Economia

Lo stato di salute delle IG olearie? Intervista al ministro Francesco Lollobrigida

“In passato – sostiene il titolare del dicastero agricolo – le lungaggini burocratiche hanno scoraggiato i produttori e alla fine del percorso molti avevano già fatto altre scelte imprenditoriali, come quelle di investire magari sul biologico o sul proprio brand aziendale o altre certificazioni private. Con la nuova riforma i tempi non saranno così lunghi. Si arriverà al riconoscimento di un prodotto in pochi mesi e questo potrebbe servire per aiutare la crescita anche delle Dop”

Luigi Caricato

Lo stato di salute delle IG olearie? Intervista al ministro Francesco Lollobrigida

Signor Ministro, qual è lo stato di salute degli oli con attestazione di origine Dop e Igp in Italia? Rispetto all’olio extra vergine di oliva 100% italiano, in che misura percentuale pesano sul mercato gli oli con origine certificata?

Gli oli italiani Dop e Igp hanno sicuramente un riconoscimento a livello internazionale per la loro qualità che non è in discussione. La loro produzione pesa quasi il 4% della produzione nazionale che si attesta a circa 290 mila quintali secondo i dati Ismea. Dobbiamo sicuramente far crescere in quantità le cinquanta Indicazioni geografiche italiane riconosciute che rappresentano anche uno straordinario strumento di tutela sia della biodiversità delle oltre cinquecento cultivar, sia del paesaggio italiano.

 

Come si spiega il fatto che alcune Dop siano caratterizzate da un insuccesso costante, già a partire dal loro esordio? A cosa è dovuto questo paradosso? Se si è lavorato per ottenere il riconoscimento, perché allora non ci si è impegnati altrettanto nel far valere sul mercato tali oli territoriali certificati?

Nel passato è successo che per ottenere una registrazione per una Dop si dovesse aspettare anche cinque o sette anni dal momento dell’inizio dell’iter. Queste lungaggini burocratiche hanno scoraggiato i produttori e alla fine del percorso molti avevano già fatto altre scelte imprenditoriali come quelle di investire magari sul biologico o sul proprio brand aziendale o altre certificazioni private. Con la nuova riforma questi tempi non saranno così lunghi. Si arriverà al riconoscimento di un prodotto in pochi mesi e questo potrebbe servire per aiutare la crescita anche delle Dop.

 

Dopo tante Dop olearie ufficialmente riconosciute, è arrivata la mania delle Igp. Non c’è regione che non punti a ottenerne una. Per quale ragione? Forse perché, a conti fatti, si è scoperto il fallimento di uno strumento eccezionale e unico come la Dop? In cosa si è sbagliato? Cosa non ha funzionato?

Le aggregazioni che portano alla richiesta di una Dop o Igp sono sempre decisioni delle imprese. Le dinamiche di aggregazione regionali sono nate anche per il successo di alcuni oli come Igp Toscano. La dimensione regionale sicuramente consente di disporre potenziali produttivi più importanti ed una connotazione geografica meglio riconosciuta anche fuori dall’Italia. Questo credo consenta alle imprese di affrontare al meglio il mercato internazionale. Ci sono comunque anche Dop che funzionano bene. Non sta al Ministero decidere la strategia delle imprese. Noi vogliamo supportare al meglio questo settore, perché è una priorità della mia agenda politica.

 

Perché molte denominazioni di origine olearie non sono dotate di un proprio consorzio di tutela? È normale disporre di una Dop senza ricorrere a un Consorzio che faccia da regia?

Non sempre le piccole produzioni Dop sono in grado di sostenere la crescita di un Consorzio. Auspichiamo con la nuova riforma e gli interventi che abbiamo predisposto per il settore dei Consorzi che ci possa essere uno sviluppo anche in questo senso per il settore oli.

