Economia

L’Italico, nuova strada per l’olio

C’è molto da cambiare. Intanto con un netto “no” all’utilizzazione dell’extra vergine quale traffic builder, e poi con un netto “sì” all’olio democratico che sappia parlare di valori e articolate distintività. La qualità, prima di tutto. Servono però regole rigorose, giuste e soprattutto ben applicate, come nel caso del panel test e dell’etichettatura. Alla vigilia della convention del 28 giugno a Roma, abbiamo intervistato il presidente di Federolio Francesco Tabano

Luigi Caricato

L’Italico, nuova strada per l’olio

Salernitano, classe 1964, Francesco Tabano lavora da trent’anni nel settore agroalimentare, ricoprendo incarichi in realtà di rilievo, da Ferrero a Monini, da Salov a De Cecco, fino ad approdare alla Pietro Coricelli Spa quale direttore commerciale Sud-Europa. Tabano è ora al suo secondo mandato in Federolio e ora con Unaprol e Coldiretti intende battersi per un rilancio qualitativo e quantitativo della produzione olearia nazionale. Ecco allora l’impegno per un dialogo per puntare a una filiera forte. Il 28 giugno a Roma, presso palazzo Rospigliosi, si terrà la convention “Filo d’olio – segmentare per crescere. Nuove prospettive di consumo e di offerta”. Lo abbiamo intervistato.

Federolio a Palazzo Rospigliosi. Sarà una giornata storica, il 28 giugno. Come mai, per una convention così importante per il settore, si è optato per la sede di una organizzazione agricola e non per un luogo che sia anche uno spazio laico? Serve per rafforzare il dialogo tra le parti?

Se il 28 giugno 2018 sarà una giornata storica, lo vedremo; di sicuro sarà una giornata importante per noi perché frutto di una scelta di tutta la Federolio e questo va sottolineato perché la Federolio rappresenta un’ampia gamma di realtà operative. Detto questo perché abbiamo scelto la sede della Coldiretti per la nostra convention? Essenzialmente perché è arrivato a maturazione un processo – molto “laico” per usare la tua espressione – avviato qualche anno fa, basato sul confronto e sulla collaborazione con tutte le componenti del mondo agricolo. Ed è proprio con l’Unaprol – Coldiretti che abbiamo raggiunto una visione comune: a) sulla valorizzazione del prodotto nazionale; b) sul rilancio dell’olivicoltura italiana; c) sul ruolo essenziale del modello di operatività tipico delle imprese confezionatrici ancora gestite dalle famiglie che le hanno fondate; d) sulla necessità di un nuovo e chiaro sistema di regole della filiera basato su standard rigorosi e condivisi. Non è un caso che Federolio e Unaprol abbiano dovuto lasciare l’organizzazione interprofessionale F.O.O.I. che pure avevamo concorso a creare e in cui tanto avevano creduto. Ma alcune scelte della F.O.O.I. sono apparse sia a Federolio che a Unaprol incompatibili con i valori alla base della visione comune cui accennavo prima; ed è di questi valori che parleremo il 28 giugno.

Il motto trainante dell’incontro è “segmentare per crescere”. Quindi le nuove prospettive di consumo e di offerta partono unicamente da questo principio base? L’unica soluzione per l’Italia resta la segmentazione? Questo forse è segno che non siamo più competitivi con l’olio che io a suo tempo ho definito “democratico”, quello dei grandi volumi?

Il consumatore è disorientato davanti allo scaffale come oggi si presenta con prezzi che possono variare dai 2,99 euro/litro fino ai 40, 50 euro se non di più… C’è poi – ce lo dice la “piramide dei consumi” – una “soglia psicologica” che rende oggettivamente difficile vendere volumi apprezzabili oltre un certo prezzo. Anche io parlo spesso di “olio democratico” e continuerò a farlo con convinzione ma sulla base di certi presupposti. In concreto sì alla democrazia ma un ragionato no a una dilagante utilizzazione del prodotto come traffic builder; più che democratico – consentimi la battuta – questo è un prodotto da partito unico della promozione! È urgente dunque un confronto con le realtà distributive su questo essenziale aspetto. Quindi, ancora sì all’olio democratico che però sappia parlare di valori e articolate distintività (appunto la segmentazione) in una prospettiva di miglioramento della qualità. Eppoi un conto è rivendicare appunto la disponibilità di un prodotto democratico, un conto è esaltare una capacità di blending che in realtà è alla portata di tutti e che qualifica ben poco il prodotto e chi lo propone. Io per l’olio democratico vorrei di più e lo ripeto: 1) che non sia traffic buildero “civetta” che dir si voglia e b) che sia una verificabile espressione di una tendenza al miglioramento della qualità e alla distintività “segmentante” in una certa varietà di proposte nella gamma. Democratico può essere un prodotto italiano ma anche comunitario, un prodotto convenzionale o un bio, una con certe marcate note organolettiche e uno che invece non le ha. Insomma, la democrazia da sola, non basta, la debbo qualificare e appunto segmentare. E vorrei aggiungere: tutto questo lo debbo fare nella filiera e con la filiera, intorno a un tavolo in cui con Unaprol e Federolio devono trovare posto le catene distributive e i consumatori e, perché no, i “media” specializzati e le amministrazioni. Insomma, il parterre del 28 giugno a Roma….

Con tutta onestà e franchezza, e in questo caso sarebbe molto utile avere una risposta da imprenditore e manager: qual è esattamente il futuro che si prospetta per l’olio italiano?

