Economia

Il vino Primitivo in Sicilia, l’olio Taggiasca in Puglia?

Battaglie enoiche, ora scende in campo anche il ministro Teresa Bellanova: non consentirò mai a un vino siciliano di chiamarsi Primitivo. La legislazione, si sa, protegge i riferimenti territoriali, attraverso le attestazioni di origine, ma non determina la protezione giuridica delle varietà, ed è impossibile impedire che queste possano essere coltivate altrove. La stessa problematica la vivono alcune aree olivicole celebri come la Liguria, in cui "la" cultivar fa la differenza commerciale

Maria Carla Squeo

Il vino Primitivo in Sicilia, l’olio Taggiasca in Puglia?

La battaglia l’aveva portata avanti il territorio, e, da cittadina pugliese qual è, il ministro delle Politiche agricole non si è tirata certo indietro: “Mai consentirò che una bottiglia di vino siciliano Dop o Igp possa chiamarsi Primitivo, esattamente come solo le Dop e Igp Siciliane possono utilizzare il nome del vitigno Nero d’Avola, e questo nonostante quel vitigno possa essere coltivato in altre regioni che lo hanno inserito nell’elenco delle varietà raccomandate e autorizzate”.

In realtà lo stesso discorso l’avevano segnalato in Liguria, dove, a tutela della loro cultivar Taggiasca, visto che gli olivi di questa varietà tipica del Ponente Ligure vengono coltivati anche altrove, e perfino all estero, il timore di perdere il vantaggio competitivo e la stessa adesione al territorio è stato avvertito come un timore reale, perché, come nel caso de vino Primitivo, il medesimo rischio lo corre l’olio da olive Taggiasca. Proprio per questo si sta cercando di tutelare con una Dop l’olio da olive Taggiasca, pur tra mille difficoltà e polemiche.

Nel caso del vino Primitivo, il ministro Teresa Bellanova tiene a precisare che “la legislazione Europea e i corrispondenti Decreti nazionali, come sa chi li conosce, proteggono i riferimenti territoriali, le cosiddette indicazioni geografiche, ma non creano la protezione giuridica delle varietà né impediscono che quelle uve possano essere coltivate anche altrove. Purtroppo questa è un’epoca in cui nessuno più studia o semplicemente si documenta ed è ben triste una politica che cavalca qualsiasi cosa pur di guadagnare un po’ di visibilità, ingenerando confusione e peraltro legittimando aspettative di tutti i generi. Eppure anche sul sito del Ministero è possibile reperire tutte le indicazioni necessarie proprio sulle Indicazioni geografiche che rappresentano una eccellenza indiscussa della nostra filiera alimentare e il legame inscindibile tra territori e eccellenze produttive, soprattutto nel caso del vini e delle oltre 500 cultivar che fanno del nostro Paese un unicuum”.

Il dibattito è infuocato, c’è rabbia tra gli operatori, anche perché si sentono usurpati di una specificità territoriale attraverso l’identificazione tra cultivar/varietà e territorio di elezione, il luogo dove la produzione si lega fortemente alla varietà, nel caso specifico della Puglia, al vitigno Primitivo; ma lo stesso come abbiamo visto vale pure per alcune cultivar di olivo, quelle ovviamente legate in senso stretto al territorio dove la cultivar autoctona era circoscritta.

In un articolo dell’aprile 2019 Roberto De Andreis, a proprisito dell’analoga questione della cultivar Taggiasca, aveva opportunamente scritto che “vi è l’interesse di tutta la comunità ligure, affinché l’oliva Taggiasca, il simbolo per eccellenza della regione, non venga depredato da imprenditori che vogliano trarne un vantaggio al di fuori del territorio. In quest’ottica – aveva scritto – non tutelare la Taggiasca attraverso il riconoscimento di una Dop è un errore gravissimo”. Chi voglia leggere l’articolo in questione, dal titolo “Quale futuro per la Taggiasca“, può benissimo cliccare QUI.

De Andreis, oltre che esperto internazionale di olive da tavola presso il Consiglio oleicolo internazionale, è tra l’altro il presidente del Comitato promotore per la Taggiasca Dop. “Chiunque – dice, al fine di rafforzare la propria tesi in merito della tutela della cultivar – può già piantare olivi Taggiasca in ogni luogo, in piena libertà. Così – ammette – senza una tutela, perdendo la connotazione territoriale cosi strettamente connessa alla Liguria, chiunque ci metterà fuori dai giochi, tutti, piccoli e grandi, perché una regione come la Liguria, con una orografia poco favorevole, non potrà mai essere competitiva. Sta proprio qui la ragione di una Dop che avrebbe difeso l’economia e la storia di un territorio impervio e poco agevole”.

