Economia

L’olio sui giornali esteri

Spagna in primo piano, con il Consejo Superior de Investigaciones Científicas che è riuscito a individuare il genoma dell’oleastro. L’interesse per il settore intanto cresce, al punto che a Valenza, l'Escuela Superior de Aceite de Oliva è molto attiva. Uno studio ci informa di un sistema che trasforma gli elementi inquinanti delle acque reflue in prodotti utili: biofertilizzanti, carburante verde e acqua di recupero con cui irrigare le colture. Questo e altro nella rassegna stampa internazionale di questa settimana

Mariangela Molinari

L’olio sui giornali esteri

Corsi, ricerche, studi e poi, come sempre, notizie economiche. Anche questa settimana la nostra rassegna stampa ci offre spunti e approfondimenti che mostrano, una volta di più, la ricchezza di sfaccettature dell’olio di oliva.
Cominciamo, allora, da una per così dire “di servizio”, che troviamo su oliveoilmarket.eu e che conferma l’accresciuto interesse per la cultura dell’olio. In Spagna, la Escuela Superior de Aceite de Oliva ha infatti lanciato due nuovi corsi per formare sommelier dell’olio di oliva, che si terranno a Valenza in lingua inglese. Quello di primo livello è in agenda dal 24 al 26 ottobre prossimi, mentre quello di secondo livello dal 30 ottobre all’1 novembre.

Su diariojaen.es l’attenzione è rivolta all’avvio della produzione del nuovo olio, definita un “lavoro da alchimista”. E, in effetti, il raccolto delle olive appena iniziato, frutto di una stagione incredibilmente calda e siccitosa ancora perdurante, lascia prevedere una campagna difficile: non sarà semplice ottenere innanzitutto mosti di buona qualità, proprio a causa della “sete” patita dagli uliveti, che renderà necessarie selezioni ancora più attente. Ciononostante, i produttori sono ottimisti. José Gálvez, per esempio, creatore e proprietario dell’affermato brand Oro Bailén, è convinto che anche in questa campagna sarà mantenuta l’elevata qualità del proprio olio. Dalla raccolta effettuata anche e soprattutto durante la notte, infatti, sono state ottenute olive di un buon calibro e con un giusto grado di maturazione. Anche Pedro e Blas Melgarejo, proprietari di Melgarejo, sono fiduciosi che, mettendo in atto gli adeguati accorgimenti, come concentrare il lavoro nelle ore più fresche, visto che il caldo porterebbe a disequilibri organolettici nell’olio e alla prevalenza di un gusto amaro, la qualità non ne risentirà.

Olimerca torna a puntare i riflettori sul Marocco. Secondo i dati Eurostat/Comext nel periodo ottobre 2016-luglio 2017 il Paese avrebbe incrementato del 51% le proprie esportazioni, facendo giungere all’Ue 16.440 tonnellate di olio di oliva, che rappresentano il 18% delle importazioni totali dell’Unione Europea. L’export tunisino, al contrario, che con 54.976 tonnellate continua comunque a rappresentare il 59% dell’import comunitario, ha segnato un calo del 18%. Eclatante, infine, la performance della Turchia, che nello stesso periodo ha conosciuto un incremento dell’export del 776%, inviando in Ue 4.422 tonnellate.

Passiamo dall’economia alla scienza su abc.es, con una notizia riportata anche da Mercacei. Un’equipe internazionale di scienziati, tra i quali anche ricercatori spagnoli del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC), è riuscito a individuare il genoma dell’oleastro, vale a dire l’olivo selvatico.
I risultati dello studio, pubblicati sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), non solo hanno permesso di tracciare la storia evolutiva di questa specie, fondamentale per la dieta mediterranea e utilizzata per l’alimentazione umana fin dal Neolitico, ma potranno rivelarsi utili per il miglioramento qualitativo dell’olio stesso. Come ha dichiarato, infatti, ad Abc Gabriel Dorado Pérez, docente di Biochimica e Biologia Molecolare dell’Università di Cordova e coautore dello studio, l’aspetto più rilevante della ricerca è l’aver sequenziato 50.684 geni. Il che aiuterà a spiegare come mai l’olivo sia tanto ricco di acido oleico. Un’ipotesi è già stata avanzata. Si ritiene, infatti, che la capacità di accumulare quantità tanto significative di acido oleico derivi da fenomeni di duplicazione del genoma verificatisi dai 28 ai 59 milioni di anni fa. Grazie a queste nuove conoscenze, ora si potrà lavorare a miglioramenti genetici degli olivi, selezionando esemplari più resistenti alla siccità, alle alte temperature e alle più varie fitopatologie, come, per esempio, la verticillosi. E, soprattutto, si potrà migliorare la produzione delle olive e garantire un olio ancora più salutare e di sempre più elevata qualità.

Restiamo nel mondo della ricerca e della sperimentazione, passando, però, alle pagine di Olive Oil Times, che riporta i risultati di uno studio sulle acque reflue nella produzione di olio. Se queste erano finora sul banco degli imputati per la possibilità di inquinare suoli e corsi d’acqua, ora secondo gli scienziati sarà possibile trovare loro validi impieghi. È stato, infatti, sviluppato un sistema che trasforma gli elementi inquinanti in prodotti utili: biofertilizzanti, carburante verde e acqua di recupero con cui irrigare le colture.
La maggior parte dell’olio di oliva è prodotto, come noto, nei Paesi mediterranei, dove i frantoi generano complessivamente circa 8 miliardi di galloni di acque reflue all’anno: una quantità ingente, la cui rimozione può risultare problematica. Nel nuovo studio Mejdi Jeguirim e colleghi, del Dipartimento di Scienze dell’Università di Moulhouse, hanno combinato le acque reflue prodotte dai frantoi con segatura di legno di cipresso, un altro prodotto di scarto piuttosto frequente nell’area mediterranea. È stata quindi raccolta l’acqua evaporata durante la veloce essiccazione del composto, sperimentando con risultati positivi il suo utilizzo per l’irrigazione.
La parte solida del composto, invece, è stata sottoposta a pirolisi (un processo di decomposizione termochimica svolto mediante l’applicazione di calore e in completa assenza di ossigeno), in modo da decomporre la materia organica in carbone e gas combustibili. Il gas, condensato in bio-olio, è diventato un carburante, mentre il carbone, ricco in potassio, fosforo, azoto e altri nutrienti, è stato utilizzato per cinque settimane come bioferilizante per piante in vaso. I risultati sono stati ottimi: crescita più vigorosa, foglie di maggiori dimensioni e migliori rendimenti.
Il progetto, come ha affermato Mejdi Jeguirim, offre dunque la possibilità di utilizzare le acque di scarto per produrre concimi naturali per le piante, raggiungendo, così, l’obiettivo di utilizzare risorse locali per sviluppare un’economia circolare, abbassando l’impatto ambientale e producendo, al contempo, ottimi fertilizzanti.

Torniamo, infine, su Mercacei, dove si dà conto del nuovo progetto europeo CURE-XF (“Capacity Building and Raising Awareness in Europe and in Third Countries to cope with Xylella fastidiosa”), creato per rispondere all’urgente necessità di migliorare prevenzione, diagnosi precoce e controllo della Xylella fastidiosa, promuovendo un programma di ricerca multidisciplinare e di scambio di conoscenze.
Il progetto quadriennale punta all’interazione di diverse competenze e allo scambio di capacità scientifiche tra i Paesi europei e tra Eu e Paesi terzi, e prevede il rafforzamento delle misure preventive contro il terribile batterio, l’approfondimento delle analisi dell’interazione tra piante ospiti ed epidemiologia, lo sviluppo di strumenti diagnostici avanzati per la diagnosi della Xylella e dei vettori associati, il consolidamento di approcci innovativi per prevenzione, monitoraggio e controllo e, last but not least, il miglioramento della legislazione fitosanitaria, per facilitare il commercio di materiale vegetale sano.

Foto di apertura di Olio Officina

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