Dovrebbe essere un futuro di clamoroso sviluppo dei consumi, soprattutto ovviamente nell’export e soprattutto nei Paesi in cui – tanto per parlar chiaro – affiorano numerosissimi i nuovi ricchi. È fin troppo noto che l’olio di oliva, e in particolare l’extra vergine, rappresenta una percentuale assai ridotta del consumo mondiale di materie grasse, per cui abbiamo davanti vere e proprie “praterie” per aumentare vertiginosamente i consumi. Poi servono certi presupposti sul piano della comunicazione e dei controlli sulla conformità dei prodotti. Servono regole rigorose, giuste e soprattutto ben applicate (ogni riferimento al panel test non è causale). Ma anche a prescindere da tutto questo, debbo dire che certe volte constato con stupore e amarezza che si riesce a vendere a 8 euro rispettabili volumi di confezioni da mezzo litro di un olio etnico di questo o di quel frutto o seme e non si riesce a fare la stessa cosa con un litro di un prodotto sublime come l’extra vergine. Invece ci dobbiamo riuscire e ci possiamo riuscire consapevoli che c’è molto da cambiare nel marketing del prodotto riconsiderando alcuni aspetti anche, ad esempio, del “size” e sulle modalità di penetrazione nella ristorazione.

Sembra che il passaggio chiave per uscire dal guado, secondo Federolio, sia tutto incentrato su due fronti, da una parte l’olio made in Italy tal quale – il poco che c’è a disposizione – e dall’altra l’olio denominato Italico, un mix di italiano e comunitario. Può funzionare? O, meglio: sarà accettata questa soluzione da quell’anima violentemente populista oggi tanto in voga nel Paese?

La valorizzazione del prodotto nazionale è intimamente connessa a quella del prodotto che ormai viene definito “italico”. L’extra vergine italiano è quello che vanta la più grande ricchezza di cultivar e di note organolettiche ed è ragionevole sperare che nei prossimi anni la sua disponibilità aumenti senza peraltro rincorrere modelli qui non attuabili ma senza nemmeno chiudersi in rifiuti pregiudiziali. L’”italico” è – o meglio sarà – tale: a) perché conterrà una percentuale di ottimo prodotto nazionale da fissarsi campagna per campagna secondo le disponibilità; b) perché la componente di olio non italiano dovrà comunque rispondere a verificabili e documentati requisiti di eccellenza; c) perché sarà assoggettato a controlli effettivi e severi. Con tutto il rispetto per gli attuali blend,l’italico rispetto ad essi sarà qualcosa di profondamente diverso pur senza perdere il carattere di olio democratico per usare un’espressione che ti è cara. Non sono un esperto di populismo ma chi crede nell’agroalimentare italiano e nelle sue tradizioni operative guarderà con interesse a una politica portata avanti in un settore chiave come quello olivicolo – oleario da una realtà agricola come Coldiretti e dalla Federolio intesa come espressione delle imprese familiari italiane del mondo della commercializzazione, del confezionamento e dell’import export. Né potrà sfuggire l’attenzione privilegiata per il prodotto nazionale ma senza dimenticare che per soddisfare i volumi attuali della domanda mondiale a un livello qualitativo migliore rispetto a quello attuale servono anche iniziative come quella basata sul prodotto ormai comunemente detto “Italico”.

Il tessuto familiare delle imprese olearie italiane. Il passato è stato glorioso. E il futuro? Quale soluzione è da scegliere? Delocalizzare e imbottigliare all’estero, per non incorrere nei disagi istituzionali e negli agguati tesi alle dogane con il panel test utilizzato secondo la logica della roulette russa, o puntare ad assicurarsi un ruolo marginale e tentare di sopravvivere, considerando che i traguardi della Spagna sono ormai irraggiungibili…

La nostra convinzione è che il tessuto familiare delle imprese olearie italiane avrà un futuro migliore del pur glorioso passato perché tanti dei problemi che affliggono il settore sono superabili nella logica – virtuosa e inclusiva – del confronto sia nella filiera sia con le Autorità. Il fatto che in Italia ci sia un controllo ufficiale severo ed efficiente potrà rivelarsi, a certe condizioni, anche una carta vincente nella competizione sui mercati dell’export. Non intendo però eludere il discorso sul panel test; lo ritengo indispensabile (diversamente saremmo sommersi da oli di qualità inaccettabile) ma non mi nascondo dietro al dito e so che ci sono seri problemi di applicazione di questo metodo, problemi che vanno superati a cominciare dai tempi di esecuzione delle analisi spesso incompatibili con le esigenze operative delle imprese e continuando su alcuni fin troppo noti aspetti critici della procedura di controllo organolettico. So però che ormai molti, anche non del nostro mondo, hanno preso coscienza di questo e so pure che è ragionevole sperare a breve nella disponibilità di un metodo di laboratorio che possa affiancare il panel test. Non intendo poi tacere il fatto che non trovo logico e giusto che sistemi di etichettatura non contestati per anni a un certo punto siano ritenuti in violazione di questa o quella norma; spero che dal confronto con le Autorità possano anche scaturire univoche indicazioni operative. Una recente guida sull’etichettatura degli oli di oliva dell’Ispettorato Repressione Frodi è un buon segnale che va ulteriormente sviluppato. Quanto agli “irraggiungibili” traguardi spagnoli, li rispettiamo ma il loro modello non si adatta a noi; noi dobbiamo andare per la nostra strada con un’attenzione anche all’aumento delle quantità disponibili ma dentro – ripeto – un modello nostro.

La foto di apertura è di Gianfranco Maggio per Olio Officina

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