Economia

L’agricoltura è morta

Non si tratta di fare gli uccelli del malaugurio, ma la realtà è quella che si vive tutti i giorni nelle campagne. Quanti buttano lacrime e sangue sui campi, e soprattutto sulle sudate carte di una burocrazia onnivora e bulimica, lo sanno bene che il settore primario vive di assistenza. Cosa accade, però, quando anche gli aiuti vengono a mancare? Intanto la fetta più grossa delle sempre più magre risorse disponibili viene sempre assegnata a chi urla più forte. Gli agricoltori, non solo non urlano, ma neppure sanno parlare

Felice Modica

L’agricoltura è morta

Non sopporto più la gente che parla di agricoltura e siccome ne parlo anch’io, a volte neppure io mi sopporto. Ma, davvero non se ne può di politici ed “esperti” che pontificano passando dal catastrofismo millenarista (con le “quote latte”, ad esempio, trattate come se il problema dipendesse dal destino cinico e baro e non dall’assenza di una politica) all’ottimismo fondato su una irritante visione romantica.

Gli agricoltori, che buttano lacrime e sangue sui campi e soprattutto sulle sudate carte di una burocrazia onnivora e bulimica, lo sanno bene che l’agricoltura è morta e vive di assistenza. Può rinascere, e perfino prosperare, ma a condizione di evolversi e diventare un’altra cosa: turismo naturalistico, per esempio, o commercializzazione di eccellenze agroalimentari in mercati di nicchia, italiani ed esteri. Insomma, chi si limiti a coltivare i campi e a vendere il raccolto attraverso i soliti canali, se non lavora in perdita, dispone di margini davvero risicati. E allora, gli “aiuti” che, attraverso i “piani di sviluppo rurale” e altri sistemi di finanziamento, arrivano dall’Europa e dalle regioni, servono a mantenerlo in vita, visto che il vecchio settore primario conserva comunque importanza strategica nazionale. Con l’assistenza pubblica (chiamiamola pure col nome che le spetta) si eseguono i necessari lavori di potatura, le concimazioni, si rinnova l’attrezzatura, ci si ammoderna, cercando sempre di confermare gli standard qualitativi che han fatta grande l’Italia nel mondo e consentono almeno di competere e sopravvivere.

Ma cosa accade quando anche questi aiuti vengono a mancare? Cosa sta accadendo in Sicilia a causa della bocciatura da parte del TAR del vecchio bando sul biologico? La vicenda è nota, ma merita di essere riassunta breve. Dietro ricorso di alcune aziende escluse dalla graduatoria degli ammessi, il Tribunale Amministrativo ha dato ragione ai ricorrenti annullando l’intero bando. Col risultato di gettare il bambino con l’acqua sporca. Infatti, la decisione ha determinato il blocco dei fondi e il pericolo (invero teorico) di restituzione di quanto percepito. Nel frattempo, la Regione ha presentato ricorso in appello al Consiglio di Giustizia Amministrativa (l’equivalente siciliano del Consiglio di Stato), non contro la sentenza, pubblicata nell’Aprile del 2015, ma contro l’ordinanza esecutiva della sentenza stessa, risalente al Dicembre dello stesso anno. Il CGA ha accolto nel marzo 2016 la richiesta di sospensiva dell’esecutività del provvedimento, in attesa di pronunciarsi nel merito. Col risultato che gli agricoltori siciliani non hanno ancora ricevuto un centesimo di quanto gli spetta e che era atteso, al massimo entro il dicembre dello scorso anno. Non si sa quando e come il Consiglio di Giustizia si pronuncerà. Sono in ballo circa 350 milioni di euro che, tra l’altro, non potranno essere certificati dalla Regione Siciliana e andranno ad aggravare la sua voragine di bilancio.

Senza questi fondi molte aziende hanno già chiuso e molte altre chiuderanno, trovandosi nella impossibilità economica di eseguire i lavori ordinari indispensabili al mantenimento di un’azienda agricola.

Ecco perché, ogni volta che un ministro o un assessore (lo ha fatto di recente l’assessore Regionale Cracolici, PD) invita allegramente i giovani a darsi all’agricoltura, un brivido mi percorre la schiena.

Un altro caso, del tutto trascurato dalla stampa e dagli stessi sindacati. La spaventosa siccità del 2014 abbattutasi sulla Sicilia sud-orientale (peraltro ha colpito per tre anni consecutivi e l’attuale non sembrerebbe da meno, ma il 2014 fu da record). Le leggi nazionali n. 185/92 e n. 268/03 stabiliscono che “i titolari di attività agricole svolte in territori colpiti da calamità atmosferiche hanno diritto ad agevolazioni, sia per i contributi dovuti a titolo di imprenditori, sia per i lavoratori dipendenti di cui si avvalgono per la coltivazione del proprio fondo”. In soldoni, l’agevolazione consiste in una riduzione dei contributi dal 25% al 45%, in casi particolarmente gravi e se l’evento calamitoso si ripeta l’anno successivo.

Con decreto del 28 Gennaio 2015, a firma dell’allora assessore Regionale all’Agricoltura Caleca (sempre Giunta Crocetta), vengono individuati i comuni colpiti dalla siccità del 2014, al fine dell’”attivazione dei benefici previdenziali ed assistenziali a favore dei lavoratori agricoli”. Insomma, si aiutano gli imprenditori agricoli facendoli risparmiare sui contributi Inps. Grande risalto viene giustamente dato sulla stampa alla lodevole iniziativa. Che però non trova concreta attuazione. Perché? Perché ci vuole un decreto attuativo del Ministero del Lavoro. E il Ministero del Lavoro non lo emette in quanto attende, prima, il parere (vincolante) di una Commissione Europea. Che di sicuro chiederà allo Stato italiano quello che ci aveva insegnato Luigi Einaudi, ovvero: “se vuoi fare qualcosa, prima assicurati di avere i soldi necessari”

In tutto questo marasma brillano per la loro totale assenza (con sparute, ultraminoritarie localistiche eccezioni: l’associazione coltivatori aretusei, sola, ha sollevato il problema) i sindacati di categoria. A nessuno importa venire in soccorso degli agricoltori siciliani. Non ai rappresentanti sindacali, men che mai ai parlamentari dell’area di riferimento (anche perché, se nessuno chiede a questi signori d’intervenire, penseranno che non è importante…). Mutatis mutandis, perché mai dovrebbe importare degli agricoltori al Governo Renzi (o ad ipotetici Governi Berlusconi, Di Maio o altri)?

Sarà cinico e disincantato, ma è vero. In questa Italia sventurata, la fetta più grossa delle sempre più magre risorse disponibili, viene sempre assegnata a chi urla più forte. E gli agricoltori, non solo non urlano, ma neppure sanno parlare.

La foto di apertura, di Luigi Caricato, ritrae il mausoleo del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, in provincia di Brescia

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