati fino al 2029. Tuttavia, vedrete che si canterà comunque vittoria visto che per valutare l’impatto della PAC a Bruxelles usano il parametro dell’effettivo utilizzo dei fondi stanziati e non l’effettiva efficacia della politica messa in atto (è, infatti, il refrain che la Corte dei Conti Europea indirizza sistematicamente quando analizza il bilancio dell’UE).

Su queste percentuali poi si potrebbe discutere a lungo ed io avrei molto da ridire: un 25% di biologico, dato che a parità di superficie produce la meta dell’agricoltura convenzionale, significa che, ammesso e non concesso che si voglia lasciare immutata la produzione agricola dell’UE, è ottimistico preventivare una diminuzione del 10% di superficie coltivata, anzi occorrerà mettere nel conto un aumento molto significativo di quest’ultima, con conseguente rimessa in coltivazione di un bel numero di ettari di superficie rimboschita e quindi incidere negativamente sulla biodiversità. Mai dimenticare, inoltre, che se l’emissione di gas serra dell’agricoltura biologica risulta minore quando è riferita all’unità di superficie, non lo è per nulla se invece la riferiamo all’unità di prodotto e guarda caso è proprio questo che la gente mangia. Comunque, dato che meglio di me hanno approfondito l’analisi del programma europeo gli economisti dell’USDA statunitense, cioè il Ministero dell’agricoltura USA, mi limito a riferire la sintesi di un corposo documento scaturito da questa analisi e che troverete QUI.

Qualcuno dirà, ma perché gli americani se la prendono? Infatti, se noi produciamo significativamente meno, saranno loro che ne approfitteranno vendendo a più caro prezzo le derrate che esportano. Solo che da diligenti pragmatici e tenuto conto che l’UE non è una formica nella produzione agricola planetaria, hanno subito intravisto il pericolo; anche perché da parte dei Commissari UE vi è la presunzione che sia una strada da proporre a livello planetario.

L’analisi che loro hanno fatto l’hanno formulata ipotizzando due scenari:

1- che le regole del Farm to Work siano applicate dai 27 Paesi dell’UE solamente, oppure,

2 – che il programma sia esteso a livello planetario (cosa che non accadrà sicuramente, il che dà l’idea della demenza (mio personale parere) insita in proposte del genere e sviluppate solo per opportunità politica (la Commissione e vari governi europei si reggono solo per i voti dei partiti verdi).

Ecco in estrema sintesi le risultanze delle analisi fatte:

Scenario 1 (solo i 27 paesi dell’UE)

la produzione alimentare calerebbe del 12%, il costo dell’alimentazione salirebbe del 17% (appunto: dal campo alla tavola!), mentre le esportazioni scenderebbero del 20% e il reddito agricolo del 16%. Solo che le conseguenze non resterebbero limitate all’UE, i cui cittadini comunque troverebbero fisicamente, seppure a maggior costo, il cibo per nutrirsi, ma esse si trasferirebbero disastrosamente ai paesi che, dipendendo dalle esportazioni di cibo dell’Europa per dare da mangiare ad una parte della loro popolazione, ne sarebbero privati. È stato calcolato che ben 22 milioni di persone resterebbero con il piatto completamente vuoto e si batterebbero alla morte per cercare di metterci dentro qualcosa a scapito dei loro vicini. Inoltre, i flussi maggiori dell’esportazione di derrate alimentari dell’Europa è verso i paesi del Centro e Nord Africa, cioè proprio nei paesi dove è già intenso il flusso migratorio verso le nostre coste e che quindi rischia di divenire in futuro parossistico. È così che si mette in atto la politica di farli stare bene a casa loro?

Scenario 2 (se avvenisse a livello planetario)

la produzione alimentare globale calerebbe dell’11% con conseguente aumento dell’89% dei prezzi mondiali delle derrate (ricordo che i prezzi mondiali sono determinati da solo il 20% degli scambi mondiali, l’atro 80% essendo autoconsumato non concorre). Se gli USA facessero come noi europei la loro produzione agricola calerebbe del 9% ed i prezzi mondiali aumenterebbero del 65%, essendo uno dei maggiori paesi esportatori di derrate.

Forse varrebbe la pena ricordare ai Commissari europei una frase di Proust che diceva: “i fatti non entrano nell’universo in cui regnano le nostre credenze”

In apertura, particolare di una illustrazione di Doriano Strologo per Olio Officina ©

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