Economia

Le Dogane frenano l’export

Può sembrare paradossale, per un Paese che si contraddistingue per i grandi successi sui mercati internazionali, eppure accade. Accade che l’Agenzia delle Dogane freni, se non addirittura ostacoli, le aziende nel corso della loro attività commerciale. Il caso degli ultimi giorni, con container d’olio bloccati nel porto di Napoli, segna l’ennesimo caso di disservizio, con in più il dubbio, non del tutto sopito, che dietro le lungaggini burocratiche vi sia una strategia imposta dall’alto

Luigi Caricato

Le Dogane frenano l’export

Questo articolo non lo avrei voluto mai scrivere, ma la mia coscienza mi spinge a farlo. Sono anni che sento e leggo di una progressiva opera di sburocratizzazione della pubblica amministrazione, ma poi di fatto non accade nulla, o addirittura accade che si assista al peggioramento generale dello stato della realtà.

In tanti anni, essendo in contatto con le aziende olearie vocate all’export, siano esse piccole, medie o grandi imprese, ascolto sempre le loro preoccupazioni, e le tante ansie, nel cercare di risolvere problemi che spesso riscontrano nell’invio della propria merce nei container.

E’ un fenomeno che ha sempre riguardato le aziende italiane, rendendole meno competitive rispetto alle imprese estere, tant’è vero che qualche tempo fa, nel corso dei primi mesi del 2014, si era sentita l’urgenza di correre ai ripari e cercare in qualche modo di risolvere una antica inefficienza proprio nel tentativo di accelerare i tempi di sdoganamento delle merci.

Furono tra l’altro approvati, all’epoca, due emendamenti dell’onorevole Roberta Oliaro, firmati insieme ad altri parlamentari di Scelta Civica, nel dichiarato intento di imprimere una sensibile accelerazione dei tempi di sdoganamento da parte di tutte le amministrazioni pubbliche, dagli uffici doganali agli uffici di sanità marittima aerea e di frontiera, dai servizi fitosanitari al corpo forestale dello Stato, dall’Istituto del commercio estero alle Camere di commercio, dai posti di ispezione frontaliera fino a includere le stesse aziende sanitarie locali.

Fu compiuto, allora, un passaggio fondamentale. Si sperava in un cambiamento, ma pare che in Italia le burocrazie per mantenersi vive non cedano d’un sol passo al tentativo di riformare, e modernizzare, il Paese. Un burocrate non può mai accettare le riforme, perché perderebbe potere, non potendolo più esercitarlo. Perciò, nonostante i tanti tentatitvi, per far cambiar passo al paese, si resta ancora al palo.

La scelta di dare una forte accelerazione ai tempi di sdoganamento andava nella direzione di un obiettivo molto importante per giungere ai livelli di un Paese moderno. Rendere efficiente la propria struttura amministrativa e di controllo, onde favorire le esigenze di celerità imposte dai mercati, è giocoforza una necessità di sopravvivenza. Non si possono d’altra parte attendere tempi biblici per dar luogo al via libera per le merci in esportazione. Soprattutto non è pensabile avere ritardi nei tempi di sdoganamento in un Paese come l’Italia con la vocazione all’export. Un pesante disservizio in tal senso penalizza di fatto, e rende poco competitive, le aziende, e di conseguenza fa arretrare la stessa economia nazionale.

Oltretutto, le inefficienze di uno Stato poco organizzato, incapace di gestire le normali attività di controllo, crea anche un serio danno economico alle imprese, in particolare per quei casi in cui la merce ha estrema necessità di essere protetta da agenti esterni nocivi, che possono compromettere sensibilmente la qualità stessa dei prodotti da esportare, come appunto è il caso dell’olio da olive.

E’ evidente, anche ai meno dotati intellettualmente, che le confezioni di oli da olive stipate in un container e lasciate per lungo tempo esposte al sole, con temperature non controllate, portino al deperimento di una materia prima fin troppo delicata. Eppure, nonostante ciò, nonostante l’elementarità di tale problema, non sono pochi i casi di merce che per troppa attesa nei porti venga a subire notevoli, e talvolta irreversibili, danni. Danni, tra l’altro, che le imprese debbono purtroppo sopportare in silenzio, poiché nessuna di esse vorrà mai inimicarsi le istituzioni, proprio per evitare di subire future ritorsioni. Non dovrebbero accadere ritorsioni, giacché stiamo parlando di pubbliche amministrazioni, però la paura, anche se solo immaginaria, c’è, è tangibile, la si avverte molto chiaramente.

