Economia

L’olio Igp Roma?

Dopo il caso olio Igp Puglia, scoppia un’altra diatriba. Gli italiani, evidentemente, non sono più in grado di realizzare disciplinari Dop condivisi, ma forse sono soltanto troppo litigiosi e di parte, per cui debbono sempre contrastarsi a vicenda, per poi giungere a risultati comunque deludenti

Olio Officina

L’olio Igp Roma?

Una nota stampa diffusa da Pasquale Scivittaro per conto del Cno, il Consorzio Nazionale Olivicoltori, mette in luce l’ennesimo contrasto di vedute. Secondo Fabrizio Pini, che è presidente di Appo Viterbo, come pure vicepresidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori, “un olio Igp Roma potrebbe rappresentare una grande opportunità per lo sviluppo dell’olivicoltura laziale, ma così come è stato pensato rischia di trasformarsi in un boomerang per i produttori”.

Lo stato dell’arte vede l’iniziativa di una Indicazione geografica protetta in attesa del vaglio del Ministero delle Politiche agricole, prima dei dovuti approfondimenti e della decisione ultima dell’Unione Europea.

Pini va all’attacco: “Ci sono caratteristiche chimico-fisiche che vanno assolutamente riviste nel disciplinare, a partire da acidità, numero di perossidi e polifenoli, che devono avere parametri assolutamente stringenti per garantire la massima. Le olive – ha aggiunto nella nota stampa diffusa lo scorso 27 luglio – devono essere raccolte e molite in non più di 24 ore, a differenza delle 48 ore previste in questa prima bozza”.

Non solo: “Altro dato fondamentale da modificare, se davvero si vuole produrre un olio Igp che rappresenti la qualità del territorio, è quello relativo alle cultivar: bisogna aumentare almeno all’80% la percentuale di olio da cultivar autoctone, ammettendo quote di altre varietà che devono essere italiane, cosa che attualmente non è specificata”, ha continuato sempre il presidente di Appo Viterbo Pini.

L’attacco a Unaprol-Coldiretti è frontale: “Solo attraverso i cambiamenti proposti potremo aderire in maniera convinta a questo progetto”. La proposta, ovviamente, è una pretesa. Infatti si legge nella nota stampa l’esplicito invito ai sindaci del territorio di “pretendere queste migliorie necessarie: in caso contrario si tratterebbe dell’ennesima trovata pubblicitaria di Unaprol-Coldiretti, buona per qualche titolo di giornale ma completamente inutile e dannosa per i produttori olivicoli laziali”. Così, insomma, ha concluso Pini.

L’Indicazione geografica protetta è il frutto di un lungo percorso, considerando che nel Lazio sono ad oggi quattro gli oli a denominazione di origine protetta – ed esattamente: Dop Sabina, Dop Tuscia, Dop Canino e Dop Colline Pontine – ma vi sono più di dieci mila ettari di superficie olivicola che ancora non sono tutelati da attestazioni di origine, a garanzia della reale provenienza territoriale. Il marchio Roma è evidentemente avvincente, per l’attrattiva che ne deriva per i turisti che ogni anno confluiscono numerosi nella Capitale.

“L’obiettivo del progetto olio di Roma Igp – aveva dichiarato a Verona in aprile il presidente di Unaprol David Granieri – è di superare la frammentazione esistente e valorizzare l’origine e la qualità di tutte le produzioni regionali. Un marchio facilmente riconoscibile, che leghi strettamente prodotto e territorio, può costituire – aveva a suo tempo ribadito Granieri – un aiuto concreto per le aziende nella competizione sul mercato”.

Sempre secondo quanto sosteneva Unaprol, sin dal marzo 2016, l’idea del progetto è maturata negli ambienti di OP Latium, una organizzazione di produttori olivicoli territoriale organizzata da Coldiretti Lazio e aderente a Unaprol, la quale registra con il nome Roma quale identificativo delle produzioni di extra vergini del Lazio, la chiave di volta di questa nuova Igp. Alla proposta della Op Latium avevano a suo tempo aderito l’Arsial, quale principale sostenitore dell’iniziativa, oltre che la Regione Lazio e l’Unioncamere Lazio, nonché l’Azienda Romana Mercati e la Camera di Commercio di Roma.

