Economia

Cosa succede oltre l’Italia

La rassegna stampa internazionale. Occhi puntati sui benefici dell’extra vergine sulla salute, sul comparto olivicolo argentino, sulla campagna olivicola spagnola, sulla coltivazione dell’olivo in Portogallo, sul canale distributivo del web, nonché sulla California che si appresta a investire 220mila dollari in ricerche sull’olio da olive

Mariangela Molinari

Cosa succede oltre l’Italia

A occupare le pagine di giornali e riviste è stata anche negli ultimi giorni la conferma, con approfondimenti più o meno ampi, dei benefici dell’olio extravergine di oliva, grazie alla presenza del composto chimico idrossitirosolo, scoperto in una recente ricerca condotta dall’Università del Cile, di cui su Olio Officina Magazine avevamo dato conto la scorsa settimana.

In quanto, invece, alle notizie di taglio più economico, sull’argentino Nueva Rioja si salutano le buone prospettive del settore alla luce dei dati resi noti dalla Cámara Olivícola Riojana (COR), che stima per la provincia una produzione di olive da tavola intorno alle 100mila tonnellate e una di olive per olio di circa 8mila tonnellate.
Finora la raccolta delle prime, iniziata lo scorso gennaio, ha già raggiunto i 60 milioni di chili: una cifra che rappresenta il 50% circa dei volumi attesi per quest’anno, mentre ci si appresta alla raccolta delle olive per olio, il cui avvio è previsto, come di consueto, tra marzo e aprile.
Considerata la buona annata, Diego Andrada, presidente della Cámara Olivícola, ha espresso ampio ottimismo anche riguardo la commercializzazione. Della produzione complessiva di olive per olio, 6mila tonnellate circa dovrebbero andare agli Stati Uniti, seguiti dal Brasile. Nel caso, invece, delle olive da tavola, il principale mercato resterà il Brasile, che, nonostante le difficoltà economiche in cui versa, continua a offrire buone prospettive.

Tornando in Europa, secondo quanto pubblicato da Agroinformacion.com, non è altrettanto ottimista la visione per il mercato spagnolo espressa da Infaoliva, che in una nota informativa, dopo aver analizzato i dati relativi al mese di marzo della Agencia de Información y Control Alimentaria (AICA), annuncia una raccolta molto più breve del previsto e una produzione totale assestatasi a fine marzo sulle 1.270.131 tonnellate: la più bassa degli ultimi tempi.

Sarà pure tale, ma è sempre più soddisfacente di quanto realizzato altrove. Tanto che su La Vanguardia la Spagna viene definita per quest’anno un “deposito mondiale di olio di oliva”. Con i suoi scarsi 1,3 milioni di tonnellate di olio di oliva, infatti, si appresta a soddisfare gran parte della domanda internazionale, considerato il ben più consistente calo produttivo registrato in Italia, Grecia, Portogallo, Tunisia e Marocco. Se, infatti, il decremento che ha segnato la produzione spagnola si aggira intorno a un -9% rispetto alla campagna precedente, la diminuzione a livello mondiale è quantificabile in oltre 600mila tonnellate, pari a circa il -20%.
Due restano al momento le incognite: una riguarda il fronte dei prezzi, per i quali, finora stabili, potrebbero sorgere tensioni; e una è, invece, relativa all’andamento meteorologico, che molto influirà sulla raccolta finale, in una campagna che gli agricoltori sperano possa essere caratterizzata, almeno nell’ultima fase, da piogge primaverili capaci di alleviare lo stress idrico degli ultimi tempi.

