Economia

Gli chef per l’evo

In Spagna è nata Frying Alliance, un club di chef che friggono rigorosamente solo con olio extra vergine di oliva. Riguardo al mercato gourmet in Danimarca, l’Italia risulta il principale fornitore di oli da olive, con una quota, nel 2016, superiore al 60% in volume e valore. In Belgio, invece, a fare la parte del leone è la Spagna, con una quota del 55% a valore e del 58% a volume. Intanto, c'è pure chi annuncia la fine della Dieta mediterranea. Questo e altro nella rassegna stampa internazionale della settimana

Mariangela Molinari

Gli chef per l’evo

La lettura dei giornali degli ultimi giorni ci porta prima di tutto su Mercacei, con una notizia (QUI) che pare una risposta al discusso binomio olio-ristorazione, argomento anche della prima edizione del Forum di Olio Officina che si è appena concluso lunedi 28 maggio. In Spagna è nata Frying Alliance, un club di chef che friggono rigorosamente solo con olio extra vergine di oliva. Questa sorta di movimento ha fatto il suo debutto ufficiale in occasione della 32esima edizione del Salón de Gourmets tenutosi a Madrid all’inizio di maggio, sostenendo una convinzione di base: la frittura è una forma di cottura imprescindibile nella dieta mediterranea e va realizzata con olio evo.

Restiamo su Mercacei, dove, riprendendo il rapporto di ICEX España Exportación e Inversiones intitolato “Il mercato dei prodotti gourmet in Danimarca”, si dà conto (QUI) di un trend sempre più evidente nel Paese scandinavo: la crescita dei prodotti premium e biologici, a cominciare proprio dall’olio di oliva. Tra il 2012 e il 2016, infatti, le sue vendite a valore hanno conosciuto uno sviluppo del 55%, a fronte di un aumento del 4% delle importazioni a volume, testimoniando così l’incremento dell’acquisto di oli di maggiore qualità (e quindi con un più elevato prezzo medio) da Paesi terzi. L’Italia risulta il principale fornitore di olio di oliva, con una quota di mercato che nel 2016 è stata superiore al 60% sia a volume sia a valore. Segue la Spagna, con una market share di poco più del 20%. È, dunque, soprattutto la tendenza al consumo di prodotti premium, di qualità e salutari, a trainare le vendite di olio di oliva, ormai percepito come un’alternativa di gran lunga più sana rispetto alla margarina o altri grassi utilizzati fino ad ora. Come viene sottolineato nel rapporto, i consumatori danesi sono disposti a pagare un po’ di più pur di avere una maggiore qualità; per non parlare poi dei prodotti biologici, nel cui consumo la Danimarca è tra i leader mondiali. In risposta a questa tendenza, le grandi catene di distribuzione hanno ampliato sui propri scaffali le gamme di oli di fascia alta, introducendo anche specialità, quali i prodotti aromatizzati con tartufo, basilico e peperoncino.

Dalla Danimarca passiamo al Belgio, di cui si parla sempre sulle pagine di Mercacei e sempre riprendendo un rapporto di ICEX (QUI), che osserva come anche in questo mercato la domanda di prodotti dalla connotazione più salutare come l’olio di oliva stia registrando un trend positivo. Secondo gli ultimi dati di Euromonitor riportati dallo studio, nel 2017 il mercato di oli e grassi in Belgio ha raggiunto i 462 milioni di euro, per un consumo annuale di 113mila tonnellate. Nonostante tra il 2012 e il 2017 il settore abbia registrato una diminuzione del 2,82% a valore e del 2,57% a volume, nello stesso periodo le performance dell’olio di oliva sono state positive sia a valore (+7,8%) sia a volume (+7,02%). Ciononostante, i suoi consumi pro capite si mantengono ancora inferiori a quelli di altri Paesi: 1,35 litri rispetto ai 10,77 della Spagna. Nel 2017 il Belgio ha importato 17.423,50 tonnellate di olio di oliva, per un valore complessivo di 74,99 milioni di euro. Se si confrontano questi dati con quelli registrati nel 2012 si osserva uno sviluppo del 25,47% a valore, ma una leggera riduzione nei volumi, passati dalle 17.535,60 tonnellate a quelle attuali. A fare la parte del leone qui continua a essere la Spagna, con una quota di mercato del 55% a valore e del 58% a volume.

