Economia

La gioiosa avanzata dei vergini

Campagna olivicola compromessa, prezzi delle olive irragionevoli, basse resse in olio, molta mosca. Il mercato è in fibrillazione, tanti i furti di olive, molte compravendite in nero. Accade di tutto, ormai. Nella più totale anarchia. Nel frattempo gli oli vergini di oliva si affacciano sulla scena da protagonisti. E se fosse l’occasione giusta per imbottigliarli?

Luigi Caricato

La gioiosa avanzata dei vergini

Chi l’avrebbe mai detto, vero? Eppure alle volte ci pensa la legge della casualità a mettere ordine nella confusione generale. Quest’anno è uno di quelli da ricordare. Anno terribile, anche se non tutto ciò che accade va letto in chiave negativa. Il tracollo della produzione può essere l’occasione per rimettersi in piedi recuperando in dignità e serietà. Che l’Italia prendesse in giro se stessa e il resto del mondo per carenza produttiva era noto a tutti, ma vinceva l’ipocrisia, e così anche le quote produttive ufficiali difettavano in eccesso. Si dichiarava ciò che non c’era, esagerando nei quantitativi. Per fortuna che non tutti i mali vengono per nuocere, e così una stagione obiettivamente negativa, può essere l’occasione per ricominciare.

Chi l’avrebbe mai immaginato, tuttavia, che dopo tanto can can sugli alchilesteri, con polemiche aspre e selvagge, perfino primitive e tribali, oggi ci si ritrovi in una situazione imbarazzante, con oli di scarsa qualità, per via degli attacchi della temutissima mosca olearia?

Per la prima volta c’è un po’ di umiltà. La si percepisce nettamente, è nell’aria. Così, mentre fino allo scorso anno le quote di olio vergine lampante e di olio vergine di oliva erano piuttosto elevate, ora, con la olivagione in corso, sarà ancora peggio. Non credo che la parlamentare Colomba Mongiello andrà a gridare ai quattro venti che l’Italia – solo perché è l’Italia – sia campione in alta qualità. Questa situazione inedita che si è venuta a creare ci permette per la prima volta di confrontarci con una annata difficile e di fare il punto della realtà, in modo che ci si renda conto di quel che effettivamente si produce nel Paese – e cosa, tra l’altro, si produca in termini di qualità e quantità.

Finora sono volate parole spropositate, dichiarazioni di una qualità assoluta degli oli da olive italiani solo per diritto di nascita. Ora che il quadro è davvero desolante, forse è arrivato il tempo di azzerare il passato e di voltare pagina: far tabula rasa, ricominciando.

A memoria generale, non si ricorda una annata così disastrosa. Nel 1985 c’era stato un forte calo, è vero, ma era una situazione diversa. Oggi tale caduta si è registrata su più fronti: non solo per le quantità di olio, anche per la qualità. Salvo eccezioni, s’intende; ma, nel complesso, c’è poco da sorridere. Ce la faremo, tuttavia. Può accadere che vi siano olivagioni difficili e complicate, come in questo 2014. Solo che, rispetto a quanto abbiamo fatto finora, non possiamo più perdere una simile occasione. Sarà pure un’annata disastrosa, ma è l’occasione giusta per ripensare il nostro comparto.

C’è già qualche segno positivo, per cominciare. Per esempio, c’è chi ha deciso di non imbottigliare. Ovviamente tale esempio – lodevole, perché significa ammettere che non è il caso fingere una qualità inesistente – riguarda solo qualche piccola azienda che si limita a confezionare unicamente il frutto dei propri olivi. Per chi acquista materia prima, che siano olive o olio è invece diverso: la possibilità di attingere da aree più generose in quantità e qualità dei frutti c’è, per fortuna.
Chi rinuncia a confezionare ricalca ciò che da tempo si verifica nel mondo del vino. Un nome tra tanti, per fare un esempio concreto: il compianto Edoardo Valentini. Un grande vignaiolo di Loreto Aprutino, in Abruzzo. Pensate: quando Valentini decideva di non confezionare il vino con il proprio nome, quel che produceva dalle sue vigne, lo vendeva sfuso, ma era altrettanto buono, il vino, pur se non rispondente ai suoi canoni di qualità. Altre aziende lo acquistavano. Non solo: partecipavano anche ai vari concorsi enoici, vincendoli pure, nonostante il vino sia stato scartato dal Valentini. Un mito, quel vignaiolo abruzzese. Ecco, chi, tra i piccoli o medi produttori d’olio decide di fare altrettanto, dimostra di avere coraggio. Non è da tutti. Tuttavia, non è la scelta più saggia – tranne che non si è piccola azienda e si vive d’altro.

