Economia

Dove va l’olivicoltura tunisina

Le prospettive di sviluppo per la filiera olivicola del Paese nordafricano sono alquanto lusinghiere. Cresce sensibilmente la qualità delle produzioni e diventa perciò essenziale che il settore capitalizzi la tendenza al rialzo. Per tali ragioni la Fao e la Banca europea della ricostruzione e dello sviluppo hanno condotto un’approfondita analisi economica del comparto. Nostra intervista a Lisa Paglietti, economista responsabile del progetto

Olio Officina

Dove va l’olivicoltura tunisina

Dopo una lunga storia di produzione di olio d’oliva, la qualità dell’olio tunisino sta vivendo una rinascita, passando dagli oli di oliva venduti sfusi a oli di più alta qualità. E con così tante persone nel paese che dipendono dall’olivicoltura e dalla produzione di olio di oliva per il loro sostentamento, è essenziale che il settore capitalizzi su questa tendenza al rialzo.

Per queste ragioni la Fao, Organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di agricoltura e alimentazione nel mondo, e la BERD la Banca Europea della Ricostruzione e dello Sviluppo, hanno condotto e pubblicato di recente un’approfondita analisi economica della filiera olivicola tunisina. Il quadro è quello di un settore strategico, radicato in profondità nel paese che per lunghi anni è stato trattato come un affare di Stato, tanto da assegnargli un Ente dedicato e centralizzato, l’Office Nationale de l’Huile (ONH), che si è occupato in via esclusiva di organizzare la produzione e la vendita dell’olio di oliva tunisino all’estero, assicurando di fatto, un prezioso flusso di moneta forte alla Nazione.

Dopo la liberalizzazione del settore avvenuta nel 1996, l’Office ha perso il suo monopolio e nel settore si sono affermati pochi gruppi industriali, specializzati nella gestione dell’olio di oliva sfuso, con stretti legami con gruppi oleari esteri, che già dopo 20 anni dalla liberalizzazione controllavano il 90% della produzione. (LEGGI QUI).

Allo stato, dal lato di osservazione dei frantoi tunisini, il mercato appare un oligopsonio che gioca un ruolo di intermediazione tra la produzione e i grossi acquirenti stranieri, tenendo gli olivicoltori e i frantoiani lontani dai consumatori finali.

I cambiamenti in atto nelle tendenze di consumo e nelle strategie commerciali dei principali operatori e paesi produttori, finiranno per influenzare lo scenario competitivo internazionale nei prossimi anni e dovrebbero indurre un paese come la Tunisia a rivedere urgentemente il proprio posizionamento, riadattando la sua strategia competitiva.

Per approfondire quello che sta realmente accadendo nel settore olivicolo tunisino, abbiamo parlato con la dottoressa Lisa Paglietti, capo progetto del programma FAO-BERD “Facilitating Effective Policy Dialogue in Tunisia’s Olive Oil Sector”.

Lisa Paglietti, economista con un master in diritti umani e la comunità internazionale, lavora presso il Centro investimenti della Fao dal 2005, dove ha diretto lo studio sul settore olivicolo tunisino, pubblicato nel 2014. Responsabile del progetto EBRD/FAO per il dialogo pubblico-privato nel settore olivicolo in Tunisia, la Paglietti ha lavorato anche su una vasta gamma di progetti in diverse regioni del mondo – dall’Africa all’Asia centrale, all’Europa orientale – compresi i modelli dell’agrobusiness, l’irrigazione, lo sviluppo di etichette geografiche / indicatori e il miglioramento. politiche per promuovere gli investimenti agricoli.

NOSTRA INTERVISTA A LISA PAGLIETTI

Signora Paglietti, FAO e BERD stanno collaborando per aiutare lo sviluppo del settore olivicolo in Tunisia. Qual è la situazione attuale e come intendete aiutare il settore?

