Economia

Cosa accade all’olio italiano

Come si è evoluto il mondo dell’olio italiano nel tempo? Lo scenario di riferimento è cambiato. L’olio prodotto nei frantoi oggi è infatti diverso da quello prodotto nel recente passato. E c’è un motivo per cui si è imposta la buona fama degli oli italiani nel mondo. Solo che non tutti, nel nostro Paese, ne conoscono il perché

Luigi Caricato

Cosa accade all’olio italiano

A Meknes, in Marocco, alle Giornate mediterranee dell’olivo, l’Italia è stata rappresentata da Luigi Caricato, con una confernza il cui testo riportiamo integralmente qui di seguito. Ne abbiamo scritto QUI, QUI e QUI. Intanto, buona lettura.

COSA ACCADE ALL’OLIO ITALIANO?

Sono trascorsi sei millenni da quando la pianta dell’olivo è stata addomesticata.
Il passaggio, di epoca in epoca, ha ogni volta messo in evidenza la necessità di trovare nuove soluzioni e non fermarsi mai.

Ogni popolo del bacino del Mediterraneo ha fatto la sua parte.
Ora anche altri popoli si occupano di olivicoltura e dell’arte di ricavare l’olio dalle olive, operando in luoghi un tempo impensabili – perfino in Cina, Giappone, India, e altrove.

E’ cambiato lo scenario di riferimento. Si è aperta pertanto una nuova visione dell’olio, anche perché l’olio come materia prima non è piu lo stesso: la qualità, in virtù di una tecnologia più moderna e all’avanguardia, è decisamente migliorata, differenziandosi. Le note olfattive fruttate, la sensorialità stessa dell’olio al palato, nelle sue sensazioni tattili e gustative, ha assunto connotati peculiari, diversi di zona in zona. La componente grassa dell’olio trova il suo valore di massimo riferimento nell’alto contenuto in acido oleico, ma sono i componenti minori, la parte non grassa, a fare la grande differenza. Tutto ciò è risaputo dagli addetti ai lavori, ma non ancora dal vasto mondo dei consumatori. Occorre realizzare una comunicazione che valorizzi tali caratteristiche e proprietà dell’olio, non ancora del tutto conosciute.

L’olio prodotto nei frantoi contemporanei è diverso da quello prodotto nel recente passato. Gli ultimi trent’anni sono stati decisivi per il cambiamento. Per certi versi, è come se fosse un nuovo inizio. Vi sono nuove aree mondiali di produzione, nuovi contesti commerciali, nuovi profili di consumatori, nuovi modi di consumare e di fruire l’olio. Manca, tuttavia, una nuova forma di comunicazione, in grado di raccontare i cambiamenti avvenuti e di far percepire al consumatore, come pure al fruitore professionale (il ristoratore, lo chef) che l’olio è diverso da come era prima e ha, pertanto, un valore economico diverso.

Tutte le qualificate attenzioni che sono state rivolte nella fase di produzione, non sono avvenute, allo stesso modo, nella fase di commercializzazione e di comunicazione del prodotto. L’olio da olive viene percepito come un olio buono ma non tale da meritare un valore commercaile più elevato. Questo sbilanciamento ha reso contraddittoria l’immagine del prodotto. Da una parte l’olio da olive è un prodotto nuovo e diverso, migliore, di alta qualità nutrizionale e sensoriale. Dall’altra, resta un prodotto la cui novità non è stata ancora compresa dal consumatore, ma soprattutto a non comprendere tale novità (o forse a non volerla comprendere) sono le catene distribuitive, coloro che immettono sugli scaffali dei punti vendita l’olio extra vergine di oliva, trattandolo come fosse pura merce: un generico e banale prodotto commodity. L’olio è cambiato, ma i venditori finali dimostrano una ignoranza abissale, salvo le dovute eccezioni.

Paradossalmente, le popolazioni del Mediterraneo consumano un prodotto per abitudine, senza conoscerlo. I nuovi popoli consumatori, quelli che lo sperimentano per la prima volta, dimostrano un approccio più curioso, e sono anche più propensi a sperimentare e a dare valore a un olio che merita maggiori attenzioni e prezzi di mercato più dignitosi.

Alcuni esempi rappresentativi di come si sia evoluto il mondo dell’olio nel tempo

Mi soffermo sull’Italia, il mio Paese. Ha una storia ben stratificata, ricca di spunti preziosi da cui trarre insegnamento. Ogni volta che si è apportata una innovazione, gli scenari sono cambiati.

