Economia

Il packaging fa vendere?

Da tempo siamo abitati a investire sempre più nella qualità dell’olio extra vergine di oliva, ma come viene vestita la qualità che presentiamo sul mercato? Il design fa la differenza? Quale strumento di marketing sensoriale l’abbigliaggio è senza dubbio capace di influenzare il comportamento d’acquisto davanti a uno scaffale in cui sgomitano extra vergini della stessa fascia di prezzo e dello stesso livello qualitativo?

Mariangela Molinari

Il packaging fa vendere?

L’antico adagio che l’abito non fa il monaco è certo condivisibile ma, forse, sopravvalutato. Nell’ambito del food & beverage, per esempio, è vero che il valore del prodotto in sé riveste un’importanza prioritaria, ma non vanno trascurati nemmeno packaging, etichetta e astuccio. Perché, proprio come accade con l’abito per le persone, questi sono gli aspetti immediatamente visibili, quelli con cui ci si presenta e che suggeriscono, o addirittura raccontano, un contenuto.

Il che, a ben vedere, vale ancor di più nel comparto dell’olio, dove il packaging, soprattutto in Italia, fatica a ottenere quel riconoscimento di valore aggiunto per il posizionamento di un prodotto che, invece, nel mondo del vino è ormai assodato. E, invece, insieme a etichetta e design, è indispensabile per comunicare in modo efficace, rivelandosi uno strumento di marketing sensoriale capace di influenzare il comportamento d’acquisto davanti a uno scaffale in cui sgomitano extra vergini della stessa fascia di prezzo e dello stesso livello qualitativo.

L’olio più scelto è quello meglio abbigliato

Di tutto questo si è ampiamente discusso anche all’ultima edizione di Olio Officina Festival, prendendo spunto dall’atteggiamento del consumatore sul punto vendita. Come ha osservato Chiara Tomasi, marketing manager di Arconvert, azienda produttrice di un’ampia gamma di carte e film per l’etichettatura, mediamente s’impiegano solo 12 secondi a scegliere e acquistare un prodotto, “sia perché il tempo è ormai un lusso, sia perché più che macchine pensanti che si emozionano, siamo macchine emotive che pensano. Metterci così poco significa effettuare un acquisto d’impulso, influenzato, quindi, da materiali, colori, immagini, forma della bottiglia, etichetta, che sollecitano vista e tatto ben prima di olfatto e gusto”.

È innegabile, dunque, che ormai, che ne sia consapevole o no, il consumatore dia moltissimo valore alla confezione, così com’è indubbio che il produttore possa scegliere come vestire il proprio olio in base al valore che gli vuole dare.

Design a parte, poi, soprattutto nell’ambito della ristorazione si apre un problema non da poco riguardo l’etichetta, che deve mantenersi integra e immacolata. A tal proposito, Arconvert ha trovato un’interessante soluzione con “Immaculate papers”, una gamma di carte per etichette autoadesive, specificamente pensate per l’olio, antigrasso al 100%. Eppure, anche in questo caso, sono ancora poche le aziende che si preoccupano di usare le carte giuste.

Qualunque sia, però, il posizionamento dell’olio, premium o entry level, a parità di prezzo il prodotto che sarà scelto dallo scaffale è sempre quello meglio abbigliato. Le stesse referenze da primo prezzo, dunque, dovrebbero prendere esempio da quanto si è già verificato nel mondo del vino, dove anche la fascia base è molto più curata di un tempo.

Un confronto Italia-Spagna

Sul rapporto olio e design è interessante mettere a confronto i due principali paesi produttori: Italia e Spagna. A dominare la scena negli ultimi tempi è proprio quest’ultima, grazie ai notevoli investimenti in creatività e nella ricerca di nuovi materiali.

“Negli ultimi sette-otto anni la Spagna dell’olio ha conosciuto uno spettacolare progresso dal punto di vista qualitativo e del packaging – ha sottolineato nel suo intervento alla manifestazione milanese Juan Penamil, editore di Mercacei e Olivatessen. Ora che la qualità del prodotto è un fatto accertato, il packaging diviene essenziale per dare valore a un prodotto eccezionale”.