Con l’audizione pubblica di riconoscimento che si è tenuta a Roma lo scorso 25 luglio, il progetto Igp Olio di Roma sembra dunque avviarsi verso la conclusione della fase istruttoria nazionale. Intorno alle polemiche che sono sorte al riguardo, il Consorio Dop Sabina in quota a Coldiretti minimizza, sostenendo che “trattandosi di progetto di così ampia portata, pur nel generale consenso riscontrato, sono emerse osservazioni e perplessità su alcuni punti del disciplinare”. Non mancano pertanto alcune considerazionidel Consorzio Dop Sabina: “rispetto alle caratteristiche chimico-fisiche del prodotto – si legge in una nota stampa – che qualcuno vorrebbe rivedere in forma restrittiva, è bene ricordare che una Igp non è e non deve essere una super Dop, con caratteristiche più stringenti delle Dop stesse; l’Igp Roma – prosegue la nota – deve essere un olio di qualità, certificato e riconoscibile dai consumatori, ma che possa attestarsi sul mercato a quotazioni inferiori alle Dop, anche per evitare di creare inutili e pericolose sovrapposizioni”.

Il comunicato stampa diffuso da Giorgio Pace per conto del Consorzio Dop Sabina, in risposta alla nota stampa di Appo Viterbo, chiarisce che per quanto concerne le modalità di oleificazione, in merito alle quali il disciplinare proposto prescrive che “Le olive devono essere lavorate nel più breve tempo possibile e comunque entro i 2 giorni successivi alla raccolta […]”, che su questo punto è stato suggerito di ridurre i tempi a 24 ore. Ebbene – si legge nel testo di Pace – che si tratti di una questione non rilevante in quanto il rispetto di tempi prestabiliti (che si specifica solo per poter ottemperare alle successive esigenze burocratiche di controllo) non è di per sé garanzia di ottenimento della certificazione.Sono solo le analisi chimico-fisiche e il panel test a decretare se un olio possa o meno essere certificato, sono quindi questi i due elementi che stimolano le aziende ad applicare tutti gli accorgimenti necessari ad ottenere la massima qualità dalle olive, fra i quali rientra naturalmente la riduzione al minimo possibile del tempo che intercorre fra raccolta e trasformazione in olio”.

Non solo, prosegue il comunicato stampa del Consorzio Dop Sabina, che nel corso del dibattito sia emersa la richiesta di aumentare la percentuale minima delle cultivar autoctone/consuetudinarie elencate nel disciplinare dal 70 all’80%, riducendo da 30 a 20 la percentuale di altre cultivar ammesse.“A tal proposito – si legge nel testo diffuso dal Consorzio Dop Sabina – riteniamo che il compromesso trovato in fase di elaborazione del disciplinare, ovvero elencare solo nove cultivar autoctone/consuetudinarie e lasciare un congruo spazio alle altre sia il più rispettoso nei confronti del ricco e articolato patrimonio di cultivar autoctone della nostra regione: ridurre la percentuale delle altre cultivar significherebbe escludere dall’opportunità di aderire alla nuova Igp molte aziende agricole che contribuiscono attivamente alla tutela della biodiversità olivicola regionale”.

Leggendo i comunicati stampa notiamo una certa disinvoltura nel sostenere le varie posizioni, per esempio confrontando quanto sostenuto dai pugliesi di Coldiretti, che pensavano all’olio Igp Puglia come a una super Dop, mentre per ciò che concerne l’olio Igp Roma si pensa al contrario non a una Igp intesa come super Dop, ma che deve essere altresì un olio di qualità senza pensarlo come un olio eccellente in assoluto. Insomma, si nota una gran confusione, in base ai vari territori, segno che non vi è una visione unitaria in questo Paese e che ciascuno va per la tangente, in base a interessi puramente localistici.

Ora, la questione disciplinare di produzione apre uno squarcio che ingloba tutti i malcontenti, nella classica evidenza delle lotte senza fine tra i vari attori della filiera olio da olive. Non è facile districarsi in questo continuo guerreggiare a destra e a manca, proprio in un periodo storico in cui si dovrebbe essere tutti uniti. Il caso Igp Puglia lo dimostra chiaramente. Quel che serve, in questi casi, è uno spirito diverso, ma sappiamo bene che si tratti di una ambizione troppo grande in un Paese che più dell’olio si ha cuore la gestione del potere.

Come si risolveranno le tante diatribe in essere in Italia? Secondo il nostro parere attraverso dei soggetti terzi, estranei alle organizzazioni di categoria, escludendole tutte e lasciando la gestione a figure totalmente estranee, lasciando la responsabilità di tutte le decisioni a un commissario straordinario e a uno staff di esperti liberi e indipendenti. Ma è forse utopia.

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