Economia

Rompere con il solito cliché

Le bottiglie a sezione quadra, con la solita etichetta chilometrica. In un mercato sempre più affollato, non si può scivolare nel bene commodity. I simboli che ornano l'etichetta – ci spiega Giuseppe Divita dell’Oleificio Guccione, che con Zahara ha conseguito la menzione d’onore al concorso Le Forme dell’Olio - si ispirano alla scrittura pittografica fenicia, mentre il font usato da’ un'idea di compostezza, riproducibilità e storicità

Olio Officina

Rompere con il solito cliché

Proseguiamo nella scoperta dei vincitori del Premio Le Forme dell’Olio. Per sapere i dettagli, cliccatye pure QUI. Ciò che conta, è che qualcosa si sta smuovendo. Il proprosito di cambiare veste all’olio da olive sta prendendo sempre più piede. Non ha senso proseguire con il solito approccio. E’ ora di cambiare. Dietro a ogni idea c’è sempre un disegno che si nutre di sogni e aspirazioni. L’Oleifico Guccione significa un lavoro orientato alla qualità, ma anche un’attenzione a ogni minimo particolare.

“Siamo due fratelli di 21 e 24 anni”, ci confida Giuseppe Divita. E, per l’esattezza, rispettivamente due studenti: uno di relazioni pubbliche e comunicazione d’impresa, l’altro di agraria.

Cosa è successo? E accaduto che circa due anni fa i due fratelli hanno deciso di intraprendere una strada nuova e costituire una nuova società, “diventando proprietari effettivi dell’oleificio dei nostri nonni”. La struttura operativa esiste infatti da quasi cinquant’anni. Ciò che è nuovo è la visione. Nuova è anche l’impronta: “il nostro prodotto, Zahara, un monovarietale da olive Tonda Iblea, è stato, fino alla sua realizzazione e lancio sul mercato, una sfida per noi stessi – dicono – oltre a un obiettivo da raggiungere”.

L’obiettivo è stato raggiunto. Come? “Grazie a una strategia ben definita”, dicono. “Tutto ciò è andato oltre la semplice scelta della bottiglia e l’adattamento di un’etichetta carina. L’idea di differenziarci nasce dalla voglia di rompere il cliché dell’olio d’oliva visto nella solita bottiglia a sezione quadra con la solita etichetta chilometrica, che in un mercato sempre più affollato sta ormai cadendo nella trappola del bene commodity. Se alla differenziazione del packaging, aggiungiamo la fortuna di produrre in un territorio come Chiaramonte Gulfi e l’impegno che mettiamo per raggiungere il massimo livello qualitativo, pensiamo di aver creato un sistema di prodotto che possa durare e rinforzarsi sempre più nel tempo”.

I fratelli Divita hanno riscontrato il pieno consenso da parte della giuria del Premio “Le Forme dell’Olio”, ottenendo la menzione d’onore nella categoria oli da scaffale e canale Horeca. La loro bottiglia ha una linea elegante, un bell’abbigliaggio. Niente è nato dal caso. “L’ideazione e la progettazione del packaging è durata parecchio, circa sei mesi. Abbiamo voluto seguire passo passo il progetto affidato a un graphic designer. Studiando a Milano a volte questo ci veniva un po’ difficile e il progetto veniva messo in stand-bye. Diciamo che ci siamo presi tutto il tempo necessario per riflettere, perché tutto doveva essere perfetto. Anche la scelta dei fornitori che potessero soddisfare le nostre esigenze è stata lunga”. Già, perché non è facile. Non è facile soprattutto per l’olio. Avendo ascoltato molti tra i protagonisti del concorso sul packaging, la difficoltà di tutti è stata di iniziare un percorso poco battuto da altri. Non è come il mondo del vino, dove tutto è più semplice perché già portato avanti da molti. Si tratta di volta in volta di una scoperta nuova, “del resto – sostiene Giuseppe Divita – nell’ambiente delle tipografie, degli scatolifici e delle vetrerie eravamo nuovi”.

“La strategia creativa che abbiamo deciso di seguire, prevedeva la costruzione di un’identità di marca attraverso elementi che caratterizzassero la sicilianità. Dopo alcuni studi – precisa Divita – abbiamo deciso di guardarci indietro e di tornare alle origini omaggiando due grandi popoli che hanno contribuito a scrivere la storia siciliana: gli Arabi, e i Fenici”.

Già, perché “Zahara è un nome arabo usato per definire un fiore che splende di bianco e che nel dialetto locale, a zàgara, si riferisce alla fioritura primaverile degli ulivi. Per questo popolo l’ulivo era visto come una pianta sacra, devozione riscontrabile nel Corano dove è citato ben sette volte. I simboli che ornano l’etichetta si ispirano alla scrittura pittografica fenicia, ricordando il primo popolo che introdusse la coltivazione dell’ulivo in Sicilia. Il font usato da un’idea di compostezza, riproducibilità e storicità.

“La strategia adottata – conclude Divita – ci permette di posizionare il prodotto in una fascia alta, sicuramente non ci permette di sottostare alle logiche della Gdo, ma di venire apprezzato e di posare con la sua eleganza sulle migliori tavole, e sugli scaffali delle migliori enoteche”.

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