Non è un bello spettacolo. Un Paese moderno ed efficiente, attento a favorire le proprie aziende, dovrebbe semmai farsi carico di un senso di responsabilità ulteriore, rispetto a quello che sembra difettare, e che attualemnte, va detto, pare non ci sia. Il problema delle inefficienze della pubblica amministrazione deve essere risolto, anche perché un’economia che funziona, soprattutto in tempi di crisi, è un chiaro vantaggio per tutta la società, non solo per le aziende che esportano e vendono al’estero la propria merce. Pie illusioni, perché si nota invece un insistito atteggiamento di superficialità, tra color che fanno parte di strutture statali, oltre poi a un disinteresse nell’osservare le regole.

Sì, le regole. Anche perché, sempre secondo quanto disposto dagli emendamenti all’art.5 del D.L. n.145/2013 (DDL C1920), è di fatto previsto che il controllo documentale sia espletato nel termine massimo di un’ora e che la visita delle merci debba avvenire nel tempo massimo di cinque ore.
Nel caso di accertamenti tecnici, con prelievo di campioni, per questa operazione non potranno essere superati i tre giorni. Inoltre, va pure precisato che con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Dogane, dovranno essere individuati gli uffici doganali in grado di garantire l’operatività H24. Un sogno?

All’indomani degli emendamenti, tutti salutarono le nuove disposizioni con grande gioia. Veniva meno una palla al piede per il Paese. L’idea di una accelerazione dei tempi di sdoganamento per le attività di import ed export fece esultare non soltanto le imprese, quanto gli stessi rappresentanti del mondo della logistica. C’è da mettersi anche nei loro panni, imbrigliati dai rapporti che devono costantemente ogni giorno tenere con le pubbliche amministrazioni, senza la possibilità di veder snellire le operazioni di sdoganamento. Pnesate alle tante ansie, alla qualità del lavoro di chi ogni santo giorno deve sentire telefonicamente le imprese che si lamentano dei ritardi delle operazioni. Pensate ai tanti incartamenti da produrre, burocrazia su burocrazia con l’obiettivo di rfrenare il Paese.

Ho ancora con me un ritaglio di giornale, “il Sole 24 Ore”, dove compare il nome di Nereo Marcucci, presidente di Confetra, la Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica, il quale aveva subito evidenziato il successo delle nuove disposizioni, anche perché rappresentavano un rilancio dell’Italia agli occhi del mondo. Noi un tempo eravamo noti per le irrisolte inefficienze della struttura pubblica, in realtà lo siamo tuttora. Eppure, le disposizioni derivanti dagli emendamenti Oliaro, dovevano in qualche modo ridurre il gap competitivo che per decenni ci ha visto in grande difficoltà rispetto al resto dei Paesi nel mondo.

Ora, a distanza di qualche anno, non sembra essere cambiato nulla, com’era forse prevedibile. Nonostante le reiterate promesse, la situazione non è migliorata di molto. Anzi, forse è anche peggiorato l’atteggiamento di funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione, non tanto per un loro accanimento, questo no, sono persone perbene, quanto per il fatto che si dimostrino del tutto o quasi lontani dalla realtà, incapaci pertanto di comprendere come dietro al proprio lavoro ci sia anche il lavoro di altrettante persone che meritano rispetto e attenzioni.

Se la legge prevede dunque il lasso di tempo di tre giorni per dare il via libera all’export, così da favorire gli scambi commerciali, in modo da far raggiungere alle imprese nazionali l’importante obiettivo dell’export, le dogane sono tenute al rispetto di tali regole.

Un tempo si effettuavano i prelievi e il container carico di merce poteva partire, salvo poi lasciare a carico dell’azienda l’onere di recuperare il prodotto, qualora ci fosse un richiamo. Finora era così, ammette tra l’altro un operatore del settore interpellato: l’olio è un prodotto delicato, non può stare sotto il sole e dentro un container per un tempo imprecisato.

Il problema di questi giorni riguarda Napoli. L’ho saputo per caso, proprio a seguito di un mio viaggio nella capitale campana. Ho sentito la preoccupazione e l’ansia, e anche una rabbia repressa. “Non si può lavorare così, non si può lavorare così”, ripeteva, esasperata, la voce dell’interlocutore.

Cerco di informarmi e di capire. Trovano una giustificazione un po’ debole. Non dipende dall’ufficio locale, hanno ricevuto precise istruzioni da Roma, alle quali non possono sottrarsi. Manca però un riferimento preciso, si parla di una volontà dall’alto, ma senza specificare nulla, non vi è alcun documento ufficiale in cui vi sia l’ordine di trattenere la merce oltre il dovuto. E’ merce però delicata, ricordiamolo, e i rischi che questa merce si rovini sono piuttosto alti, con grandi e gravi danni per le imprese.

