Economia

Lo zero viene prima dell’uno

Èvviva, dolci e cucina a scarto zero. In viaggio, insieme con Carla Latini, alla scoperta di un progetto e di un locale di Andrea Muccioli e Franco Aliberti in cui si ridimensiona il troppo

Nicola Dal Falco

Lo zero viene prima dell’uno

Riccione – Siamo abituati a contare, partendo da uno, perché i romani a differenza degli indiani non conoscevano lo zero, il nulla. Lo zero è il vero punto di inizio. Da questa considerazione devono essere partiti anche Andrea Muccioli e Franco Aliberti, ideatori di Èvviva, dolci e cucina a scarto zero.

Un progetto e un locale che ridimensiona il troppo e, alla fine, trasforma lo zero oltre che in una ciambella per andare avanti malgrado tutto, anche in un cerchio che include, che abbraccia dal punto di vista umano, sociale e lavorativo.

Lo zero inteso, insomma, come un vuoto, uno spazio in cui si può calibrare il proprio futuro, dando al presente, ciò che è già, un valore. Questo zero, che non fa paura, che contiene tutte le possibilità, ti fa immaginare le stesse cose in maniera diversa.

Ad esempio, di rispettare la storia di un posto, recuperando il recuperabile; di adattare in maniera elastica l’offerta alla domanda, riunendo in un solo luogo un bar caffetteria, una pasticceria, una rosticceria, un ristorante; di includervi una foresteria e un orto biologico e didattico; di offrire a ragazzi tra i 16 e i 22 anni, con problemi di adattamento, la possibilità di condividere regole e obiettivi. Tutto ciò, dimostrando che i costi di realizzazione non sono stratosferici e che la spesa totale per il progetto è di 625 euro a metro quadrato per trecentodue metri quadrati.
Chi non spreca, può investire.

INTERVISTA A CARLA LATINI

A Carla, responsabile dell’ufficio stampa di Èvviva, iniziamo col chiedere che tipi sono Andrea Muccioli e Franco Aliberti?

Due visionari sani che hanno inseguito un sogno e che, ora, stanno per realizzarlo. Due amici veri che si sono presi per mano. Sono complementari. Sono razionali e analitici, creativi e appassionati. Sono proprio orgogliosa di lavorare con loro. In questi ultimi mesi mi sono arricchita. È bello vederli condividere ogni passo in avanti, ogni sforzo, ogni arrabbiatura. Andrea affronta tutto con slancio e forza, Franco, da buon napoletano, sdrammatizza.

La sostenibilità del progetto Èvviva permette di fare alcune riflessioni sul senso delle cose, a partire dallo spreco per finire con la condivisione e la solidarietà. La crisi, oltre ad aguzzare l’ingegno, ha aspetti virtuosi?

Credo proprio di si. Diventa una sana abitudine tendere allo spreco zero. A Èvviva tutti ragionano in questo senso. È diventata la sfida nella sfida. È molto divertente e costa sicuramente meno.

Muccioli e Aliberti pensano di mettere la loro idea a disposizione del mercato, di altri visionari?

In realtà Èvviva è un format replicabile in qualsiasi parte del mondo. Si chiama Èvviva Riccione, ma domani Èvviva New York o Tokyo. Chissà?

E per finire, che storia ha questo locale?

Una storia antica. La vecchia lavanderia del Grand Hotel che stava per essere abbattuta. Qui, parlano gli schizzi sui muri della tintoria, i numeri sulle scale che ci riportano all’ultima guerra. Qui, è stato recuperato tutto. Parlano le vecchie sedie della sala da pranzo del gran hotel, parlano le macchine da cucire diventate tavoli da pranzo.
Parla il mangano all’entrata, un aggeggio enorme che va a pedale e a mano dove si infilavano le lenzuola e le tovaglie per essere strizzate,ed ora trasformato in tavolo per le prime colazioni. Parla il vecchio centralino della reception che ora è la cassa di Èvviva. Un locale vivo e vivace. Un locale sopravvissuto, felice di esserci ancora.

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