Economia

L’olivicoltura nella transizione ecologica entra a pieno titolo

Non occorre però stare a guardare. Bisogna agire, anche in vista di quel che è il nostro territorio. Si devono tutelare gli olivi secolari e quelli con funzioni paesaggistiche, ma è necessario anche piantare più olivi, studiando come fare a rendere più intensiva la coltivazione. L’olivicoltura, così come l’agricoltura, per Dino Scanavino resta un elemento fondamentale nell’economia di un Paese: ma è una realtà che deve produrre reddito, altrimenti le persone che se ne occupano se ne vanno e abbandonano i campi

Luigi Caricato

L’olivicoltura nella transizione ecologica entra a pieno titolo

È trascorso del tempo, lo so, ma in un’ora di relax, facendo ordine tra le tante scartoffie che invadono il mio tavolo di lavoro, mi sono imbattuto nel programma di un incontro che ho moderato a Imperia, lo scorso 6 novembre 2021, alla presenza, tra gli altri relatori, dell’allora presidente nazionale di Cia – Agricoltori Italiani Dino Scanavino, che dallo scorso mese non occupa più il ruolo che ha saputo gestire alla perfezione, e così ho avuto desiderio di rivedere gli appunti che avevo preso. Ed ecco alcune utili riflessioni, sempre attuali.

Per esempio, in tema di nuove tecnologie in agricoltura.

Non si può lavorare senza la possibilità di aprirsi all’utilizzo sperimentale di nuove tecnologie, ebbe a dichiarare in quell’incontro Scanavino. La giusta risposta per dare una scossa positiva all’agricoltura è tutta nelle nuove biotecnologie.

Confesso che la conferma di Scanavino l’ho molto apprezzata. L’impegno del mondo agricolo non può eludere le biotecnologie: “tutto quello che si può fare su una determinata pianta, senza modificarne il sistema genetico, ma rendendola resistente a determinate situazioni, va fatto”, ha avuto modo di precisare, aggiungendo altre importanti riflessioni.

“Non si ha ancora la possibilità di aprire immediatamente questo tipo di sperimentazione su larga scala, perché quella su piccola scala, di laboratorio è stata già fatta, ma è necessario coinvolgere quante più realtà possibili in modo da ottenere piante che resistano a determinate patologie”.

In quell’incontro di Imperia, dialogando con Scanavino, feci notare al pubblico come la ricerca sugli Ogm sia stata per decenni condizionata da un sentimento di irrazionale e immotivata paura. Non potevo esimermi dal citare il caso dell’università della Tuscia, costretta, alcuni anni fa, a distruggere gli olivi oggetto di una ricerca istituzionale condotta dal professor Eddo Rugini per oltre un decennio fatto di meticolosi e accurati studi e sperimentazioni. La politica inquina, come al solito, la società e l’economia, e così, per un’azione a gamba tesa da parte di Mario Capanna, si fu costretti a cedere agli impeti dell’ignoranza e delle posizioni ideologiche oltranziste. Quegli olivi sui quali il professor Rugini lavorava con il suo team di ricerca, furono brutalmente eradicati e messi al rogo, proprio come al tempo della caccia alle streghe, solo che questa volta è stata la scienza a subire l’onta del disprezzo.

Ecco perché mi ha confortato il pensiero pubblicamente espresso da Dino Scanavino al riguardo: “Siamo andati molto avanti rispetto agli Ogm”, aveva detto. “Ormai non si tratta più di quel cibo modificato. Siamo ora a una modificazione intra specie, di una procedura genetica che ti dà dei frutti esattamente uguali. Uno dei problemi per cui l’Unione Europea non autorizza la ricerca, è che una mela prodotta da una pianta e una mela trattata risultano essere due prodotti esattamente uguali, che all’analisi non sono distinguibili. Se sono perfettamente uguali, perché, allora, non si autorizza la ricerca? Il problema sussisterebbe nel caso si ottenessero due prodotti differenti, ma il vero problema è che ci si trova davanti – come ebbe modo di chiarire Scanavino – a un problem a di ordine culturale”. C’è un vuoto culturale spaventoso e la scienza ne paga le conseguenze.