Il settore agricolo svolge un ruolo molto importante nell’economia del paese. In agricoltura trova occupazione il 17% della forza lavoro e l’olivicoltura conta da sola circa 300 mila produttori che coltivano 1,8 milioni di ettari. Alla coltivazione di olive sono collegati oltre 1.500 frantoi sparsi su tutto il paese. L’olio di oliva è per oltre l’ 80% diretto all’estero e sviluppa un introito di 2 miliardi di dinari, originando oltre 35 milioni di giornate lavorative. I dati ci confermano il ruolo di primaria importanza che il settore svolge nell’economia tunisina e il supporto che FAO e BERD stanno offrendo al Governo punta a rafforzarne la competitività per gli anni a venire.

Un settore così ben articolato nel Paese e che vanta una lunga tradizione per quale ragione dovrebbe preoccuparsi per l’avvenire?

Lo scenario internazionale sta cambiano velocemente e i paesi produttori devono valutare con molta attenzione tutti quei cambiamenti che possono avere un impatto in futuro sul proprio modello competitivo. Per la Tunisia la fase di analisi che abbiamo condotto è già in fase avanzata e le proposte di cambiamento sono sul tavolo del Governo.
L’immagine tradizionale di paese produttore di un olio extra vergine con dominante profilo sensoriale “dolce”, destinato al mercato del prodotto sfuso, potrebbe diventare, nel medio lungo periodo, un ricordo del passato. Oggi il Governo tunisino sta prendendo coscienza delle istanze e del dinamismo dei sempre più numerosi “Domaine” che si affacciano sui mercati internazionali con eccellenti oli extra vergini biologici e sta valutando come promuovere un rinnovamento tecnologico e organizzativo della filiera in grado di cambiarne nel medio lungo periodo l’intera immagine.

Quali sono i rischi che avete segnalato e come proponete di gestirli?

L’analisi che abbiamo predisposto è stata condivisa con un gruppo di lavoro locale partecipato da esperti delle istituzioni e imprenditori tunisini impegnati nelle diverse fasi della filiera. L’analisi è stata validata anche attraverso interviste di profondità con i principali gruppi oleari internazionali, tradizionali e potenziali acquirenti dell’olio di oliva tunisino. Le indicazioni emerse dall’analisi e le prime proposte strategiche sono ancora materiale riservato a disposizione del Governo che dovrà darci a breve le sue considerazioni. Posso comunque anticipare che la strategia che abbiamo proposto è a doppio pedale, volta da un lato a rafforzare l’attuale posizionamento di mercato, migliorando i servizi e il coordinamento verticale tra le fasi produttive e dall’altro volta a migliorare e diversificare la qualità degli extra vergini ampliando il paniere di offerta con tipologie di prodotto in grado di raggiungere autonomamente il consumatore finale.

Ci dobbiamo dunque aspettare un salto di qualità degli oli tunisini nei prossimi anni?

Non dimentichiamoci che la percentuale di extra vergini prodotti arriva in Tunisia intorno ad un 70% (controllare) il che è indicativo del livello generale di qualità del prodotto tunisino. L’extra vergine è la categoria dominante e nella stragrande maggioranza si tratta di olio biologico. Il punto di partenza è già elevato e gli sforzi per migliorare la qualità nei prossimi anni dovranno riguardare sia gli aspetti organizzativi che tecnologici. Penso soprattutto agli aspetti critici del processo produttivo, come la raccolta e il trasporto delle olive, i tempi di lavorazione, fino alle tecnologie estrattive ancora troppo orientate a massimizzare le rese, per non parlare dell’attenzione che dovrà essere data alla conservazione delle masse per mantenerle integre più a lungo sui mercati. La rivoluzione è già iniziata e prova ne è che i produttori tunisini stanno guadagnando premi e riconoscimenti internazionali, proponendo oli da varietà tipiche come la Chemlali e la Chétoui, sconosciute ai consumatori. L’olio di oliva è vitale per l’economia tunisina e può avere un effetto moltiplicatore sul territorio, sviluppando industrie e i servizi complementari come il turismo.

La foto di apertura è di Olio Officina

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