Quanto è davvero competitiva la filiera olivicola? Il nodo da sciogliere è la questione costi di produzione
Ismea ha realizzato un report con una approfondita analisi della redditività e dei fattori determinanti. Tutto ciò nell’ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale. Sono stati analizzati in particolare i processi evolutivi che stanno segnando il comparto, evidenziando le recenti tendenze caratterizzanti l’attuale panorama produttivo e quello degli scambi, approfondendo il tema della competitività in termini di efficiente gestione aziendale e contenimento dei costi di produzione

Il focus del report Ismea dal titolo La competitiva la filiera olivicola. Analisi della redditività e fattori determinanti – di cui ne sono autori Mario Cola e Tiziana Sarnari – è il frutto dell’analisi dei costi effettuata attraverso la somministrazione di un questionario a un campione selezionato di aziende. A collaborare alla buona riuscita dello studio le principali associazioni del settore da Cia a Confagricoltura, fino a Coldiretti, unitamente con le organizzazioni Unaprol, Italia Olivicola, Unapol e FOOI.
Il coordinamento operativo è di Antonella Finizia, mentre il responsabile scientifico è Fabio Del Bravo. Nell’introduzione all’indagine, che potete leggere e scaricare l’intera pubblicazione CLICCANDO QUI, si mette in evidenza come il settore dell’olio di oliva italiano stia attraversando, ormai da qualche tempo, difficoltà strutturali e commerciali nonostante la qualità delle sue produzioni. In tema di mercato l’Italia – si legge – subisce la concorrenza della Spagna, soprattutto per i prodotti di massa, mentre riesce a sganciarsi dalle dinamiche del mercato spagnolo sull’olio extra vergine di maggiore qualità.
Non è certo una sorpresa quando si legge che “il consumo nazionale resta costantemente superiore alla produzione, a dimostrazione che l’Italia non è autosufficiente e dipende dalle importazioni, che, oltre a coprire una fetta di mercato interno, servono anche ad alimentare l’export delle industrie italiane, da sempre apprezzate per il know-how nella composizione di blend di oli provenienti dai diversi paesi produttori”.
“Una delle carenze informative sul settore – si legge sempre nell’introduzione – è quella relativa alla struttura dei costi, peraltro di difficile definizione proprio per la grande diversità delle aziende olivicole e dei numerosi modelli produttivi che caratterizzano il panorama nazionale”.
“I risultati dell’indagine – concludono gli autori dell’indagine nell’introduzione allo studio – confermano la grande variabilità dell’olivicoltura nazionale anche sotto il profilo della redditività. A seconda dell’area geografica e dell’annata di caricao scarica, infatti, i redditi operativi delle aziende olivicole possono essere soddisfacenti anche al netto dei contributi pubblici, come è stato osservato in diverse imprese ben strutturate ubicate in areali non svantaggiati del Meridione, o nettamente negativi, con i ricavi derivanti dalle vendite di olive e olio che non arrivano a coprire il totale dei costi fissi e variabili (…).
Cosa resta da fare? “In futuro – si legge – si dovranno orientare le scelte politiche supportando le aree olivicole più vocate per poter competere sul mercato globale e, parallelamente, evitare l’abbandono degli oliveti nelle aree più marginali, fenomeno peraltro in preoccupante espansione, dove l’olivo rappresenta una preziosa risorsa paesaggistica fondamentale per prevenire il dissesto idrogeologico”.
Ed ecco le conclusioni: “La strategia futura che potrebbe tradursi in una “NUOVA OCM OLIO” dovrebbe incidere direttamente sull’intera filiera, dagli oliveti alla trasformazione, con relativa promo-commercializzazione secondo paradigmi di qualità e sostenibilità finalizzata alla sicurezza dell’ambiente e della salute dei cittadini. Il nuovo approccio “strategico”, che include anche la valorizzazione del modello Farm to Fork, vuole rispondere alla situazione di crisi del settore, per rilanciarlo nel medio-lungo periodo mediante l’attuazione di interventi e azioni. Queste saranno mirate alla riqualificazione della filiera olivicola-olearia con l’intento di portare l’olio di oliva a diventare un vero prodotto “culturale” che crei valore per i territori, gli imprenditori e benessere per la collettività europea più in generale, e italiana più in particolare. Tutto questo soprattutto senza perdere di vista quelli che sono gli obiettivi di sviluppo sostenibile del piano di azione di Agenda 2030”.
In apertura, una foto di Olio Officina
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