Economia

Consumi globali, problemi locali

Un focus del Ceq. Da un lato si è assistito all’espansione internazionale della coltivazione dell’olivo; ed è cresciuta, di conseguenza, anche la produzione mondiale di oli da olive. Di nuovo c’è che una bottiglia su due è consumata fuori dalle aree di tradizionale produzione. C’è da gioire, eppure l’Italia è ferma agli anni ’60. Nulla sembra cambiato, a parte la qualità, ma mentre un tempo il Paese rappresentava oltre il 30% del prodotto mondiale, oggi nelle annate migliori la quota è scesa al di sotto del 15%

Olio Officina

Consumi globali, problemi locali

Lo scorso 16 dicembre c’era stata una occasione di icnontro per tentare di unire per l’ennesima volta, la filiera olio di oliva. In quell’occasione era stato proiettato un video dal titolo alquanto evocativo: “Cooperare per competere”. Riproponiamo qui, a beneficio dei lettori, la lucida amalisi fatta dal Ceq, il Consorzio di garanzia per l’olio extra vergine di qualità. Buona lettura.

COOPERARE PER COMPETERE

Un focus a cura del Ceq, Consorzio di caranzia dell’olio Extra vergine di oliva di Qualità

La produzione mondiale di olio di oliva è in aumento. Negli ultimi dieci anni la produzione media annua è aumentata di oltre 450 mila tonnellate, 20% in più di quello che si produceva dieci anni fa e a questo aumento, i paesi produttori europei hanno contribuito per meno della metà, il che ci conferma l’espansione internazionale di questa coltura. Ma “globale” è soprattutto il consumo, considerato che ormai una bottiglia su due è consumata fuori dalle aree di tradizionale produzione. È in questi paesi che negli ultimi dieci anni il consumo annuale si è incrementato di 500 mila tonnellate, in contro tendenza rispetto alle aree tradizionali e, se consideriamo che in questi nuovi paesi consumatori la quota di olio di oliva consumato rispetto agli altri grassi alimentari è bassissima, ne concludiamo che la potenzialità di sostituzione, e quindi di crescita dei consumi di olio di oliva, è molto promettente.

Purtroppo, quarant’anni di aiuti comunitari non si sono tradotti per noi in nuovi impianti e oggi, il nostro sistema produttivo è costretto a competere con sistemi molto più efficienti, perché più automatizzati e con ridotto impiego di manodopera, dove un litro di olio extra vergine può costare anche meno di 2 euro contro i 3 euro della Puglia e i 6-8 euro delle regioni del Centro Nord.
In un oliveto condotto con sistemi moderni, dove la raccolta è fatta velocemente con macchine automatiche, la qualità dell’olio raggiunge facilmente livelli di eccellenza. In olivicoltura, aumentare le rese è compatibile con un aumento della qualità.

Oggi gli oli spagnoli sono sempre più distanti dallo stereotipo di oli di bassa qualità e non sono poche le aziende straniere che vincono premi internazionali, per non parlare degli oli cileni, australiani e californiani ormai stabilmente presenti nelle boutique alimentari di mezzo mondo.
Non possiamo cullarci sugli allori! La competizione è diventata soprattutto tecnologica e senza le innovazioni anche la qualità rischia di segnare il passo.

400 mila tonnellate di olio di oliva, era la produzione italiana negli anni ’60. Nulla sembra cambiato, a parte la qualità, ma negli anni ’60 l’Italia rappresentava oltre il 30% del prodotto mondiale, oggi la quota è scesa al di sotto del 15%, nelle annate migliori.

Se è vero che in un mercato globale bisogna essere efficienti per competere, per quanto tempo ancora in futuro riusciremo a convincere i consumatori mondiali che gli oli italiani sono molto più cari perché molto più buoni?

L’Italia dell’olio di oliva appare oggi nelle vesti di un gigante dai piedi di argilla, potenzialmente in grado di rifornire ogni angolo del pianeta, ma costretta a giocare un ruolo ibrido e in parte anche ambiguo, dove non ha mai chiarito fino in fondo che è diventata, suo malgrado, una specialista nel selezionare e miscelare oli di oliva. Per quanto anche questo lavoro sia eticamente ineccepibile se fatto correttamente e se aggiunge valore, a volte è mancato il coraggio di raccontarlo e a volte non lo si è fatto per furbizia.

I nostri principali competitor sanno bene cosa devono fare. Gli spagnoli si sono tassati per 8 milioni di euro all’anno, per costruire una comunicazione positiva intorno al loro prodotto, hanno investito sull’efficienza dei propri impianti e ora stanno investendo sulla differenziazione qualitativa e quando possono acquistano le note marche italiane in vendita.

Non dimentichiamoci che la tecnologia non ha frontiere! In Cile in Australia in Sudafrica, in California e nei nuovi paesi emergenti, tanto per fare alcuni esempi, l’olivicoltura è e sarà sempre più una coltura moderna, efficiente, produttiva e di alta qualità e i nostri produttori italiani di nicchia hanno già avuto modo di conoscere quanto bravi siano diventati i loro nuovi concorrenti cileni a produrre e vendere.