Vi espongo un esempio di quanto è avvenuto nella sfera della produzione. Si è sempre prodotto l’olio, ma quando l’olio è stato vissuto come prodotto culturale, si è ogni volta impreziosito, acquisendo valore, cambiando volto e modo di essere percepito.

Perché nel mondo si è imposta la buona fama degli oli italiani? Perché sono molto apprezzati nella percezione generale?
In Italia abbiamo avuto degli importanti innovatori. Un nome: il barone Bettino Ricasoli – un nobile possidente terriero, che peraltro è stato anche alla guida del paese, ricoprendo l’incarico di primo ministro nel 1861 – ha contribuito nel dare una svolta al modo di coltivare e produrre l’olio.
La domenica – quando poteva se ne occupava in prima persona, oppure delegava sue persone di fiducia – riuniva tutti i capi agricoltori, con gli operai al seguito, e li istruiva. Lui definiva “catechismo rurale” questa attività di formazione. Raccontava in modo semplice come ci si doveva comportare con l’olivo, come dovevano cambiare i modi di coltivarlo, ma insegnava anche i modi per produrre un olio di alta qualità. Il risultato è che tuttora, la sua regione, la Toscana, gode di una fama e di un prestigio commerciale riconosciuto ovunque nel mondo. Tale fama è legata proprio alle attenzioni qualificate e altamente professionali che si sono concretizzate nel tempo. È la cultura che fa la differenza. Non è un caso che in passato l’Italia abbia istituito le cosiddette “cattedre ambulanti”. Vi erano dei professori e dei tecnici che giravano nei borghi rurali per insegnare le tecniche di coltivazione e l’arte elaiotecnica. Da qui l’acquisizione di una professionalità indiscussa, resa popolare.

C’è stato anche un marketing che ha saputo guardare al futuro. Pongo alla vostra attenzione un altro esempio, altrettanto rappresentativo. Nel sud dell’Italia, sul finire del 1700, l’oleologo pugliese Giovanni Presta, dimostrò di essere un grande genio della divulgazione e del marketing. Egli ha avuto la capacità di interpretare la complessa e variegata natura degli oli ricavati dalle olive, riuscendo a raccontarli con una visione moderna, tant’è che oggi molti ripercorrono ciò che lui aveva già realizzato con successo. Giovanni Presta scrisse libri in cui descriveva i profili sensoriali di ciascun olio in base alla varietà di olive da cui erano stati estratti. Ha creato così una visione piu complessa e articolata di una sostanza grassa che non era piu un generico olio tra i tanti, ma un insieme articolato di peculiarità. Ha avuto la brillante idea di allestire una confezione di diversi oli, ottenuti ciascuno da una unica varietà di olive, e ha allestito un cofanetto in legno d’ulivo contenente una serie di boccette di oli da olive, tra loro differenti per caratteristiche, donandoli a sua maestà Caterina II imperatrice di Russia. Quella di Giovanni Presta è stata una iniziativa che ha precorso i tempi e che ci riporta all’oggi, in un momento storico in cui, purtroppo, vi è ancora una concezione statica di un marketing che non si è dimostrato più in grado di comunicare in maniera efficace l’olio da olive e di renderlo commercialmente più dignitoso nei suoi prezzi di vendita.

Un ultimo esempio, infine: l’arte di realizzare i blend. L’Italia è, a mio parere, il Paese che ha saputo valorizzare molto bene gli oli, riuscendo a personalizzarli sia nell’ambito delle produzioni di eccellenza, sia in quello delle produzioni di massa. Il blending è un’operazione essenziale e determinante. Direi decisiva nel connotare una materia prima complessa e variegata qual è l’olio ricavato dalle olive. Ogni olio è ottenuto dalle olive, ma le olive non sono tutte uguali, vi sono tanti genotipi. Così, dalle molteplici cultivar e dai molteplici territori, con microclimi differenti, ma anche con usi e costumi diversi, nei modi coltivare, estrarre e conservare l’olio, le caratteristiche compositive degli oli ottenuti cambiano sensibilmente. Per questo, un olio anche se ben spremuto, e pur se qualitativamente ineccepibile, prima di essere imbottigliato ha comunque necessità di essere ogni volta interpretato. L’operazione di blending è resa necessaria in quanto l’olio è materia complessa ed esprime una molteplicità di peculiarità sensoriali, oltre che di profili chimico-fisici altrettanto variegati. Ciò che occorre, è creare un mix che risponda sia a uno standard di qualità oggettivo, rispondente ai parametri di legge, sia a una propria idea di olio, che esprima un profilo qualitativo ben definito, orientato al mercato e pensato per un consumatore ogni volta diverso, giacché le tendenze di gusto dei consumatori variano in base al gusto personale, oltre che alle tendenze di gusto di un determinato luogo.

