Economia

Ambìre a una carta degli oli

Quale mercato è possibile per l’olio di qualità? Nei ristoranti, là dove esiste, il carrello è un pezzo da museo, un oggetto fisico in grado solo di contenere bottiglie, giusto per fare scena. Non c’è progettualità. Ma quanto incide sul piano dei costi un buon extra vergine?

Laura Turri

Ambìre a una carta degli oli

L’Italia vanta 538 cultivar di olivi e si estende lungo meridiani climaticamente molto diversi e questo ci permette di aver una ricchezza di profumi e sapori diversi, infatti in Italia ci sono 43 oli a denominazione di origine, fra cui il Garda Dop che secondo i dati pubblicati nel rapporto Qualivita-Ismea del 2012, è la sesta Dop per importanza come produzione certificata e la quinta come valore alla produzione e al consumo nel panorama italiano.

Mi sembra utile evidenziare che prima del Garda, che è un piccolissimo territorio, troviamo regioni con una capacità produttiva molto più importante. Sono l’olio Toscano Igp e le Dop Terre di Bari, Umbria, Val di Mazara e Riviera Ligure.

I produttori di olio extra vergine di oliva di qualità in questi ultimi trent’anni hanno fatto grandi sforzi per raggiungerla, seppure con poca soddisfazione, giacché sia i consumatori, sia la ristorazione sono in ritardo. Sembra quasi che considerino l’olio extra vergine di oliva un qualcosa con cui ungere, vista la scarsa attenzione che gli prestano.

I ristoratori selezionano la materia prima con severità. Scelgono un certo tipo di riso, un particolare pezzo di carne, la cipolla (quante volte nel menù ho letto della cipolla di Tropea o del sale dei Papi, per non parlare del sale rosa dell’Himalaya, o di quello nero di Cipro) e poi infine si arriva all’olio. E… E ti cadono le braccia, subentra un sentimento di amarezza perché il ristoratore sceglie l’olio che costa meno. Ciò con ogni probabilità accade perchè l’olio viene considerato come un ingrediente non importante.

La qualità della materia prima viene spesso citata, ma poco usata, dato che un olio vale l’altro, anche perché conta il finto risparmio che si trova sul mercato. L’olio di qualità, di conseguenza, fa fatica a trovare ospitalità. E questa non è una mia visione distorta, ma è una realtà ha portato il legislatore a imporre che nella ristorazione debbano esserci solo le bottiglie dotate di una chiusura antiriempimento.

Un riasprmio? E’ un falso risparmio, in realtà. Anche perché usando l’olio non buono, con caratteristiche organolettiche scadenti, si mortifica anche il piatto condito. E tutto ciò per risparmiare quanto? Per pochi centesimi!

Facendo i conti in tasca, se uso al tavolo un cucchiaio, pari a 5 g di olio Garda Dop che ha un costo minimo di 20 euro al litro, ho un costo di 0,11 centesimi.

In cucina, se si usa un buon olio extra vergine di oliva dal fruttato medio-leggero, il costo per un cucchiaio è di 0,02 centesimi.

Con un olio extra vergine di oliva di primo prezzo costerebbe poco: un cucchiaio verrebbe 0,01 centesimi, ma si avvilisce tuttavia la pietanza, la si banalizza nei profumi, se non a volte la si rovina addirittura.

Io stessa, che faccio parte del mondo della produzione, sono consumatrice e, dal tipo d’olio presente in sala, posso capire se il ristorante in cui mi trovo è attento alla qualità della materia prima oppure, come purtroppo capita spesso, se lo chef “scivola” sull’olio, e allora mi sento incerta. Incerta anche sulla proposta del menu, perché se si risparmia sull’olio, il resto della materia prima di che qualità sarà?

Siamo sicuri poi che il cliente, non sia disposto a pagare 2 centesimi per un buon olio? E l’avventore della ristorazione di alta qualità, siamo sicuri che non desideri una buona insalata condita con un buon olio extra vergine di oliva, con un incidenza sul piatto di 11 centesimi?

Presentare una zuppa di ceci è invitante, ma lo è ancora di più se si offre una zuppa di ceci con un olio extra vergine dal fruttato intenso, o una ribollita con l’olio del Chianti Dop, oppure un buon lavarello, o un branzino per chi ama il pesce di mare, condito con un filo di olio extra vergine del Garda Dop dal fruttato leggero?
Come scrisse un noto giornalista, con simili pietanze la differenza dei sapori la senti già nell’orecchio, e poi la gusti.

E’ un peccato che questo processo culturale sia così lento, anche perché i consumatori – quelli che vanno al ristorante – cominciano a interessarsi all’olio come trent’anni fa hanno fatto con il vino. Comprano guide, leggono articoli, e in alcune ricette si comincia anche a indicare il tipo d’olio, se fruttato leggero, medio o intenso.

Nel passato si parlava del “carrello degli oli”. Il carrello degli oli è un’azione positiva, anche perché rappresenta un utile sforzo, ma non è tuttavia un’azione significativa, in quanto presenta problemi quali:

– come allestirlo?
– come selezionarlo?
– come comportarsi quando si apre una nuova bottiglia per evitare che l’olio diventi rancido?

In certi ristoranti il carrello è un oggetto fisico, in grado solo di contenere delle bottiglie di olio per fare scena, ma senza progettualità, con la bottiglia d’olio che diventa quasi un pezzo da museo, perciò immangiabile, perché versato sulle pietanze solo a chi coraggiosamente ne fa richiesta.

E’ importante invece una carta degli oli perché presuppone oltre ad una presenza fisica anche la trasmissione di un sapere. La carta non come semplice lista ma come un percorso guidato, un modo per intrattenere, formare ed indirizzare il proprio cliente verso un consumo consapevole e ragionato. Ad esempio attraverso la caratterizzazione sensoriale e l’abbinamento più indicato. Indicazioni semplici ma quanto mai utili per qualificare il locale agli occhi del cliente.

Per i produttori di olio, creatori di questa materia prima, la ristorazione è importante perché rappresenta il tramite ideale tra produttori e consumatori. Il ristorante è il luogo dove si scoprono sapori, prodotti. Dieci, quindici anni fa si diceva che il futuro per l’economia italiana non sarebbe stato più nel settore metalmeccanico, bensì nell’agroalimentare e nel turismo enogastronomico.

Oggi cominciamo a vedere nel turismo una possibilità di sviluppo per le nostre produzioni perché il turista che ama i nostri paesaggi e i nostri monumenti ama soprattutto la nostra cucina e quando ritorna a casa desidera portarsi via un pezzetto d’Italia comprando il vino, l’olio e tutto quanto può ricordargli il nostro Paese.

Ma tornando sulla ristorazione, ritengo che sì, c’è effettivamente spazio per l’olio di qualità nella ristorazione. C’è un processo culturale ed educativo in atto, un desiderio di capire e conoscere, e soprattutto di comprendere, che un olio cattivo non giova a nessuno. Ora pian piano qualcosa sta cambiando, seppur lentamente.

Come dico spesso, siamo nel medioevo, anzi: nell’alto medioevo. Spero si possa arrivare presto al rinascimento dell’olio, sia nell’ambito della ristorazione, sia nell’ambito più privato dei consumatori.

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