Oggi si produce anche con le stagioni invertite nell’emisfero australe, tra l’altro, una novità che sta spostando la competizione anche su nuovi paradigmi, dove freschezza e nuovi profili sensoriali aggiungono differenziazioni e valore.
Attenzione! Perché la fama non è eterna, va alimentata!

C’è chi sostiene che l’immagine italiana dell’olio di oliva sia merito dell’olivicoltura nazionale, chi invece sostiene che siano state le antiche famiglie oggi diventate grandi marchi ad avere costruito la fama dell’olio italiano nel mondo. I primi sostengono anche che sia avvenuto un vero e proprio furto di identità da parte dei secondi, ai loro danni e che sotto nomi e immagini del bel paese vengano spacciati per italiani oli che italiani non sono, piuttosto oli stranieri di bassa qualità e a buon mercato. I secondi, sostengono inoltre che per soddisfare la domanda dei mercati internazionali sono costretti ad importare oli di oliva dall’estero, essendo la produzione italiana nemmeno sufficiente ai consumi interni, colpa di un’olivicoltura che non si è adeguata al mercato e che è rimasta poco produttiva e competitiva.

La realtà è che nessuna delle due anime, quella produttiva e commerciale, si sarebbe potuta affermare da sola. La produzione italiana non avrebbe avuto i numeri né tanto meno i mezzi, per ambire a un riconoscimento internazionale in solitario, così come le imprese di confezionamento non avrebbero potuto affermarsi se non si fossero sviluppate a partire dalla produzione interna, dalla ricerca e dal patrimonio di conoscenze e tecnologie tutte italiane.

Se non rendiamo l’olivicoltura nazionale redditizia, collazioneremo solo abbandoni, ma renderla redditizia non può essere fatto esclusivamente difendendo l’autenticità di una produzione insufficiente e spiegando al mondo perché gli oli italiani valgono di più, quando quella differenza di prezzo, là dove riuscissimo a ottenerla, non ci basta per coprire nemmeno i nostri costi di produzione.

Tanto meno possiamo regalare alla concorrenza quelle quote di mercato che abbiamo raggiunto in tanti anni di investimenti grazie a confezionatori italiani, aziende agricole e frantoi lungimiranti, che hanno saputo crescere all’estero e costruire valore e lavoro per il nostro paese.

Nel 2009, abbiamo reso obbligatoria l’etichettatura di origine sperando di costruire valore per l’olio 100% italiano. Purtroppo le illusioni sono durate pochissimo perché l’origine italiana ha assicurato solo pochi centesimi in più rispetto all’EV convenzionale, vanificando le aspettative di remunerazione di buona parte degli operatori impegnati a produrre extra nazionali di qualità.

Le Dop e l’unica Igp, hanno costituito e costituiscono tuttora un’alternativa per sottrarsi ai bassi prezzi di mercato dell’olio extra vergine e per differenziarsi, tuttavia sono un segmento, per loro stessa natura eterogeneo, sul piano quantitativo e qualitativo, con una varietà enorme di nomi e di vincoli produttivi, che lo rendono più utile sul piano dell’immagine e meno incisivo sul piano dei volumi. Poche sono le Dop che sono riuscite a raggiungere i mercati finali rispetto agli oltre 40 riconoscimenti esistenti.

A distanza di vent’anni dalla loro introduzione gli oli Dop e Igp si sono fermati già da un po’ di anni intorno a 10 mila tonnellate, mediamente il 2% della produzione nazionale. Gli va riconosciuto senza alcun dubbio che hanno dato un grosso contributo per la crescita della cultura e del valore del prodotto, tant’è vero che vengono vendute a prezzi mediamente superiori ai 10 euro, ma essendo una sommatoria di prodotti tipici non possono contribuire a dare valore agli extravergini italiani di elevata qualità, prodotti nelle aree più produttive e vocate della penisola.

Abbiamo l’urgente necessità di recuperare e potenziare in maniera efficace un segmento, quello del prodotto “italiano”, e metterlo nelle condizioni di assolvere un compito fondamentale per l’olivicoltura di questo paese: creare un volano per gli investimenti in nuovi impianti produttivi, efficienti e capaci di assicurare reddito ai nostri territori.

Il progetto ”Alta Qualità”, che il Consorzio ha proposto dal 2006 alle Unioni nazionali e che tutta la filiera ha sostenuto con forza negli ultimi anni ha questa ambizione. Partendo da una dizione ormai sedimentata nella mente dei consumatori grazie al “latte alta qualità”, si intende gettare le basi per costruire una differenziazione del prodotto italiano incentrata sui valori nutrizionali e salutisti e sviluppare una comunicazione oggettiva e universale in grado di costruire nuovo valore.