La bottiglia, in particolare, ha vissuto una notevole evoluzione negli ultimi cinque-sette anni, passando da quella da litro alla marasca. “Ma oggi anche questa è superata – ha ricordato Stefano Romoli, responsabile vendite estero di Vetreria Etrusca –, sebbene sia ancora presente sul mercato, identificando un olio di livello più standard. Grazie alla richiesta di maggiore internazionalizzazione, però, anche a questo settore viene ora rivolta l’attenzione che già tempo si riserva al vino”.

I motivi? Secondo Romoli sono diversi. “Uno è la forte campagna pubblicitaria che negli ultimi anni ha accompagnato la qualità dell’olio, quindi la maggiore richiesta di oli italiani anche in Paesi dove in precedenza erano acquistati prodotti di secondaria importanza. Proprio come per il vino, dunque, l’internazionalizzazione richiede il supporto del packaging. Quando, infatti, ci s’interfaccia con un mercato nuovo, si ha bisogno di incrementare la visibilità. Per questo, a parte l’etichetta, la scelta del contenitore è fondamentale”.

Non a caso, negli ultimi sette anni è cresciuta la richiesta di qualità tecnica e differenziazione della forma. La stessa Vetreria Etrusca ha investito molto nella ricerca di forme particolari. “Utilizzare una bottiglia di per sé innovativa e che, con la stessa etichetta, veicoli un messaggio nuovo al mercato, è una prima forma di identificazione – sottolinea Romoli –. Anche il colore è importante: oggi sono utilizzati i più scuri, come per il vino e lo Champagne, che suggeriscono una qualità più elevata”.

Dunque, che sia con la forma o il colore della bottiglia, l’etichetta, chiusure e capsule più pratiche o, come avviene in Spagna, rivestendo il prodotto di una seconda decorazione, magari sleeverata, le parole d’ordine sono differenziazione e personalizzazione.

Ne sa qualcosa la designer Isabel Cabello, di Cabello x Mure, intervenuta a Olio Officina Festival. “Il packaging è un elemento di rottura e innovazione – ha affermato –. Mentre il vino aveva già percorso questa strada, l’olio, più tradizionalista, l’ha approcciata solo negli ultimi anni, partendo proprio dall’esempio del mondo enologico. La formula per realizzare un buon packaging? Unire qualità ed estetica e, soprattutto, saper comunicare in modo diretto e immediato il contenuto”. Il fatto curioso è che l’innovazione che la Spagna sta sperimentando in misura più significativa rispetto al nostro Paese, utilizza per il 90% materiali made in Italy: sia i fornitori di vetro che quelli di etichette, infatti, sono italiani.

Il packaging che valorizza il prodotto

A portare la testimonianza della propria esperienza è intervenuto, infine, Pasquale Manca di San Giuliano, storica azienda agricola, molitoria e di confezionamento di Alghero. “Avendo da tempo sposato la qualità, abbiamo ritenuto opportuno lavorare non solo sul prodotto ma anche su marketing e presentazione. Su uno scaffale ancora indistinto come quello dell’olio, il packaging si rivela determinante e, purtroppo, anche a causa delle normative inerenti all’etichettatura, può risultare difficile differenziarsi. Per comunicare tutto il dietro alle quinte della produzione, abbiamo previsto una linea con una bottiglia che ci consentisse di essere riconosciuta in maniera inequivocabile. Inoltre, a seconda del mercato, apportiamo alcune modifiche nell’etichetta: negli Usa, per esempio, ne utilizziamo una con caratteri più grandi, perché il consumatore è meno avvezzo a consumare olio extra vergine di oliva e va quindi catturato con la chiarezza. È giusto, comunque, che il produttore condivida la propria esperienza con il designer, in modo da realizzare un packaging soddisfacente per ciò che comunica e per come può essere usato e maneggiato dal consumatore finale”.

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