 

Non ha il sospetto che a non far decollare le attestazioni di origine olearie in Italia siano le organizzazioni agricole (per via della competizione tra le varie organizzazioni nella lotta a ricoprire ed esercitare i ruoli di controllo)? O vi sono, secondo lei, altre ragioni?

Nel settore agricolo sono importanti tutti i livelli intermedi, non credo che il settore olio sia stato penalizzato dalle competizioni delle organizzazioni. Penso invece che fino a qualche anno fa non veniva considerato un settore importante per il Made in Italy, forse veniva vissuto come una nicchia.

 

C’è inoltre un altro grosso problema: anche gli stessi consumatori non premiano gli oli Dop e Igp. Al momento dell’acquisto preferiscono affidarsi agli oli da primo prezzo, e così, soprattutto per via dei costi più elevati degli oli Dop e Igp, rinunciano senza tentennamenti alle peculiarità distintive di oli unici, nonostante questi siano l’espressione dei territori e di un patrimonio varietale autoctono ragguardevole. Cosa si può fare per sensibilizzare i consumatori e condurli verso scelte che valorizzino i vari areali produttivi?

Bisogna educare i consumatori, per farlo occorre anche una collaborazione con la ristorazione che deve facilitare, come ha già fatto bene con il vino, anche la conoscenza sull’olio Evo ed in particolare quelli a Indicazioni geografica. Anche il nascere dell’oleoturismo servirà ad incrementare la conoscenza di questo alimento legandolo al territorio di produzione. Su questi temi noi abbiamo iniziato sin da subito una collaborazione con gli studenti degli istituti alberghieri e istituti tecnici agrari per rafforzare proprio le identità dei nostri prodotti sia sulle tavole che sui campi. Azioni che avranno sicuramente un effetto sostanziale nei prossimi anni. Certo che possiamo fare di più come ad esempio una campagna di comunicazione ad hoc, come stiamo facendo per altre filiere.

 

Per chiudere, vi è un altro grosso e irrisolto problema: sono in pochi, percentualmente, rispetto alle potenzialità, i produttori che certificano i propri oli. Come mai non ci si avvale di uno strumento pensato per segnare una differenza ed evidenziare un valore oggettivo? Non sarebbe forse il caso di cambiare qualcosa nel sistema che regolamenta i consorzi di tutela, assegnando un ruolo maggiore e decisionale a frantoiani e confezionatori, visto che sono realtà più strutturate e più orientate al mercato?

Nei Consorzi di Tutela possono stare tutti gli operatori della filiera, nessuno escluso. Spesso ci sono operatori che non hanno interesse a stare nei Consorzi perché la loro attività non è concentrata sulle Dop e Igp. Ma queste sono scelte delle imprese e non certo delle istituzioni. I loghi Dop e Igp sono già di per sé strumenti che attestano un valore oggettivo e che hanno anche dietro un sistema di controlli pubblici e privati che nessun altro Paese europeo può vantare. Io comunque sono positivo perché penso che questo settore possa nei prossimi anni rafforzarsi grazie all’aumento delle richieste di oli di qualità proveniente dai mercati internazionale e dal potenziale che i nuovi consumatori della fascia giovanile rappresentano, molto di più interessati alla qualità del prodotto. Un’ulteriore spinta potranno darla anche le misure specifiche previste per il settore. Pagamenti diretti per il sostegno al reddito, miglioramento della qualità di produzione, mitigazione e adattamento rispetto ai cambiamenti climatici e in favore dell’ambiente, la ridefinizione del pagamento accoppiato solo per l’olio Ig, l’eco-schema per la salvaguardia degli olivi di particolare valore paesaggistico, lo sviluppo rurale con gli investimenti nelle aziende olivicole, la gestione dei rischi, la misura del Pnrr per l’ammodernamento dei frantoi oleari. La nostra attenzione al settore è costante ed è per questo che, tramite l’impegno del sottosegretario La Pietra, abbiamo voluto organizzare la riunione internazionale del Coi a fine maggio a Siena.

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