Sono tre le aziende che a Napoli hanno registrato problemi in dogana. I funzionari locali – a detta di chi li ha sentiti, condividono l’idea di spingere sulle domiciliazioni, permettendo così all’azienda di stoccare in modo regolare il prodotto e, nello stesso tempo, alla dogana di fare accertamenti, secondo i tempi a loro necessari, anche più di tre giorni, se è il caso.
Tali attenzioni permetterebbero alle aziende di affrontare meglio le problematiche, consierando i costi di spedizione, considerando anche i costi di ritardata spedizione. La questione resta però delicata e irrisolta.

Chi lavora nell’export sa che in molti casi sono previste anche penali, piuttosto pesanti, se la consegna non avviene nei tempi contemplati, e oltretutto si rischia, per via dell’inefficienza delle pubbliche amministrazioni, di compromettere pure i rapporti con i rispettivi clienti. Un ritardo è un danno, non si può scherzare.

Manca, dobbiamo riconoscerlo, la dovuta sensibilità da parte degli operatori della pubblica amministrazione. Sono totalmente slegati dalla realtà. Non riescono a mettersi nei panni delle imprese. Ignorano cosa sia il mercato. Si limitano a gestire il proprio lavoro senza mettersi nei panni degli altri. Il tutto a discapito dell’economia del Paese. Perché i danni di una impresa si ripercuotono su tutti.

Purtroppo, nonostante tutti i tentativi fatti finora, l’inefficienza che caratterizza il sistema italiano rimane un pesante segno di arretramento del Paese. Una involuzione inspiegabile, considerando che oggi, rispetto al passato, c’è la tecnologia che facilita le operazioni di controllo. Ci sono i computer, c’è internet, ci sono anche i corrieri espresso, quando si devono spedire i campioni di olio da far analizzare da un ufficio all’altro del paese. Se i laboratori delle Dogane non sono in grado di ridurre i tempi delle loro operazioni di legittimo e doveroso controllo, si organizzino diversamente. Se non sono in grado di rispettare i tempi, si organizzino delegando a laboratori privati, ma è sufficiente talvolta che si spediscano i campioni da dogana a dogana, effettuando però una spedizione urgente a un giorno, anziché spedire campioni d’olio come pacco ordinario – ammesso che sia questo il problema.

Tante speranze di cambiamento ma poi nulla di fatto cambia. C’è purtroppo da registrare un sistema lacunoso, che, ci dice un operatore interpellato, ricorda un po’ il centro unico di prenotazioni delle analisi mediche. Così accade che quando si decide di fare un controllo, il campione prelevato non lo si invia alla stessa dogana che ha effettuato l’operazione, ma a quella di un laboratorio libero. Così, di fatto, ci sono aziende che attendono un responso anche da due settimane, con, oltretutto, il prodotto fermo nel porto, e la preoccupazione, seria, di veder compromesso il proprio lavoro. Oltre, poi, a uno stato perenne d’ansia per le aziende (“Farò in tempo, non farò in tempo? Cosa posso fare, perché ritardano così tanto?”).

Eppure esiste una legge che regolamenta i tempi. Le leggi vanno rispettate. Cosa fanno allora gli uffici centrali della Dogana per risolvere tali gravissime inefficienze? Se non sono preparati a svolgere un compito così delicato, deleghino ad altri. C’è sempre chi sa organizzarsi bene e lavorare con tempestività ed efficienza. Si possono selezionare delle imprese private, esterne all’amministrazione pubblica, cui affidare la cura e la gestione di tali operazioni. E’ una ipotesi fattibile, per il bene del Paese. Non è forse il tempo di riformare un Paese che corre ancora a una velocità rallentata?

Quella di delagare un lavoro che non si è in grado di svolgere non è un’idea fuori luogo, e nemmeno impraticabile: tutti gli uffici pubblici che non si dimostrano all’altezza dei propri compiti possono limitarsi a esercitare il solo controllo, lasciando lavorare altri soggetti (privati, dove si è più efficienti) capaci di lavorare rispettando tempi e, soprattutto, rispettando le imprese.

Non è un’eresia, anche perché, non dimentichiamolo, le imprese costituiscono una risorsa importante del Paese, giacché rappresentano la colonna portante senza la quale tutto il sistema crolla. In fondo, se l’economia oggi è in crisi, è anche per le inadempienze di quanti, nel grande magma della pubblica amministrazione, dovrebbero essere efficienti ma non lo sono, e nemmeno, purtroppo, va pure evidenziato, si sforzano in qualche modo di cambiare, migliorando le proprie performance.

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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