Economia

Una strategia comune per l’olio

Più spazi di mercato remunerativi, più consumatori consapevoli. Nella nostra inchiesta sul confronto tra Italia e Spagna, ha risposto Mauro Meloni, il direttore del Ceq, il Consorzio dell’olio extra vergine di qualità. Il confronto pende a favore degli spagnoli, ma i due Paesi devono muoversi insieme. Non ha senso una guerra. Bisognerebbe puntare a incrementare il numero assoluto di consumatori nel mondo, oltre al numero di consumatori che ne percepiscono l'alto valore

Luigi Caricato

Una strategia comune per l’olio

Prosegue la nostra indagine, davvero interessante, perché arricchente, e utile per capire come sia percepita la Spagna dagli addetti ai lavori italiani. Abbiamo ascoltanti alcune tra le voci più autorevoli. E così, dopo Massimo Occhinegro (Rimettersi in gioco), Francesco Visioli (Gli spettacolari oli spagnoli), Elia Fiorillo (Spagna olearia vs Italia olearia) e Giovanni Zucchi (Italia-Spagna? C’è molto da fare), è la volta di Mauro Meloni, il direttore del Ceq, il Consorzio dell’olio extra vergine di qualità.

Una ampia sintesi dell’intera inchiesta è stata pubblicata sul trimestrale spagnolo “Mercacei”.

INTERVISTA A MAURO MELONI

Partiamo da un confronto che frequentemente si fa da qualche anno a questa parte, tra gli addetti al settore. Mi riferisco ovviamente al confronto tra Italia e Spagna. Un confronto sul fronte olivicolo, prima ancora che sul fronte oleario.
La domanda che ho già posto ad altri, è la seguente: chi sta dimostrando di lavorare molto bene? E aggiungo anche: chi è, tra i due Paesi, quello che si sta rivelando più vincente?

Nessuno dei due. Nessuno dei due Paesi sta lavorando bene.

Come mai?

I risultati ce lo dicono molto chiaramente.

Ovvero?

Nei nuovi mercati, l’olio di oliva è un condimento che è chiamato a competere con altri condimenti più economici e, allo stato attuale, nessuno dei due Paesi ha ottenuto risultati soddisfacenti.

E cioè?

Non riescono a convincere i consumatori del valore differenziale dell’olio di oliva, rispetto agli altri grassi. Non riescono a indurli a introdurlo consapevolmente nella propria dieta.

Quindi, cosa avviene per l’esattezza?

Nei paesi tradizionalmente consumatori, la differenziazione, soprattutto per le fasce alte, sconta ancora molti limiti di comunicazione e di distribuzione. Mi resta difficile fare dei paragoni tra le strategie dei due Paesi come se fossero due blocchi di strategie omogenee e differenti. Quelli che abbiamo sempre chiamati “modello spagnolo” e “modello italiano”, in realtà sono sempre meno esclusivi e corrispondono sempre più a tipologie di olivicoltura orientate a posizionamenti diversi che ritroviamo in entrambi i Paesi.

Dunque, se vogliamo semplificare?

Possiamo sostenere che la Spagna ha i suoi punti di forza nell’organizzazione dell’offerta, mentre l’Italia ce li ha nel presidio dei mercati e nel marketing, che, invertiti, diventano i rispettivi punti deboli.

In che cosa sono da ritenere molto bravi gli spagnoli?

Sono molto bravi a presentarsi compatti agli occhi dei mercati finali e nei tavoli istituzionali, anche se in realtà non lo sono così tanto. Sono anche molto attenti a non mettere in cattiva luce gli operatori del settore agli occhi dei consumatori.

In cosa invece sarebbero invece da criticare gli spagnoli?

Sono un po’ meno bravi nel fare controlli efficaci sulla qualità del prodotto.

Veniamo al punto: come si può giudicare l’olio spagnolo? Mi riferisco a una sua valutazione da un punto di vista più strettamente qualitativo…

Mi è difficile esprimere un giudizio generalista sul prodotto spagnolo. In Spagna, come d’altra parte in Italia, si possono trovare ottimi extra vergini e pessimi prodotti. In generale in Spagna c’è un più ampio orientamento a produrre per il mass-market, anche per una maggiore efficienza produttiva, mentre in Italia vale l’opposto, con un più diffuso orientamento ai mercati di nicchia, anche per la tipologia dei territori olivicoli. I prodotti destinati a questi due mercati non possono essere comparati, perché rispondono a logiche di posizionamento diverse.