Ebbene, nell’incontro organizzato da Cia Liguria – di cui ora riferisco per renderlo ancora vivo, pur a distanza di mesi – emerse in modo inequivocabile che la sfida per il futuro dell’agricoltura resta tutta concentrata in quel che viene definito New Green Deal.

Il tema tuttora rimane – come potete ben comprendere – attualissimo, ed è proprio su questo che si gioca un proprio ruolo chiave l’agricoltura di domani. Il New Green Deal – al di là degli apparati burocratici che ne frenano l’ottimismo – è una grande opportunità, ma va colta in tutta la sua evidenza.

Ecco allora, prezioso e in sé significativo, il pensiero di Scanavino, che riporto di seguito testualmente, così come l’ho trascritto: “L’olivicoltura nel New Green Deal, nella transizione ecologica, ci deve entrare a pieno titolo, perché l’olivo ha la capacità di assorbire anidride carbonica e di trattenere anche carbonio organico nel suolo. Questo succede a causa della scarsa lavorazione del terreno. Bisogna agire, e dobbiamo farlo anche in vista di quello che è il nostro territorio. Praticamente tutte le regioni d’Italia hanno olivi, e possiamo contare almeno diciannove olivicolture diverse, tutte interessantissime, alcune di più dal punto di vista quantitativo, e altre invece da quello qualitativo e del mantenimento idrogeologico del territorio, là dove vi sono oliveti su pendenze importanti. Abbiamo un’olivicoltura che è votata alla produzione, ed è per questo che dobbiamo fare più olio. Come si può non pensare di aumentare la produzione di olio in Italia avendo potenzialità incredibili? Abbiamo investito 32 milioni di euro per il piano olivicolo strategico nazionale per studiare come fare a rendere più intensiva la nostra olivicoltura. Dobbiamo tutelare gli olivi secolari e quelli con funzioni paesaggistiche, ma è anche necessario piantare più olivi. Si può fare ancora molto, e si deve fare molto. Ritorna quindi il discorso della conoscenza, dell’applicazione della conoscenza, della sperimentazione e della ricerca e del finanziamento di azioni coordinate all’interno di progetti coordinati che servano a determinati obiettivi, che abbiano un inizio, una fine, un monitoraggio e una verifica della corrispondenza con quanto progettato. Davanti a una strategia così ambiziosa, e rispetto a una quantità di denaro in campo così significativa, noi non possiamo lasciare gli oliveti di Imperia senz’acqua. Se vogliamo andare verso la transizione ecologica, verso il New Green Deal, verso una armonizzazione dei sistemi produttivi, e anche di promozione dell’abitare in determinate aree del paese, bisogna tenere conto di una serie di esigenze. L’agricoltura – ha avuto modo di chiarire Dino Scanavino – resta un elemento fondamentale, e ciò che può fare è dare reddito, o, altrimenti, le persone che se ne occupano se ne vanno. Bisogna perciò capire le dinamiche di alcune aree antropologiche – come quella ligure, per esempio – dove l’agricoltura è sopravvissuta perché a fondo valle c’era la fabbrica. Se questa non ci fosse stata, lo scenario sarebbe stato diverso e peggiore. Intere zone sarebbero state interamente spopolate. Abbiamo resistito, negli anni, a quando l’olio di Taggia costava tanto quello di Bitonto. Abbiamo resistito perché la società si è organizzata attorno a un altro modello, che ha consentito di andare a recuperare migliaia di piante di olivo. Ora è il momento di ritornare alle coltivazioni, e va sostenuto, questo percorso, garantendo ai giovani prospettive che non siano solo soldi, ma organizzazione delle infrastrutture, delle questioni sociali e di tutto quello che occorre. Tutto il resto serve, certo, ma prima bisogna partire da questi punti, affrontarli e cercare di risolvere gli aspetti fondamentali del settore”.

Chiudo qui. Queste riflessioni ho voluto condividerle con le lettrici e i lettori di Olio Officina perché le ritengo molto importanti, ma anche perché è un modo per salutare e ringraziare pubblicamente Scanavino per quello che ha fatto negli anni della sua presidenza in Cia – Agricoltori Italiani.

La foto di apertura è di Pasquale Manca, di Olio San Giuliano. Una foto che apre alla spernza, perché dove ci sono nuovi olivi c’è il futuro.

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