Economia

E’ olio Dop Terra d’Otranto

Quale è lo stato di salute di questa denominazione di origine del Sud Italia? Ne parliamo con il neo presidente del Consorzio Giovanni Melcarne. I quantitativi d’olio certificati sono molto modesti, ma la vendita consueta in zona è orientata al prodotto sfuso. Raramente si è riusciti a superare la soglia dei 50 mila Kg. E’ molto diffusa la bottiglia da 500 ml. I prezzi? Mediamente oscillano tra i 12 ai 16 euro al litro

Francesco Caricato

E’ olio Dop Terra d’Otranto

Giovanni Melcarne è il neo presidente del Consorzio di tutela dell’olio Dop Terra d’Otranto. Ne avevamo già dato notizia, elencando anche i nomi dei consiglieri (QUI). Lo abbiamo incontrato per capire come vivendo il territorio lo strumento dela denominazione di origine protetta.

Melcarne non è il presidente avulso dalla produzione. E’ titolare, oltre che responsabile produzione dell’Oleificio Forestaforte, con nucleo operativo all’estremità sud del Salento. A Gagliano del Capo, in provincia di Lecce.

Melacrne è anche un agronomo, oltre che olivicoltore e frantoiano. Anzi, lui si definisce molto opportunamente un “frantoiano dalla nascita”. E’ nel 1998 che rileva l’azienda di famiglia, convertemdo l’azienda a produzioni d’eccellenza.

“Grazie a studi e prove di molitura incessanti – dice – sono giunto ai risultati attesi.” Confessa di aver conseguito successi vunque, anche al di fuori dei confini nazionali. Nel 2013 porta avanti il progetto di una raccolta notturna delle olive, partendo dagli olivi di grossa mole. E’ stata a suo dire una esperienza esaltante. Ne avevamo scritto anche su Olio Officina Magazine (QUI). Melacerne sostiene “con interessanti risultati scientifici, acclarati dal CRA-Oli di Pescara”.

L’impegno è tale che riesce a distinguersi anche nell’ambito degli gli oli con l’attestazione di specificità a marchio Dop Terra d’Otranto, divenendo presidente del Consorzio di Tutela dal luglio 2014.

INTERVISTA A GIOVANNI MELCARNE

Presidente, qual è lo stato di salute delle Dop dell’olio italiane? Detto proprio con tutta sincerità, senza alcuna riserva.
Le Dop italiane, purtroppo, subiscono la medesima confusione commerciale dei comuni extra vergini, non riuscendo a distinguersi, come dovrebbero, facendo leva sulle proprie imprescindibili peculiarità: legame con il territorio e con le varietà prevalenti, promozione del disciplinare, obbligatorio monitoraggio nella fase produttiva e certificativa, promozione dei profili organolettici, attività di vigilanza nelle fasi commerciali. Tutti elementi che non ricorrono obbligatoriamente per i comuni extra vergini, che hanno il loro valore e conseguente costo, ma che non vengono premiati sul mercato. Parte degli insuccessi sono anche dovuti alla complessa e copiosa normativa che disciplina lo specifico processo di certificazione, con il risultato di rendere refrattari gli operatori al sistema dei controlli di conformità. Si registra, inoltre, un’altra incoerenza, tra le diverse Dop, che non risulta dovuta a questioni territoriali oppure, a specificità di ogni singola Dop, ma a vere e proprie differenti procedure certificative o interpretative del dispositivo di controllo. Problema, quest’ultimo, che il Consorzio ha già manifestato a livello nazionale e che ci auguriamo porti a soluzioni operative in tempi ragionevoli. Un’altra questione riguarda la rigidità dei disciplinari di produzione e la relativa difficoltà nel modificarli (meglio ancora: aggiornarli), soprattutto, se posta nei confronti dell’innovazione tecnologica che riesce a migliorare sia le tecniche produttive che quelle di rilevamento dei parametri chimico-fisici e organolettici sugli oli aspiranti alle Dop.

Qual è invece lo stato della Dop Terra d’Otranto. A che punto siete, quali sono i numeri che vi riguardano, tra produzione e commercio?