Tutti però a parlare male degli oli spagnoli, in Italia. Mi riferisco ovviamente alle dicerie che circolano tra alcuni operatori del settore, per lo più in ambito agricolo. Tutti, o comunque la gran parte delle persone, a ritenere gli oli spagnoli un prodotto di massa, dal basso prezzo, e tuttavia nessuno può negare che ai concorsi internazionali gli oli spagnoli sono i protagonisti della scena: vincono tantissimo…

Chiunque può produrre oli eccellenti se ricorre alle migliori tecniche di produzione in campo e in frantoio, e se queste tecniche le applica in maniera efficace per le varietà di cui dispone. In Spagna, dove si produce quasi quattro volte quello che si produce in Italia, sono sempre più numerose le aziende che investono sulla qualità del prodotto e i concorsi infatti lo dimostrano.

Veniamo al punto. In Italia si dileggia la cultivar Picual. In maniera anche offensiva si attribuiscono unicamente i sentori di “pipì di gatto”…

Sì, questo sentore si riferisce solo all’olio di Picual raccolta tardivamente, come si usava, e si usa ancora, in alcune zone della Andalusia. Le aziende che stanno applicando le tecniche più avanzate in campo e in frantoio, e che hanno anticipato e concentrato la raccolta della Picual, producono oli eccellenti, che nulla hanno da invidiare agli altri oli.

Sul fronte olivicoltura chi vince?

La Spagna. Vince perché è stata capace di proporre più innovazioni, apprezzate tra l’altro anche all’estero.

Sul fronte delle raffinerie?

La Spagna vince anche sul fronte delle raffinerie, come d’altra parte sul commercio degli oli sfusi, dove evidentemente la concentrazione dei volumi fa la differenza.

Siamo ancora protagonisti per il prodotto confezionato, però …

Sì, a noi italiani siamo vincenti anche sul fronte della qualità dei consumi. Vinciamo noi.

Nell’ambito della ristorazione?

Direi che perdono entrambi i Paesi.

C’è poi l’ambito istituzionale…

Per quanto l’olio da olive venga spesso portato ad esempio di settore strategico per l’Italia, nella realtà non ha mai goduto di un’attenzione “strategica”. Nel senso che non sono state mai fatte politiche di sviluppo su questo settore. È sempre stato considerato un settore economicamente molto marginale, e forse anche troppo assistito, tanto da ostacolare una reale selezione naturale di imprese efficienti.

Per quanto concerne la ricerca?

Anche la ricerca stessa si è adeguata alla realtà dei fatti, riducendo negli anni risorse umane e economiche. Proporzionalmente anche l’attenzione dei media in Italia è la conseguenza di questo scarso peso economico.

Vince insomma la Spagna…

In Spagna il peso del settore olivicolo e oleario è molto più alto, ed è stato considerato e trattato dalle istituzioni come un settore strategico. Ricerca e media hanno raccolto questa attenzione e si sono sviluppati di conseguenza.

Si può intravedere una possibilità concreta di una collaborazione vera e autentica ed efficace tra i due Paesi?

È da molto tempo che ho pubblicamente sottolineato l’opportunità di una cooperazione stretta tra Italia e Spagna, sul fronte promozionale. I margini di sostituzione degli oli di oliva nel paniere grassi sono talmente elevati da mettere in secondo piano la tradizionale concorrenza tra spagnoli e italiani.

Insomma, possiamo parlare di una strada praticabile…

Sì, perché il mercato è potenzialmente enorme. La concorrenza vera la si ha solo se non ci sono sufficienti sbocchi di mercato per tutti. Il problema comune è quello di costruire valore e questo può essere fatto solo attraverso uno sforzo educativo di vasta portata e persistente nel tempo, tanto da interessare le nuove generazioni e accompagnarle ad un consumo differenziato dell’olio di oliva rispetto agli altri grassi.

Bene, siamo entrati forse in una nuova fase?

I benefici di questo possibile sforzo nel collaborare insieme ricadrebbero su entrambi i Paesi, che si ritroverebbero negli anni più spazi di mercato remunerativi e più consumatori consapevoli.

Non sembra però essere un percorso facile…

Convincere un consumatore a sostituire l’olio italiano che consuma con l’olio spagnolo, o viceversa, è una guerra miope, una guerra tra poveri, che andrebbe sostituita con una battaglia comune che punti ad aumentare il numero assoluto di consumatori nel mondo, ma anche ad aumentare il numero di consumatori che percepiscono la categoria dell’olio di oliva come una categoria di alto valore.

Nella foto di apertura, alcune confezioni di pregiato olio da olive spagnolo Senorios de Relleu

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