I tre esempi che ho messo in evidenza, rendono molto bene l’idea di come un paese produttore possa fare la differenza tra il semplice produrre e il produrre per il mercato, assegnando un valore in più al prodotto. C’è un grande problema, tuttavia. Oggi il quadro operativo è completamente nuovo, con una strisciante crisi economica mondiale che mette in seria difficoltà gli operatori del settore.

Cosa fare? Ci vuole una svolta

La situazione dei mercati è contradditoria e non soddisfa pienamente tutti gli operatori.

1. Si ha una migliore qualità degli oli > ma con prezzi non remunerativi per i produttori > e si assiste alla riduzione dell’olio extra vergine di oliva allo stato di prodotto commodity.

2. Si hanno maggiori informazioni sul prodotto > ma non c’è una sensibilità nuova nell’impiegarlo in modo consapevole > e non si è nemmeno in grado di farlo utilizzare correttamente nelle cucine professionali.

3. Si ha una estensione geografica dei consumi > ma i produttori manifestano paura della globalizzazione > e non vi è la capacità di attuare azioni di marketing e di promozione condivise.

Oggi non si comprende nemmeno il motivo per cui non si ponga ancora fine alla divisione tra i vari Paesi produttori e a lotte interne nell’ambito della filiera produttiva. E’ necessario, ed estremamente urgente, andare oltre le vetuste logiche di una concorrenza commerciale sterile e chiusa in se stessa. I consumi di oli da olive nel mondo sono talmente esigui, rispetto alla quota di altri grassi assunti dalla maggioranza della popolazione mondiale, che sarebbe il caso di investire maggiori risorse economiche e intellettuali pur di favorire un maggiore consumo ma anche una migliore qualità dei consumi.

E’ fondamentale, in questa logica, seguire un percorso comune, organizzando un summit tra i Paesi produttori, volto a rilanciare la comunicazione e il marketing, di cui si avverte una notevole carenza.

Uscire dalle logiche degli egoismi nazionali, è il primo passo da compiere.
Un altro passo decisivo, ma disatteso, è concepire una massiccia e qualificata azione educativa intesa a far comprendere l’alto valore nutrizionale dell’olio da olive, nell’ambito di una dieta alimentare;ed è infine importante insegnare, nel contempo, il corretto utilizzo degli oli da olive, visto che finora i consumi non sono ancora da ritenersi frutto di consapevolezza.

COSA ACCADE IN ITALIA

Un recente studio di Massimo Occhinegro, pubblicato da Olio Officina con il titolo Analisi economica su venti imprese del comparto olio di oliva, ha analizzato i bilanci economici delle principali aziende, facendo emergere un quadro complessivo preoccupante, segno di una grave crisi strutturale del settore, e di pochi investimenti, nonostante i consumi di oli da olive non siano mai venuti meno, e nonostante le attenzioni verso l’olio siano ancora più evidenti rispetto al passato.

Tale studio dimostra che:

– mentre i volumi di vendita sono molto alti, sia in quantità che in valore, il risultato d’esercizio, al netto delle imposte, è estremamente basso.
– A fronte di un fatturato complessivo analizzato nel periodo 2010/2011, pari a circa 1,7 miliardi di euro (fatturato che rappresenta più del 50% del fatturato consolidato di settore), il risultato netto di “gruppo” è stato pari solo a circa 15 milioni di euro, corrispondente a una media dello 0,87%.
– Ciò significa che per ogni 100 euro di fatturato, il guadagno netto è stato pari a 87 centesimi.

Cosa determina tutto ciò?

– Crescere, dal punto di vista del volume delle vendite realizzate, non paga.
– Una spirale competitiva basata su prezzo e promozioni incide solo negativamente sul comparto e a nulla valgono gli investimenti pubblicitari sui marchi.