Ci spostiamo sulle pagine di agroinformacion.com, dove si torna a parlare di olio di girasole, che in Spagna continua a sottrarre quote di mercato a quello di oliva, arrivando, tra gennaio e aprile, a 101,17 milioni di litri venduti (+5,11% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), contro gli 89,45 milioni di litri di olio di oliva (-8,15%), stando agli ultimi dati diffusi da Anierac, l’associazione industriale di raffinatori e imbottigliatori di oli commestibili. Analizzando le singole categorie di olio di oliva (QUI), l’unica ad aver mantenuto un trend positivo è stata quella dell’extra vergine, con un +4%, mentre sul fronte dell’export l’olio di oliva ha raggiunto a marzo le 61.348 tonnellate, per il 60% di extra vergine. Se si sommano tutte le categorie, l’Italia è stata il principale cliente (30%), seguita con un certo distacco dal Portogallo e dalla Francia (Paesi che si sono accaparrati ciascuno una quota dell’11%), dagli Usa (10%) e dalla Gran Bretagna (7%). Per quanto riguarda, invece, le importazioni, quelle di olio di oliva sono salite nel mese di marzo a 15.455 tonnellate (costituite per il 53% da extra vergine), provenienti principalmente dalla Tunisia. Da qui nel mese di marzo è arrivato il 48% delle importazioni, considerando tutte le categorie di olio di oliva, mentre il 24% è stato inviato dal Portogallo, il 21% dalla Turchia e il 6% dall’Argentina.

Superiamo l’Atlantico per arrivare negli Usa, dove, come leggiamo su Oleo Revista, la Asociación Norteamericana de Aceite de Oliva (NAOOA) ha annunciato (QUI) che i suoi membri hanno previsto nuove norme di etichettatura per l’olio: un’azione che s’inserisce all’interno del programma “Sigillo di Qualità”. A partire dal primo gennaio 2019, dunque, sull’etichetta degli oli compariranno data di scadenza, Paese di origine, eventuale miscela con altri oli vegetali, raccomandazioni di stoccaggio e di uso. S’indicherà pure se l’olio è biologico e come conservarlo. Gli sforzi di NAOOA puntano a potenziare la qualità della produzione dei suoi soci, che rappresentano l’85% di tutto l’olio di oliva di marca venduto negli Usa.

Torniamo in Europa sulle pagine del quotidiano britannico The Guardian, dove viene lanciato un preoccupante allarme: la fine della dieta mediterranea (QUI), almeno per le generazioni più giovani. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, l’obesità infantile si starebbe sempre più diffondendo in Grecia, Spagna e Italia, dove oltre il 40% dei bambini sui nove anni è obeso o sovrappeso (a Cipro addirittura il 43%). “A quanto pare, dolciumi, junk food e bevande gassate hanno sostituito la dieta tradizionale a base di frutta, verdura, pesce e olio di oliva – ha affermato Joao Breda, a capo dell’ufficio europeo dell’OMS, in occasione del congresso europeo sull’obesità tenutosi nelle scorse settimane a Vienna –. Si può, dunque, affermare che non esiste più una dieta mediterranea: nell’Europa meridionale i bambini mangiano sempre meno frutta e verdura e sempre più dolci e pietanze eccessivamente salate. E a questo si aggiunge poi l’inattività”. È questo il quadro emerso dalla Childhood Obesity Surveillance Initiative dell’OMS, che per due anni, dal 2015 al 2017, ha raccolto e confrontato dati sull’argomento. Se Francia, Norvegia, Irlanda, Latvia e Danimarca esibiscono i tassi minori di obesità infantile (dal 5 al 9%), la buona notizia è che, comunque, la tendenza comincia pian piano a essere tamponata anche in Paesi quali l’Italia, dove, una volta riconosciuto il problema, si stanno indirizzando i più giovani verso regimi alimentari più sani.

La foto di apertura è di Olio Officina

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