Economia

La Tunisia olearia c’è

Questo ha spaventato l’Italia, negli ultimi mesi, ed effettivamente hanno molte ragioni, gli italiani, a spaventarsi. Seppure si tratti di un Paese geograficamente piccolo, con pochi abitanti, la determinazione e il coraggio di intraprendere iniziative, nella patria che è stata dei cartaginesi, di certo non mancano. Siamo debitori verso l’Italia per il grande apporto in tecnologia, ha ammesso Fethi Bichiou, il fondatore di Tanit Mediterraneum

Luigi Caricato

La Tunisia olearia c’è

In un nostro recente viaggio, a inizio luglio, in questo paese, abbiamo avuto modo di confermare quanto già constatammo lo scorso anno. L’olivicoltura viene avvertita come un valore importante, anzi, imprenscindibile. Situato poco distante dall’Italia, in certe giornate dal cielo terso si intravede la Sicilia, e a ben pensarci la Tunisia non è nemmeno tanto lontana culturalmente dal nostro sud. C’è una famiglia, in particolare,che all’olio crede molto e sta investendo in nuovi oliveti, pur di dare corpo a una passione solida e a richieste di mercato che ne motivano gli investimenti.

Non va trascurato il fatto che il 30 per cento della superficie coltivabile tunisina sia destinata alla coltivazione delle olive, rappresentando all’incirca il 15 per cento della produzione agricola totale.
Questa famiglia che tanto crede nell’olio è quella dei Bichiou, di Hammamet. Sono proprietari di vaste tenute, che diventano via via sempre più grandi, anche perché nel far incetta di nuovi oliveti non manca certo lo stimolo in loro. Adesso, oltretutto, hanno acquistato oltre un centinaio di ettari su cui erano già coltivati degli olivi, ma che ora stanno rimodellando, rimettendo a posto il steso d’impianto, impegnandosi con rinfittimenti, così da ridare slancio alla loro produzione d’olio. L’obiettivo è di puntare esclusivamente sull’agricoltura biologica, loro d’altra parte sono favoriti dalle condizioni ambientali privilegiate, senza l’incubo della mosca.

Il loro olio extra vergine di oliva è molto apprezzato all’estero, e loro non si limitano più a produrre una qualità oggettiva, ma puntano molto più in alto, cercando di guadagnare consenso anche sull’alta qualità. Il territorio, molto vocato, d’altra parte lo consente.

Colui che ha creduto più di tutti è Fethi Bichiou, classe 1965. Con lui i figli Sahbi e Aymen: il primo ha studiato in Francia, il secondo in Italia. Si occupano il primo dell’amministrazione, il secondo della produzione e dei contatti con l’Italia. Con loro, non meno importante è il ruolo della madre Lamia, a dimostrazione di una famiglia molto unita, capace di guardare agli obiettivi futuri come fossero già attuali.
L’amore per gli olivi e per l’olio non ha tempo, in loro, ma tutto ha nato di recente, con il nonno di Fethi Bichiou, che lo ha condotto per mano verso questa passione.

La famiglia Bichiou è nata con l’allevamento dei polli ed è stata tra le prime famiglie della Tunisia a occuparsene in maniera altamente professionale. L’interesse per l’agricoltura non si è fermato, tuttavia, soltanto con l’allevamento, ma ha riguardato anche l’agricoltura in un senso più ampio, coltivando anche limoni e altre colture.

È stato Fethi, dunque, a crederci più di tutti, supportato dal nonno. È lui che ha deciso di piantare tanti ulivi e più tardi di organizzarsi con un frantoio. E ora è presente da protagonista sul mercato con il brand Tanit Mediterraneum.

Al centro Fethi Bichiou, con i figli Sahbi, a sinistra, e Aymen, a destra

INTERVISTA A FETHI BICHIOU

Non è stato il mercato come tale, quanto invece l’amore per l’albero dell’ulivo a muovere tutto. È così?
Sì, confermo. Il mercato ovviamente è venuto di conseguenza, Investendo tante risorse vive, finanziarie e umane, era evidente che si doveva poi piazzare l’olio, e ricavarci un reddito; ma l’inizio di tutto è stata la passione per l’olivo e l’attrazione per l’olio che si estrae dalle olive.

L’infanzia dunque è stata determinante nella scelta imprenditoriale intrapresa…
Quando ero bambino raccoglievo le olive e poi andavo in frantoio a frantumare le olive con i piedi…

Con i piedi?
Sì, con i piedi, proprio come con l’uva, ma poi ci si serviva di una pietra cilindrica per terminare l’operazione di estrazione. Era tutto molto complesso e nel medesimo tempo elementare. Non era un sistema tecnologicamente avanzato, è vero, ma poi questo interesse per l’olivo è maturato in misura sempre maggiore e non sono riuscito a farne a meno. Da lì è stato un crescendo continuo, inarrestabile.

Il salto tecnologico è stato significativo…
Direi proprio di sì. Prima prima era tutto pietra su pietra, poi sono arrivate le prime presse, ma quando ho deciso di acquistare il primo frantoio il salto tecnologico è stato un grande salto in lungo.

L’interesse è andato di pari passo con tutto il Paese?
Sì, c’è sempre stato un interesse crescente per l’olio, che ha registrato un incremento notevole, dagli anni 70 in poi.

Il frantoio?
Tecnologia italiana. Abbiamo iniziato con due impianti Alfa Laval, volevamo il meglio, e ora questi impianti li stiamo sono sostituendo i settembre con un nuovo frantoio, sempre tecnologia Alfa Laval, che sarà attivo della prossima campagna olearia.

In suo figlio Aymen, che ha studiato in Italia, ho notato un grande interesse per l’olio, frequentando corsi e aggiornandosi di continuo?
Sì, ci crede molto, come anche il fratello Sahbi. Anche per me, la prima attenzione l’ho rivolta subito e unicamente all’Italia.

I Bichiou e l’Italia sono una costante. Magari aspirate a vendere pure il vostro olio?
Sì, lo vendiamo, ma la massima aspirazione è venderlo imbottigliato. Io sono venuto in Italia per una serie di tour per vedere e imparare.

Per vedere cosa?
Per vedere come si faceva l’olio, e da qui poi la scelta di iniziare con un frantoio moderno, dietro consiglio di esperti italiani.

L’inizio da frantoiano quando?
Con il frantoio ho esordito nel 2000, ma ho introdotto in seguito anche l’imbottigliamento, seppure solo a partire dal 2009, e anche in questo caso l’attenzione l’ho tutta orientata per lla tecnologia italiana. Le mie scelte non potevano che scaturire dall’Italia.

Cosa l’ha spinta a imbottigliare l’olio?
La scoperta che l’olio d’oliva imbottigliato veniva sempre più percepito come valore, in tutto il mondo. Da qui, appunto, la mia idea di confezionare l’olio, e fare ingresso in un mercato completamente differente, difficile ma elettrizzante, perché si coglie maggiormente il senso stesso della produzione orientata a una qualità che piaccia al consumatore.

Bene, l’Italia sempre come punto di riferimento, e come possibile acquirente di olio confezionato…
È una grande sfida, lo so, ma l’olivicoltura italiana è carente in prodotto. Sere necessariamente attingere a produzioni estere. Chi ha degustato il nostro extra vergine a Olio Officina Festival è rimasto molto soddisfatto e sorpreso. E poi, l’Italia è per me un Paese importante per la tecnologia. Noi ci serviamo e ci serviremo sempre di tecnologia italiana. Anche la stessa comunicazione la effettuiamo in Italia, packaging compreso, affidandoci a una agenzia marchigiana.

Cosa rende la Tunisia un paese vincente?
Ad aver giocato a favore della nostra olivicoltura è stata la vicinanza all’Europa, che si rivelata molto importante e determinante.

L’economia tunisina deve molto all’olio…
Sì, la nostra economia è sempre riconoscibile per la sua forte impronta agricola, il turismo viene dopo, ma cultura agricola è fondamentale per la nostra economia. Lo facciamo con coscienza e consapevolezza. Abbiamo attenzione per l’ambiente. Non a caso l’olivicoltura rappresenta da noi quasi il 90 per cento della superficie agricola biologica in Tunisia.
Le esportazioni in olio da olive rappresentano invece il 50 per cento delle esportazioni agricole totali.

Quante sono le aziende che confezionano?
Sono circa trenta aziende, poco più, quelle che imbottigliamento, ma sta crescendo l’interesse. Sono invece circa dieci quelle che vendono nei supermercati. Le altre imprese del confezionato, pur non vendendo molto, hanno comunque creato una propria linea di prodotto.

E cosa si attende dal futuro?
Stiamo lavorando solo sulla qualità e sulle nuove piantagioni. La Tunisia sta compiendo dei grandi passi in avanti. Qualità e nuovi impianti olivetati sono i due elementi su cui stiamo puntando e questi due elementi direi che procedono in parallelo. Ogni Paese d’altra parte è responsabile delle proprie scelte, e noi abbiamo come Tanit Mediterraneum, il nostro brand, stiamo lavorando in tal senso.

Quali sono i paesi più attenti alla produzione olearia tunisina?
Russia, India, Canada, e anche la Nigeria, e quindi pure l’Africa che pian piano sta iniziando a interessarsi all’olio. È stato, per la nostra esperienza personale, molto importante pure l’interesse manifestato dalla Cina, e in generale dai mercati emergenti, molto interessati all’olio tunisino. Lo stesso Giappone, per esempio. L’Australia.
Sono importanti le richieste da parte della grande distribuzione. L’interesse c’è, semmai la difficoltà è nell’ottenere i permessi per accedere alle varie reti commerciali, superando i molti ostacoli della burocrazia. Ci vorrebbe una legislazione internazionale coerente e unitaria per tutti i paesi.

Speranze?
Crediamo molto nella comunità tunisina all’estero, seppure non siamo numerosi. Gli studenti partono portando con sé l’olio tunisino; ecco, si può partire da qui per dare centralità e valore alle nostre produzioni. L’interesse viene comunque soprattutto dai nuovi paesi consumatori.

Il vostro sogno?
Cercare di esportare in tutto il mondo e tenere il nome della famiglia Bichiou in evidenza, lavorando sul brand Tanit Mediterraneum.

(Prima puntata. Continua)

La foto di apertura è Luigi Caricato. La foto che ritrae i tre componenti della famiglia Bichiou è di Gianfranco Maggio per Olio Officina Festival

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