Restando nella Penisola iberica, Oleo Revista si chiede, invece, quale sia la reale importanza della coltivazione dell’ulivo in Portogallo. Per il Paese si tratta di un’attività agricola significativa, considerato che rappresenta a valore, 95,5 milioni di euro, occupando una percentuale dell’1,36% nel valore della produzione agricola complessiva.
Il settore oleicolo, inoltre, annovera, nella trasformazione, 1.431 lavoratori (l’1,6% del totale dell’industria agroalimentare del Paese) e dispone di oltre 495 frantoi e 12 raffinerie di olio di oliva.
Negli ultimi 50 anni l’olivicoltura in Portogallo ha attraversato diversi periodi: dal 1950 al 1998 la sostituzione dell’ulivo con altre colture provocò una grave crisi del settore. Che, però, a partire dal 1986, anno d’ingresso nell’Unione Europea, si avviò verso la modernizzazione, con la protezione degli uliveti esistenti e l’incentivazione delle nuove superfici destinate a ulivo. Un’evoluzione che negli ultimi anni ha portato anche al miglioramento delle tecnologie utilizzate per la produzione, all’impianto di nuovi uliveti più produttivi e a un aumento della capacità di trasformazione dei frantoi.
Se tra il 2005 e il 2015 la produzione media si era assestata sulle 57.970 tonnellate, nella campagna 2015-2016 si è verificato il record di 109.125 tonnellate, il 78% delle quali nella categoria olio di oliva extravergine (85.285 tonnellate), il 17% olio di oliva vergine (19.095 tonnellate) e il 4% olio di oliva vergine lampante (4.745 tonnellate).
Contemporaneamente, nella stessa campagna le esportazioni di olio di oliva sono cresciute dell’8% rispetto a quella precedente, indirizzate principalmente verso i Paesi dell’Unione europea (in particolare Spagna, Italia e Francia), mentre tra le mete extraeuropee figura in prima posizione il Brasile, che assorbe il 24% dell’export totale. In quanto, infine, alle categorie di prodotto, l’81% delle esportazioni complessive è rappresentato dall’olio di oliva vergine ed extravergine, l’11% dall’olio di oliva e l’11% dall’olio di sansa.

Si passa dall’altra parte del globo con Revista Olimerca, che dà conto di come la California si appresti a investire 220mila dollari in ricerche sull’olio di oliva. Sono sei, in particolare, gli studi che la Olive Oil Commission of California (OOCC) intende portare a termine grazie a questi contributi, a cominciare dall’analisi di qualità degli oli di oliva prodotti nel Paese, condotta dall’Università della California, Davis, in modo da dare dati certi anche ai produttori di olive.
Un secondo studio mira a creare una solida banca dati della composizione chimica degli oli di oliva di tutte le regioni californiane; un terzo progetto sta lavorando, invece, a una revisione esaustiva di metodologie e strumenti utilizzabili per predire la shelf life di un olio di oliva, mentre un ulteriore studio si sta occupando di individuare i fattori che influiscono su di essa. Non manca l’attenzione alla prevenzione delle malattie dell’ulivo, in una ricerca focalizzata sulla Pseudomonas syringae pv. Savastanoi, e in una sul fungo del genere Neofabraea.

Infine, sempre su Revista Olimerca si fa il punto sull’online, un canale distributivo che anche in Spagna sta mietendo consensi e che, quindi, potrebbe dimostrarsi appetibile pure per i produttori di olio. In base a quanto riportato, nel Paese sono circa 16 milioni i consumatori che acquistano in rete, il 74% dei quali con una frequenza media di 2,4 volte al mese e una spesa di 75 euro. Ma questo è solo il punto di partenza dell’articolo, che suggerisce a chi intenda presenziare il canale cinque strategie per essere vincente: essere presente sui marketplaces, ricorrere ad attività di Conversion Rate Optimization (CRO), l’investimento con il più alto rientro rispetto alla maggior parte dei servizi di web marketing, e a Data Management Platform o piattaforme di gestione dati (DMP), che aggregano diversi tipi di dati da fonti online, offline e mobile; quindi implementare il piano relazionale, utilizzando i messaggi più appropriati, e, ultimo ma non ultimo, comprendere che il consumatore è cambiato, ed è sempre più alla ricerca di informazioni chiare e puntuali sui prodotti attraverso connessioni mobili.

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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