Lo studio che Massimo Occhinegro ha realizzato per Olio Officina si conclude con le seguenti riflessioni:

– occorre modificare la “vision” del comparto, e con questa, quella di ogni singola impresa olearia.
– È necessario rivedere, nell’ambito della stessa impresa, le strategie competitive e quindi, necessariamente, le politiche di marketing-mix.
– Una integrazione a monte del processo produttivo non è auspicabile, almeno fino a quando il prodotto olio di oliva continuerà a essere banalizzato dalla grande distribuzione, non per sue
specifiche ed esclusive colpe, ma per colpe trasversali di chi non ha saputo “comunicare” cultura di prodotto al consumatore.
– Sono tanti gli errori commessi: si è investito molto sulla qualità, ma pochissimo sulla comunicazione. Si è dunque costruita una prestigiosa automobile come la Ferrari, ma sono state chiuse le scuole-guida per rilasciare la patente.

Le considerazioni finali debbono far riflettere, anche perché si estendono ad altri Paesi produttori:

– è risaputo che anche quando ricerche di mercato evidenziano uno spostamento della scelta del consumatore, verso l’origine e la territorialità, ai fini pratici, lo stesso consumatore sceglie il prodotto che costa meno. È questa la realtà di cui occorre tener conto.
– L’ascesa della grande distribuzione con strategie di fidelizzazione alla propria catena e, parallelamente, l’affermazione delle Private Label, non aiutano il comparto a crescere, ma si sottraggono quote di mercato alle imprese che cercano di affermare con grandi sforzi i propri marchi, aumentandone il grado di rischio aziendale.
– Occorre pensare a strategie diverse, diversificando i canali di vendita, o i target group per “creare” valore, oppure pianificare congiuntamente una comunicazione seria nei confronti dei consumatori.

CONCLUDO

Concludo analizzando il quadro internazionale, dove la situazione generale, a parte le eccezioni dei nuovi Paesi produttori/consumatori, non è molto differente dall’Italia.
– Ovunque si faccia la qualità, questa – lo ripeto: a parte le eccezioni – non la si comunica, tant’è che il consumatore medio si affida, nella scelta di un olio da olive, alla sola categoria merceologica riportata in etichetta, senza tuttavia percepire e distinguere il reale valore di una scelta orientata verso una vera qualità.
– Si è investito poco, o quasi nulla, in cultura di prodotto, e così l’olio lo si utilizza in quantità, ma senza consapevolezza e capacità critica; gli stessi chef per pigrizia intettetuale, pur di non interpretare di volta in volta un prodotto complesso, particolarmente differenziato nella sua carica aromatica enelle sensazini gustative e tattili, optano per oli di scarsa qualità e dal sapore neutro, preferendo il più delle volte gli stessi oli da seme o altri grassi.
– L’olio da olive, e soprattutto l’olio extra vergine di oliva, resta solo un generatore di traffico nelle catene distributive: viene pertanto degradato al ruolo di prodotto commodity.
– Infine, la scelta degli oli da olive da parte del consumatore avviene solo in funzione del prezzo più conveniente, mettendo così in grande crisi un sistema che, dopo aver investito per decenni sulla qualità, si trova oggi a ridurre gli investimenti aziendali, rischiando uno scadimento progressivo della qualità delle produzioni, se non addirittura l’abbandono delle coltivazioni.

IL MIO AUSPICIO

Mi auguro che dopo un lungo percorso orientato verso l’alta qualità, non si regredisca pur di soddisfare una politica commerciale dissennata, che punta unicamente, con sconti e promozioni continui, all’abbassamento dei prezzi degli oli sullo scaffale.

Ridurre i costi di produzione deve essere un impegno costante e un obiettivo necessario. Rendere l’olio da olive un prodotto popolare e democratico, che tutti possano acquistare e consumare, è un dovere morale e civico altrettanto auspicabile. Ciò non significa, tuttavia, che l’olio da olive debba essere svilito relegandolo al ruolo di prodotto commodity, come ormai sta accadendo.

E’ fondamentale dare invece corso a un’azione comune che restituisca la dignità perduta a tutti coloro che lavorano, a vario titolo, nel comparto oleario, e che hanno diritto a un’equa remunerazione per il frutto del proprio lavoro.

L’olio è il simbolo sacro che le tre grandi religioni del Libro – Ebraismo, Cristianesimo e Islam – hanno scelto come elemento fondante della comunità dei popoli e delle anime. Tale simbolo non deve assolutamente essere svilito. Il mercato dell’olio chiede ed esige rispetto.

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