La Ministra Teresa Bellanova dal canto suo nondesiste, circa l’allarme ingenerato in Puglia dopo l’autorizzazione da parte della Giunta regionale siciliana alla coltivazione della varietà Primitivo sull’intero territorio regionale. “In Sicilia, come in altre regioni italiane – ha sostenuto il ministro – non si può impedire, dopo necessaria sperimentazione, l’impianto di viti Primitivo ma i vini Dop e Igp ottenuti non potranno mai essere etichettati con l’indicazione in etichetta del nome del vitigno Primitivo”.

“Nel DM del 13 agosto 2012 – ha chiarito il Ministro Teresa Bellanova – è infatti indicato senza equivoci come quella varietà Primitivo possa essere solo usata nell’etichetta di vini Dop o Igp della Puglia e delle regioni: Basilicata, Campania, Abruzzo, Umbria, Lazio e Sardegna. Pertanto, nulla vieta che anche la Sicilia, dopo adeguata sperimentazione, lo classifichi prima in osservazione e poi lo dichiari eventualmente idoneo alla coltivazione. Resta il fatto – ha aggiunto la Bellanova – che la coltivazione del vitigno Primitivo non consente in aree diverse dalle Dop e Igp indicate nel DM 13 agosto 2012, l’uso del termine varietale sulla bottiglia di Primitivo. Una accortezza maggiore – ha concluso il ministro delle Politiche agricole – sarebbe consigliata anche in questo caso, perché non si ingenerino allarmi ingiustificati e conflitti tra Regioni, soprattutto del Mezzogiorno che, anzi, dovrebbero e potrebbero fare della qualità e della valorizzazione delle loro eccellenze una battaglia comune e una strategia di posizionamento globale”.

I Consorzi di tutela e delle associazioni di categoria pugliesi sul piede di guerra parlano di scippo. “Si creerebbe – sostengono in una pubblica nota – “un pericoloso precedente amministrativo. Per noi è inammissibile. La decisione della Regione Siciliana offende la nostra storia. Il primitivo è un vitigno pugliese, espressione coerente del nostro territorio e delle nostre tradizioni vitivinicole. Inoltre, la sua affermazione commerciale che lo pone come prodotto traino dell’economia vinicola, agroalimentare e enoturistica regionale, è il risultato di decenni di sforzi e investimenti, sacrifici dei viticultori. E non possiamo tollerare che tale patrimonio sia sottratto. Un messaggio chiaro che deve anche essere recepito non solo da tutta la filiera ma anche dai tanti consumatori”.

Non si tratta di una sola voce, ma è il pensiero congiunto di tante realtà – il Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria doc e docg, il Consorzio del Salice Salentino doc, il Consorzio del Primitivo di Gioia del Colle doc, il Consorzio di Brindisi e Squinzano doc, il Consorzio dei vini doc e docg Castel del Monte, l’Associazione Nazionale Le Donne del Vino delegazione Puglia, il Consorzio Movimento Turismo del Vino Puglia, Assoenologi Puglia Basilicata e Calabria, Cia- Agricoltori Italiani Puglia e la Confagricoltura Puglia – che evidenziano con forza le dichiarazioni rese nelle ultime ore dal Senatore Dario Stefàno, in merito alla tutela dell’uva più importante del sistema vitivinicolo pugliese. Un messaggio comune, condiviso da tutti i pugliesi: l’autorizzazione all’impianto e alla produzione di primitivo in Sicilia è da considerarsi un abuso.

La questione apre il dibattito anche su altri versanti, come nel caso di certi areali produttivi dell’olio, di cui abbiamo dato ampia notizia in altri articoli in passato. Come si può notare, le problematiche territoriali non sono facili da gestire in Italia, figurarsi all’estero. Ricordate il caso Tocai?

La foto del vitigno Primitivo è del Consorzio di tutela del Primitivo di Manduria Doc e Docg, quella della cultivar Taggiasca è del Consorzio di tutela dell’olio Dop Riviera Ligure

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