Noi del Consorzio consideriamo e riteniamo che le due anime di questo paese siano essenziali per mantenere alta la reputazione dell’olio italiano, quella produttiva e quella commerciale. L’Italia non è certo oggi nella posizione di potersi permettere il lusso di rinunciare alle esportazioni, al valore aggiunto e al lavoro che ne deriva, ma tanto meno non può e non deve consentire che siano gli olivicoltori nazionali a pagarne il prezzo.

Cosa fare? Semplice: c o o p e r a r e p e r c o m p e t e r e m e g l i o t u t t i !

Come Consorzio abbiamo sperimentato molte volte, partecipando a iniziative promozionali in giro per il mondo, che aziende di marca e aziende agricole aventi portafogli e posizionamenti diversi, possono proficuamente collaborare.

L’Italia dell’olio deve fare oggi e per l’immediato futuro, quello che ha sempre saputo fare meglio degli altri: produrre oli italiani eccellenti per venderli nel mondo come prodotti ad alto valore e selezionare e importare oli dal mediterraneo per costruire e proporre blend di diversa origine.

Possono convivere due anime così diverse o devono per forza confliggere? Noi siamo dell’opinione che i vantaggi sono in grado di ripagare tutte le difficoltà e che vale la pena impegnarci.

Dobbiamo rimettere mano a tutta la categoria degli oli da olive, che non riesce a comunicare valori distintivi comprensibili rispetto alle categorie dei succedanei e questo è interesse di tutti gli operatori, piccoli e grandi.

Dobbiamo investire in chiarezza e in trasparenza prima ancora di promuovere le eccellenze, che per quanto vengano percepite come oli di elevata qualità, sempre verranno condizionati dalla percezione che il consumatore ha, della categoria oli da olive. Non possiamo trascurare quanto importante possa essere il contributo che, anche i meno pregiati oli di oliva, possono dare per spostare un asse di consumo nei paesi emergenti dai grassi animali e dagli altri grassi vegetali verso la categoria dell’oliva.

Dobbiamo concentrare le nostre energie per utilizzare la categoria al pieno delle sue possibilità espressive, lavorando sullo sviluppo di funzioni d’uso differenziate che aiutino tutta la gamma degli oli da olive a introdursi in nuovi stili e gusti alimentari. C’è molto da fare sui mercati esteri prima di litigare sul mercato locale!

Come Consorzio abbiamo fatto una scelta di campo, consapevoli che non potremmo mai proporre servizi utili a tutte le aziende. È nei fatti che ci siano posizionamenti e sensibilità diverse che è impossibile interpretare e rispettare in toto.

Non vogliamo occuparci degli interessi di coloro i quali ritengono vantaggioso confezionare oli di oliva di bassa qualità usando leve di marketing che finiscono per ingannare il consumatore sulla falsa origine italiana del prodotto.

Vogliamo piuttosto interpretare gli interessi e l’immagine di un gruppo di operatori olivicoli italiani virtuosi, piccoli o grandi che siano, accomunati da un’identica visione di “fare impresa” disposti ad accettare regole etiche di comportamento, standard di qualità e controlli e che intendono cooperare per rafforzare l’immagine e la percezione di qualità e affidabilità dei propri marchi e delle proprie aziende.

Cosa intendiamo proporre alle aziende che aderiranno al Consorzio:

1- Due identità visive distinte da tutelare, controllare e promuovere che identifichino due categorie di EV:

a. Un linea di prodotti extra vergini riconducibili a un blend, che essendo proposto nel Mondo da aziende italiane, di proprietà italiana e con stabilimenti in Italia, è costituito anche da prodotto italiano di qualità, rispondente a specifiche tecniche di prodotto restrittive e con l’obbligo da parte delle aziende di rispettare regole etiche, di etichettatura e comunicazione e per i quali il Consorzio effettua controlli a campione sui mercati finali.

b. Un blend di oli extra vergini italiani, che rispondono ai requisiti qualitativi previsti dal disciplinare di Alta Qualità e per i quali il Consorzio, in via sperimentale, intende avviare una collaborazione su un accordo pilota in pre-campagna con le OP per la selezione di parte del prodotto.

2- Azioni di promozione mirate costruite in collaborazione con le aziende e le OP per sostenere il progetto di garanzia e tutela condiviso.

3- La disponibilità a finanziare privatamente le iniziative, con una contribuzione legata ai volumi.

Cosa chiediamo alle Istituzioni:

1- Sostenere e incentivare investimenti in nuovi oliveti efficienti e competitivi nelle aree vocate con l’obiettivo di arrivare entro 8-10 anni a soddisfare un fabbisogno minimo di 200 mila tonnellate di EV italiano di alta qualità.
2- Tutelare le due anime della filiera olivicola olearia italiana, quella produttiva e quella commerciale rispondente ai requisiti etici e qualitativi restrittivi.
3- Riconoscere e tutelare la dizione ”Alta Qualità” proposta per differenziare l’olio EV italiano rispondente ai requisiti qualitativi del disciplinare nazionale.

L’immagine di apertura riporta un particolare di una illustrazione di Valerio Marini

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