Economia

Il senso delle Dop per l’olio

Non si può stare fermi e immobili. E' necessario regolare l'incontrollata usurpazione della tipicità. Tutto si può dire, tranne che le Dop non creino valore economico lungo la filiera. Viene premiato chi ne fa parte seriamente

Andrea Monico

Il senso delle Dop per l’olio

Il Consorzio tutela Olio Garda Dop sarà partner di Olio Officina Food Festival 2014, in programma a Milano dal 23 al 25 gennaio 2014. Un evento culturale prima che promozionale, col quale si vuole favorire la conoscenza a tutto tondo dell’olio da olive, i suoi impieghi come elemento del benessere e non semplicemente come condimento.
Il Consorzio Garda Dop condivide in pieno il progetto promosso dal guru dell’olio Luigi Caricato, che si pone l’obiettivo principale di fare cultura di utilizzo e di consumo dell’olio da olive, anche imparando dagli errori fatti in altri ambiti, quello del vino ad esempio.

Crediamo in un approccio divulgativo per un olio accessibile. Come successo per il mondo di bacco, infatti, bisogna stare attenti a non far percepire l’olio come qualcosa di troppo difficile da capire, perché questo rischia di allontanare il consumatore. Non serve essere esperti per farne un uso proprio e corretto, così come per riconoscerne la qualità. Piuttosto è utile essere consapevoli delle caratteristiche, delle virtù e delle possibilità d’impiego quotidiano dell’olio. Per la qualità, poi, basterebbe lasciarsi guidare dai nostri organi sensoriali, assaggiando un extravergine degno di tale nome a confronto con un olio comune e da prezzo. La differenza è a dir poco evidente, anche senza bisogno di spiegare nulla. Promuoviamo quindi “l’olio senza paura” e senza timori reverenziali: esso non sia un lusso da concedersi estemporaneamente, ma un elisir di salute e un piacere quotidiano per tutti.

Democrazia e trasversalità nella comunicazione non vogliono dire, però, banalizzazione e mediocrità del prodotto, né “fare di tutta un’erba un fascio”, come sembra si stia cercando di fare a livello di sistema italiano per questo settore. D’accordo promuovere la qualità cercando di garantire oli da olive degni (almeno) dell’extraverginità ma guai a farlo in maniera indifferenziata, concentrandosi solo nel dire che l’olio extra vergine italiano è eccellente. Non basta, bisogna declinarlo nelle sue specificità territoriali, che ne sono il valore aggiunto.

Infatti se è vero che è dalla qualità e dalle eccellenze che l’Italia ha il dovere di ripartire, tra queste la terra è il simbolo della nostra vocazione naturale all’agricoltura e alla lavorazione dei suoi frutti. E quanti territori abbiamo in Italia che connotano esclusivamente un prodotto in modo certo? Il Garda Dop ne è un esempio e porta proprio una delle voci della diversità della terra.
Lo fa con orgoglio e convinzione, ma anche con sempre maggiore difficoltà. Orgoglio perché il primo valore di una Dop è dichiarare la tipicità di un prodotto, sintetizzare la vocazione storico-produttiva e di cultura materiale di un territorio, ossia di quell’elemento in grado di connotare esclusivamente e specificatamente un prodotto. Nel nostro caso olio extra vergine di oliva, ma è così anche per un insaccato, un formaggio, un vino o altro prodotto agroalimentare. Certificando un olio Dop si certifica che esso è unico, originale, non de-localizzabile, molto più che italiano.

Invece assistiamo con rabbia e preoccupazione a quella che Mauro Rosati, nell’introduzione dell’Atlante Qualivita Food&Wine 2013, ha definito “cannibalizzazione” delle identità locali. Oggi nella distribuzione e nel commercio dei prodotti alimentari i nomi geografici, l’evocazione di un’origine specifica, il richiamo a un territorio sono un forte plus di valore per qualsiasi prodotto di largo consumo, che viene proposto e “venduto” come tipico e locale.

Una precisa e premeditata scelta di marketing che coinvolge tutti gli attori della distribuzione, che presentano i loro prodotti con confezioni ed etichette appositamente costruiti per connotarlo come “locale”, per sfruttare i valori positivi della tipicità e dell’indicazione geografica associandoli al proprio brand, anche se si tratta di banali produzioni industriali senza alcun valore aggiunto legato all’origine delle materie prime o del processo produttivo.

L’utilizzo dei nomi geografici abbinati a prodotti “comuni” è deleterio perché scoraggia i produttori di alimenti certificati “regolarmente” e inganna il consumatore, evocando il territorio per indurlo a pensare alla qualità. Poco a poco questo processo annienta l’interesse delle imprese a certificare i prodotti nonché i consumatori ad acquistarli per tali. Quindi la proliferazione incontrollata di denominazioni, marchi ecc. a livello locale, provinciale e regionale rischia solo di essere un elemento di confusione, controproducente per le indicazioni geografiche riconosciute. E’ urgente un intervento del governo per regolare questa usurpazione incontrollata della tipicità.

Ribadiamo con fermezza che negli oli Dop, invece, l’originalità è garantita, l’origine certa e controllata. E’ una questione sostanziale, non solo formale. La Dop crea valore economico lungo la filiera e premia coloro che ne fanno parte seriamente. Anche se Dop non vuol dire automaticamente bontà o superiorità in assoluto del prodotto, Dop equivale a tipicità, certezza di origine, assenza di difetti nell’olio e certezza della qualità secondo i parametri fissati dal disciplinare di produzione. Questo è il terreno fertile, il contesto ideale dove le aziende possono operare e approcciare un mercato mondiale che premia l’origine delle produzioni. Possono farlo nell’ambito di un territorio la cui vocazione storico-produttiva è un valore autentico e riconosciuto, un patrimonio pubblico che loro stesse difendono e promuovono attraverso i loro oli Dop, ognuna con il proprio posizionamento e con la propria storia da raccontare.

Anche questa è l’anima sociale dell’olio. Partecipiamo quindi ad Olio Officina Food Festival per sostenere il valore del territorio e della tipicità nell’olio extra vergine di oliva italiano.

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