Economia

Le news sul fronte dell’olio

Tanti i temi della rassegna stampa internazionale di questa settimana: la xylella in Spagna; l’olivicoltura sostenibile nella lotta contro i cambiamenti climatici; il recupero di oltre 100 mila ulivi abbandonati nella comunità aragonese di Oliete; l’ingresso del Montenegro nel Coi; e infine l’olio di sansa con cui si punta a conquistare il mercato spagnolo facendo leva su qualità e credibilità

Mariangela Molinari

Le news sul fronte dell’olio

Anche in questo caldo agosto l’olio di oliva continua a occupare le pagine di giornali e magazine.
Su Revista Almazara, per esempio, si sottolinea come il tempo abbia dato ragione ai produttori olivicoli maiorchini che solo tre mesi fa mettevano in guardia circa il pericolo di Xylella fastidiosa per l’intero territorio spagnolo: i focolai riscontrati nelle Baleari, denunciavano infatti, non potevano essere gli unici, considerato che il materiale vegetale che giunge a Maiorca proviene dalla penisola. E, in effetti, nel giro di poche settimane la presenza del pericoloso batterio è stata riscontrata nella Valle del Guadalest (Alicante) in almeno 30 diverse tenute, in particolare mandorleti. Anche qui, come già era accaduto nelle Baleari, gruppi di produttori hanno impedito il taglio degli alberi infetti, unico metodo avvallato dall’Unione Europea per ridurre il rischio di propagazione del patogeno.
Ora, mentre le organizzazioni agrarie e le comunità autonome discutono sull’entità della possibile diffusione della Xylella, il timore maggiore è la sua possibile comparsa in Andalusia: in province quali Jaén, Cordova, Siviglia o Malaga risulterebbe devastante.
Attivati i protocolli previsti sia in campo sia in vivaio, il problema di fondo restano gli esemplari di ulivo, mandorlo o alberi da frutto che, già infetti, presto inizieranno a mostrare i primi sintomi di decadimento.

Si cambia argomento su Olive Oil Times, che pone i riflettori sui benefici effetti di un’olivicoltura sostenibile nella lotta contro i cambiamenti climatici, dedicando un’ampia intervista a Cristos Xiloyannis, docente di fisiologia degli alberi da frutto presso l’Università della Basilicata impegnato da anni su questo fronte.
In effetti, il tema della sostenibilità è tornato prepotentemente alla ribalta in questi mesi che, caldi e secchi, hanno non di rado reso necessario prevedere sistemi d’irrigazione anche per la coltura dell’ulivo.
Considerati i sempre più frequenti periodi di siccità, sottolinea Xiloyannis, è opportuno accumulare il più possibile acqua nelle stagioni più piovose e, visto che l’incremento delle temperature primaverili ed estive portano la pianta a una maggiore traspirazione (cui si aggiunge l’evaporazione dal suolo), sarebbe utile approfondire la conoscenza del dry-farming, vale a dire di quelle tecniche agricole adatte a regioni con scarsità di pioggia.
Non va poi sottovalutato l’innalzamento delle temperature invernali, che priva molte varietà di ulivi del periodo di freddo indispensabile alla pianta a formare le gemme, e determina, così, una minore produttività. Mentre l’accresciuta intensità delle piogge, quando finalmente sopraggiungono, oltre a causare danni alle coltivazioni non porta riserve di acqua nel sottosuolo.
Per far fronte a tutti questi problemi, suggerisce Xiloyannis, si dovrebbe in primo luogo agire sulla tessitura o granulometria del suolo, accrescendone la macroporosità e, di conseguenza, la conducibilità idrica. L’obiettivo è far sì che anche piogge intense possano raggiungere una profondità di 3-4 metri ed essere trattenute. A tal fine sarebbe da incentivare un sistema a “lavorazione zero” (o quasi) del terreno, che preveda dissodamenti e arature intense soltanto di rado e in zone con effettivi problemi di compattazione del suolo e conseguenti ristagni idrici; mentre una lavorazione leggera, che penetri il terreno non più di 5 centimetri, si rivela utile per eliminare le infestanti che competono con gli ulivi nell’accaparrarsi acqua e sostanze minerali. Intercalare poi le colture con strisce prative di essenze spontanee contribuirebbe a migliorare la struttura del suolo grazie alle loro radici. Senza contare che tutte queste misure aiutano non da ultimo a prevenire l’erosione e a evitare che eventuali fertilizzanti ed erbicidi raggiungano le falde acquifere più superficiali.
Con il suo gruppo di ricerca Xiloyannis sta promuovendo per l’irrigazione degli ulivi l’utilizzo di acque reflue urbane trattate, che, sottolinea, contengono fosforo, potassio, calcio e altri importanti elementi per lo sviluppo della pianta. Basti considerare l’esperienza di Israele, dove ha questa provenienza il 50% dell’acqua utilizzata in agricoltura. L’esperimento condotto in tal senso anche dal team di Xiloyannis in Lucania si è dimostrato estremamente positivo: questo tipo di irrigazione ha accresciuto la produttività degli ulivi, da cui, tra l’altro, è stato ottenuto un olio ritenuto eccellente. Sarebbe dunque auspicabile tenerlo presente: solo in Puglia, per esempio, potrebbero essere riutilizzati 1,2 milioni di metri cubi di acqua trattata al giorno. Il diffondersi di queste tecniche colturali e di un approccio sostenibile, conclude il docente, potrà favorire in misura sostanziale il contenimento degli effetti dei cambiamenti climatici.