Tornando però alla campagna olearia 2014-2015, c’è ancora una volta da osservare come il ritrovarsi su livelli di qualità così poco soddisfacenti lasci comunque l’amaro in bocca, nonostante tanto duro lavoro e investimenti sulle spalle. Ci si ritrova, a conti fatti, con poco extra vergine, e, quando va bene, con degli onesti oli vergini di oliva – senza ovviamente considerare l’ampia quota di olio lampante. Che fare in simili casi? Occorre non rinunciare a ciò che le piante sono riuscite a donarci. Ogni frutto del proprio sacrificio merita considerazione e rispetto. Per quresto si richiede quela giusta dose di buon senso e dimostrare di possedere il coraggio di osare, tornando a valorizzare l’olio di oliva vergine.

Alla presentazione di Vitae, la guida ai vini dell’Ais all’esordio della sua prima edizione lunedi 3 novembre a Milano, mi ha fatto molto piacere ricevere, a distanza di mesi, i complimenti di una sommelier per ciò che io avevo detto pubblicamente in un incontro. Parlavo – all’inizio dell’estate – di una scala di valore, elencando in ordine di qualità crescente l’olio di sansa di oliva, l’olio di oliva, l’olio di oliva vergine e l’olio extra vergine di oliva. Una scala di valori che ci permette di comprendere la complessità di un prodotto che si può declinare in modo differente.

Non c’è solo un olio da olive, ma tanti. E ci sono anche gli oli extra vergini di oliva comuni, quelli da tutto pasto, buoni per ogni impiego, che non sono eccellenti, ma che egualmente meritano la qualifica merceologica di extra vergini, in quanto rientrano nei parametri fissati dal legislatore per tale categoria. Parlavo anche – nell’occasione dell’incontro pubblico in cui ero relatore – degli oli vergini di oliva, i grandi assenti dagli scaffali – un errore imperdonabile, gravissimo da parte del comparto oleario: una vera offesa al buon senso e all’intelligenza, non averne sugli scaffali; una sconfitta pesante anche sul piano commerciale. E poi, altri oli da olive meno nobili, ma in ogni caso dignitosi, sono l’olio di oliva propriamente detto e l’olio di sansa di oliva.

Ebbene, mi ha fatto un grande piacere ricevere il complimento da parte di una appassionata che tuttavia nulla ha a che vedere con il comparto oleario. Questa ragazza, che non è del settore, ha capito ciò che gli addetti al settore non capiscono, o fingono di non capire. Tutto ciò che deriva dall’oliva ha grande valore, poi, evidentemente, esiste una scala di valore, una piramide della qualità che va intesa e compresa nella sua evidenza valoriale.

Una volta che tutto è chiaro e non sorgono equivoci, si tratta di accettare tutto ciò che deriva da un frutto come l’oliva. E così, ecco il punto. Per chiudere. Vi sono quantità cospicue di oli vergini di oliva quest’anno? Bene, nessuno si pianga adosso: si imbottiglino. Ogni persona seria dovrebbe evitare di far finta di non capire. La serietà professionale si vede anche da questi atteggiamenti. Non assegnare una dignità merceologica all’olio di oliva vergine equivale ad ammettere la propria ignoranza. Non accogliere la complessità di un prodotto molteplice come l’olio da olive, significa ammettere di non aver capito nulla.

La campagna olearia 2014-2015 non è esaltante? Siano allora immesse in commercio le bottiglie di olio di oliva vergine. Le chiacchiere lasciamole alla politica, e a chi, in tutti questi decenni, ha devastato il Paese, facendo sprofondare un settore un tempo glorioso come quello oleario, oggi in grande sofferenza e disagio per inettitudine e crassa ignoranza.

La foto di apertura è di Alberto Martelli

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