La Dop Terra d’Otranto, pur interessando un vasto territorio vocato all’olivicoltura, si mantiene su quantitativi molto modesti. Si certifica dal 2000/01 e raramente si è riusciti a superare la soglia dei 50.000 Kg di olio certificato. Il risultato positivo, comunque, deriva dal fatto che il territorioproviene, storicamente, da produzioni essenzialmente orientate all’offerta del prodotto allo stato sfuso, mentre, nel caso della Dop, a parità di quantitativi, si ha un notevole incremento dell’attività dell’indotto: maggiore occupazione in confezionamento, maggiore richiesta di materiali: bottiglie/lattine, etichette, tappi, cartoni, spedizioni, ecetera. Riuscire a comunicare bene questi valori, oltre al ridotto “costo ambientale”, può garantire l’adeguato mantenimento e incremento della nostra Dop. Tra l’altro, su tutto il territorio della Dop, mancano le grandi aziende olearie e le iniziative commerciali di prodotto confezionato sono condotte soprattutto da piccole aziende di origine frantoiana, con spiccato atteggiamento artigianale della produzione, tesa a soddisfare variegate tipologie di clientela sia nei formati delle confezioni che nella tipologia degli oli.

Che futuro intravede per le Dop e quali chance ha la Dop Terra d’Otranto?

A prescindere che il successo commerciale dipende dall’entità e tipologia di investimenti in promozione e pubblicità, molto dipende dall’unitarietà di promozione delle menzioni di origine in senso ampio, oltre i confini del solo prodotto oleario. Basti pensare al settore dei vini. Quanti sono oggi i vini Dop, già Doc, e quanti di essi veicolano l’acronimo Dop oppure il relativo simbolo UE? Stesso concetto per altri prodotti a Dop: formaggi, salumi, ortofrutta, eccetera. Nel caso di una famosa mela, si conosce maggiormente il marchio commerciale e non la relativa menzione di origine, che passa in secondo piano al consumo.

Si parla tanto di 100% italiano, ma allo stato dei fatti, con la possibilità di avere in tavola un extra vergine addirittura proveniente con certezza da una microzona, e per giunta anche controllato e garantito, certificato finanche nel suo valore sensoriale, gli italiani disdegnano tale opportunità.
Una domanda allora è d’obbligo: perché gli italiani non hanno accolto con favore le Dop dell’olio? E’ solo una questione di prezzo?

Non credo sia solo una questione di prezzo, peraltro dovuta a fattori oggettivi. Torno sul concetto di confusione mercantile: cosa cambia alla vista (unico organo di senso sollecitato al momento dell’acquisto di routine) per il comune consumatore, tra un olio da 3 e uno di 9 euro al litro? Stessa dicitura commerciale, medesime provenienze dichiarate, a volte cambia il formato della bottiglia e la grafica dell’etichetta (entrambi elementi con bassa incidenza sul costo), anche se il profilo organolettico risulta molto simile, eccetera. Eppure, uno costa il triplo dell’altro. Capita spesso che con brevi degustazioni guidate e una corretta lettura dell’etichetta, si riesca a trasmettere ai comuni consumatori, solide basi per operare oculate scelte sullo scaffale. Il comune errore di noi piccoli produttori, inoltre, consiste nel dare per scontata l’informazione al consumatore. Forse dovremmo spendere qualche spazio in etichetta per “pillole informative”. Made in Italy o 100% italiano possono essere tranquillamente veicolati con un pittogramma, meglio se si include la Dop di appartenenza, comunicando anche “pillole” di geografia.

Per chiudere: qual è il posizionamento di mercato della Dop Terra d’Otranto? Si vende di più in Italia o all’estero? Qual è il prezzo medio di vendita di una bottiglia da 750 ml?

Dai dati consortili risultano 21 lotti di prodotto certificati nell’ultima campagna olearia 2013/14, corrispondenti ad altrettante etichette commercializzate. La destinazione risulta la più varia e in dipendenza diretta dall’attività di ogni singola azienda che, ricordo essere strutturata a livello artigianale presso il frantoio/confezionamento di origine, oppure presso le singole aziende strutturate nella cosiddetta “filiera corta”. Per quanto concerne i prezzi medi, premetto che risulta molto diffusa la bottiglia da 500 ml rispetto alla 750 ml. Il Consorzio ha elaborato un listino ad uso dei consumatori richiedenti, attingendo dai listini aziendali, che pone in risalto il prezzo/litro del prodotto per la confezione proposta dall’azienda, 500 o 750 ml, oltre ad altre informazioni: da agricoltura biologica, intensità del fruttato riscontrato all’origine (medio leggero, medio e medio intenso, pur appartenendo alla categoria del medio per disciplinare), requisiti nutraceutici certificati in base al Reg. CE 432/2012, eccetera. Tutto ciò detto, a giustificare l’alta escursione dei prezzi offerti al consumo in bottiglie, da 500 e 750 ml, franco azienda, che mediamente oscillano dai 12 ai 16 euro al litro, con limiti registrati dal minimo di 10 e il massimo di 39 euro al litro.

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia