Economia

Igp Puglia, vietato sbagliare

La regione più olivetata d’Italia, quella che fornisce (e arricchisce) tutte le altre regioni del Paese, è a un bivio. Con le scelte che è chiamata a fare, si gioca il proprio futuro. L’attestazione di origine Igp doveva (e deve) rappresentare l’ultima chance della Puglia olearia. E ora? Non ci saranno più altre occasioni per creare le condizioni di un riscatto economico e morale degli operatori olivicoli-oleari. Il resoconto della riunione di pubblico accertamento. Cosa c’è nel disciplinare di produzione?

Olio Officina

Igp Puglia, vietato sbagliare

Il 27 luglio presso la Camera di Commercio di Bari, nella sala conferenze , si è tenuta la riunione di pubblico accertamento per la richiesta di riconoscimento della IGP Olio di Puglia ai sensi del Reg. (UE) n. 1151/2012 e del decreto 14/10/2013 .

Considerando che la Puglia produce in media dal 50% al 60% della produzione nazionale , possiamo ben comprendere l’importanza che tale riconoscimento abbia nel panorama nazionale.
La Puglia , già conta 5 riconoscimenti DOP (Terra di Bari, Dauno, Collina di Brindisi, Terre Tarantine, Terra d’Otranto) senza per questo incidere sul lato delle vendite, né in termini quantitativi né qualitativi.

La Puglia quindi ha l’ultima possibilità di riscatto per far valere la sua forza, non solo produttiva ma soprattutto commerciale, che fino ad ora non è stata capace di affermare.
Troppo spesso infatti, le olive o l’olio pugliese hanno varcato i confini regionali andando ad arricchire altre produzioni regionali, perdendo il valore aggiunto per distribuirlo altrove. Se poi consideriamo anche il problema Xylella, con politiche dissennate seguite per cercare di contenere il fenomeno, ecco il quadro che emerge e cioè quello di una Puglia regina si, ma con sempre più problemi.

La IGP Olio di Puglia doveva e deve rappresentare l’ultima chance della Puglia olearia per cercare di creare le condizioni di un riscatto dal punto di vista economico per gli operatori oleicoli-oleari.
Ottenere il riconoscimento è doveroso specialmente considerando che è trascorso troppo tempo , ben 14 anni (2003) da quando si costituì il primo comitato promotore presso la Regione Puglia (ma all’epoca non c’erano soldi pubblici appetibili a disposizione , oggi resi invece disponibili da leggi europee).

Nel frattempo altre regioni sono riuscite a raggiungere l’obiettivo, la Sicilia, la Calabria, Le Marche, ad esempio, mentre la Puglia era rimasta al palo.
Fatta questa doverosa premessa da qui in avanti cercheremo di analizzare il disciplinare cosi come proposto dal comitato promotore, evidenziando ciò che è stato oggetto dei vari interventi che si sono succeduti durante la riunione.

Iniziamo col dire che l’impressione è che si sia cercato di creare una ” super DOP” , non senza chiare ed evidenti contraddizioni.
Se da un lato infatti si sono volute dare caratteristiche chimiche tali da superare, per l’affermazione di una egemonia, tutte le denominazioni di origine fino ad oggi esistenti, inserendo biofenoli totali > = 300 mg/kg, per consentire l’uso di un claim salutistico previsto dall’EFSA che non è stato usato pur ricorrendone i presupposti, dall’altro da più parti è stato osservato che gli aspetti organolettici sono in contraddizione in quanto le caratteristiche di fruttato (da 2 a 8) di amaro (da 2 a 7) nonché quelle di piccante (da 2 a 7) sono molto ampie.

E’ molto difficile, infatti, che un olio che all’assaggio riscontri valori bassi dei suddetti parametri , possa poi avere una quantità di biofenoli così come richiesto dal disciplinare.
Il mantra è l’aspetto salutistico, panacea di tutti i mali. Mentre l’assioma è che qualsiasi varietà di olive coltivata in Puglia, se raccolta nella fase della invaiatura, dalla punta estrema della regione fino al tacco, possa avere una carica di biofenoli > = 300.
Sarà così? Se sono stati condotti degli studi per sostenere questa tesi, sono sufficienti o invece si potranno escludere alcune grosse produzioni che poi sono quelle che già soffrono maggiormente?
Sempre in tema di contraddizioni nella direzione della qualità , all’art. 5 (modalità di stoccaggio delle olive, estrazione e conservazione dell’olio) è stata sollevata la critica al fatto che le olive debbano essere molite entro e non oltre le 36 ore.

L’obiezione sollevata in sede di dibattito, di abbassare tale limite alle 24 ore, non è stata accolta.
Un’altra eccezione è stata sollevata in merito alla esclusione dei frantoi a pressa in quanto pur nella tradizione, sono frantoi che rappresentano il “vecchio” .
Tale esclusione che potrebbe avere avere implicazioni legali, non tiene conto che:
1) In Puglia insistono centinaia di frantoi a pressa;
2) Che la tecnologia futura potrebbe , partendo dagli impianti tradizionali a pressa, innovarli rendendoli idonei a comprimere i costi di esercizio, nonché eliminare le eventuali problematiche qualititative relative.

Alcune osservazioni a questo punto sono importanti.

Innanzitutto ci preme puntualizzare in questa sede che ciò conta è il prodotto finale, ossia se risponde o meno ai requisiti previsti nel disciplinare.
Stabilire quindi dogmi per cercare di incidere non possono che essere categorizzati come “linee guida” , ma non costituire un ” must”.
Poiché chi ha ispirato il disciplinare sono degli ottimi teorici accademici, la teoria potrà essere suffragata dalla pratica? E i risultati rientrare in altri studi finanziati?
Così come c’è da domandarsi se un olio piuttosto amaro e piccante possa incontrare il gusto dei consumatori del mondo visto che la maggior parte delle lamentele del consumatore mondiale vertono proprio su questo aspetto.
C’è quindi da chiedersi se la IGP così concepita non possa contrastare le DOP , facendole concorrenza.
AI posteri l’ardua sentenza.

Alla lettura dell’art. 5 (metodo di ottenimento) è stato posto il problema, con la lettura congiunta dell’art. 2 (caratteristiche del prodotto) sul numero di anni necessari per far diventare “autoctona” una determinata cultivar, considerando che è stata ricompresa la cultivar Favolosa (FS17) (derivata dalla varietà Frantoio) ma è stata esclusa dal 70% la varietà Pecholine. Essendo state escluse le cultivar degli impianti superintensivi che pure vantano più 16 anni di diffusione dalle prime sperimentazioni e che indubbiamente rappresentano il futuro dell’ambizioso piano olivicolo nazionale oltre che la sopravvivenza stessa dell’olivicoltura nazionale.

Ma la parte indubbiamente più controversa che è stata dibattuta, a tratti anche in maniera accesa, è stata la scelta che le fasi dell’imbottigliamento e confezionamento della IGP Olio di Puglia debba avvenire nel sito di trasformazione con un raggio massimo di 75 km intorno al medesimo, consentendo quindi il traporto delle olive (da qui la possibilità che si molisca entro le 36 ore) e non dell’olio , escludendo di fatto la possibilità di realizzare dei blend ad esempio, tra oli del Salento e oli di Andria o del Gargano.

Gli ispiratori del disciplinare hanno cercato di spiegare che i 75 km non sono stati messi a caso, ma sulla scorta di importanti studi accademici che hanno portato alla definizione di un algoritmo che spiega la vita dell’olio ed il suo inevitabile decadimento chimico-organolettico, sia pure non fisico.
Tale limite tuttavia sarà modificato in modo da tenere conto delle eccezioni sollevate.
Infine , relativamente all’articolo 8 (etichettatura) nella parte finale che riguarda la data di scadenza fissata in 18 mesi da quella di confezionamento, è stata accolta la proposta di aumentarla a 20 mesi, considerando le destinazioni lontane che richiedono più di un mese di navigazione, e diversi mesi per l’immissione al consumo e considerando i limiti di minima shelf life richiesta dalle catene di supermercati , a dimostrazione forse dell’inesperienza empirica degli stakeholders del comitato.
La possibilità di portarla a 24 mesi, considerando che la responsabilità del prodotto ricade sempre sull’azienda che lo commercializza, è stata esclusa dai tecnici coinvolti nella redazione del disciplinare.

Alla luce delle considerazioni fin qui espresse emerge che qualora non si dovessero apportare le giuste modifiche e sempre che non sia fatta un’adeguata pianificazione di marketing professionale inesistente per le DOP, la IGP “olio di Puglia” potrebbe non appagare quel desiderio di riscatto dell’olivicoltura pugliese e la stessa diventare una sesta ed ultimissima DOP.

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