El mundo ecologico racconta la storia interessante ed esemplare di Apadrinaunolivo.org, il progetto sostenibile e solidale che punta a rivitalizzare la comunità rurale aragonese di Oliete grazie a quella che un tempo qui era la coltura principale: l’ulivo.
L’obiettivo dell’iniziativa, infatti, è il recupero e la valorizzazione degli oltre 100mila ulivi abbandonati in questo territorio, innescando un processo di sviluppo economico per le sempre più scarne comunità rurali che vi risiedono (sei dei dieci municipi hanno una popolazione inferiore ai mille abitanti). Chiunque sia interessato, perciò, ha la possibilità di adottare un ulivo, perfettamente individuato e localizzato, contribuendo a sostenere la zona e a creare posti di lavoro in loco. In un anno di attività il progetto ha recuperato 5.200 ulivi, grazie a 2mila “padrini”. Di questi più di 250 si sono già recati a toccare direttamente con mano il proprio ulivo e a prendersene l’olio. Oltre a utilizzare metodi sostenibili in campo, il progetto ha avviato la vendita dei prodotti su Internet.

Passiamo a Olimerca, che rende noto l’ingresso del Montenegro nei COI, il Consiglio Oleicolo internazionale, grazie alla ratifica dell’accordo internazionale firmato nel 2015. Il Paese annovera una lunga tradizione olivicola e coltivazioni concentrate soprattutto nella zona litorale, dove vennero introdotte dai greci.

Le colonne di elEconomista.es danno, infine, spazio all’olio di sansa, che punta a conquistare il mercato spagnolo facendo leva su qualità e credibilità. Lo sottolinea José Luis Maestro, presidente della Interprofesional del Aceite de Orujo de Oliva, che per l’olio di sansa prevede un soddisfacente sviluppo soprattutto nel canale Horeca (hotellerie, ristorazione e catering) e nell’industria alimentare, grazie alla sua capacità di sopportare meglio le alte temperature in frittura.
Come osserva Maestro, è curioso che fuori dalla Spagna l’olio di sansa sia molto più apprezzato e consumato, anche in mercati “difficili” ed esigenti in termini di garanzie di qualità, come gli Stati Uniti, il Giappone e gli Emirati Arabi. “Una percentuale compresa tra l’85 e il 90% della produzione spagnola di olio di sansa è venduta al di fuori dei confini nazionali – afferma –, tanto che ne siamo i maggiori esportatori a livello mondiale, oltre che i principali produttori. Per favorire la diffusione di quest’olio verranno implementate le ricerche con i principali centri spagnoli, seguendo essenzialmente due linee: qualità in frittura e benefici per la salute”.

La foto di apertura (Paesaggio olivetato in Toscana, a Vinci – tenuta di Domenico Fazio) è di Luigi Caricato

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