Economia

La PAC post 2020

La principale innovazione proposta consiste nel maggiore coinvolgimento degli stati membri. Tuttavia, mentre per gli investimenti in sviluppo rurale si può verificare se il finanziamento pubblico è efficace, per i “pagamenti diretti” l’obiettivo è molto ambiguo. Per poter raccogliere la sfida dello sviluppo sostenibile, gli agricoltori hanno tutto l’interesse a rifiutare la forma d’intervento “pagamenti diretti” e battersi per rafforzare il “sostegno agli investimenti” in ricerca, sviluppo e innovazione

Alfonso Pascale

La PAC post 2020

I rilievi critici del CESE e di numerosi esperti non hanno trovato alcuno spazio nei documenti preparatori delle proposte di regolamento per la PAC 2021-2027. In questi testi sono stati confermati i “pagamenti diretti” rinominati con la singolare espressione “sostegno al reddito per la sostenibilità” senza che ne sia stata cambiata la natura effettiva di sostegno all’ettaro e quindi alla rendita fondiaria. Mentre per gli investimenti in sviluppo rurale si può verificare se il finanziamento pubblico è efficace: gli obiettivi sono chiari e ben definiti. Per i “pagamenti diretti” l’obiettivo è molto ambiguo. E dunque è difficile stabilire indicatori e target adeguati per premiare i virtuosi e, peggio ancora, per sanzionare gli inadempienti. Inoltre, un pagamento ad ettaro non aiuta il profitto, tantomeno la sostenibilità. Più sale la rendita, più il reddito si riduce, come sanno tutti gli affittuari che, come effetto indiretto dei “pagamenti diretti”, devono far fronte a canoni sopravvalutati. Sono poi rimasti i cosiddetti due “pilastri” della PAC: “pagamenti diretti” e “sviluppo rurale” con un ruolo ancora secondario del secondo rispetto al primo, nonostante gli impegni assunti dalle istituzioni europee di andare ad una inversione di rotta.

La principale innovazione proposta consiste nel maggiore coinvolgimento degli stati membri. Nella nuova PAC l’Unione fisserebbe i parametri di base (obiettivi, tipologie d’intervento, requisiti) mentre gli stati membri, attraverso un “Piano strategico nazionale della PAC” relativo sia al primo che al secondo pilastro, sarebbero incaricati di precisare gli interventi, controllarne l’applicazione e comminare le sanzioni. Alcune migliaia di ricercatori ed esperti europei hanno sottoscritto un documento di osservazioni e proposte sulla futura PAC in cui sono formulate diverse critiche. Il principale limite che viene rilevato in tale testo è il «mantenimento dei sussidi erogati attraverso i “pagamenti diretti” basati sulla superficie e su requisiti ambientali minimi, nonostante questi si siano rivelati inefficienti nel raggiungere i loro presunti obiettivi e siano spesso erogati ai proprietari dei terreni e alle industrie, ma non alle aziende agricole stesse. Fissare un tetto massimo e ridistribuire i pagamenti diretti non garantisce comunque un’erogazione più equa, né giustifica il mantenimento dei pagamenti diretti». Si criticano i «tagli di bilancio per i Programmi di Sviluppo Rurale, comprese le misure agro-climatico-ambientali. Dove sono stati pianificati e applicati correttamente, gli strumenti dei Programmi di Sviluppo Rurale si sono dimostrati efficaci per sostenere sia le pratiche agricole a favore dell’ambiente sia lo sviluppo rurale. I tagli di bilancio proposti sono pertanto controproducenti». Si sostiene che «la vaga formulazione dei requisiti della nuova “architettura verde” consente agli stati membri e agli agricoltori di scegliere opzioni poco ambiziose da un punto di vista ambientale (indicate come light green)». Si lamenta che «gli indicatori di prodotto e di risultato previsti dalla prossima PAC, monitorano principalmente l’attuazione amministrativa e finanziaria, mentre gli indicatori di impatto proposti sono in gran parte vaghi, ridondanti o incompleti. Mancano indicatori relativi alla gestione delle aziende agricole, ai cambiamenti di destinazione dei terreni, ai parametri ambientali e alle prestazioni economiche delle famiglie di agricoltori, per citarne solo alcuni. Ciò è in netta contraddizione con i principi basati sul perseguimento dei risultati che la prossima PAC pretende perseguire. Inoltre, la forma semplificata della maggior parte degli indicatori proposti e i complessi oneri amministrativi previsti costituiscono un ostacolo importante per l’attuazione di una politica ambientale ambiziosa da parte degli Stati membri». In sostanza si sostiene che «la PAC post 2020 ripercorre la procedura, già fortemente criticata, di riorganizzazione e ridefinizione dei propri elementi costitutivi, che impedisce un effettivo apprendimento dalle precedenti applicazioni della PAC, e ne mina trasparenza e credibilità».

A ben vedere le osservazioni di una parte considerevole del mondo scientifico fanno emergere una ambiguità della formula del “sostegno al reddito per la sostenibilità” che renderà impossibile alla Commissione individuare indicatori e target adeguati. Nella consapevolezza a priori di questa impossibilità, è facile immaginare che ogni stato membro andrà per la sua strada, interpretando le regole europee a proprio comodo, nella certezza che a ogni eventuale contestazione della Commissione (basata su indicatori inconsistenti perché è ambigua la natura dell’intervento) si potrà sempre obiettare, eccepire, contrapporre eccezioni e farla franca. Avremo così 27 politiche agricole nazionali. In definitiva, appare sufficientemente chiaro che il combinato disposto, da una parte, del cosiddetto new delivery model, con cui le decisioni relative all’applicazione della PAC sono attribuite agli stati membri, incaricati del “piano strategico nazionale” e, dall’altra, della formulazione generica e criptica dell’obiettivo (“sostegno al reddito per la sostenibilità”), vuole aprire la strada alla definitiva devoluzione di questa misura alla responsabilità degli stati membri.

Allora a questo punto la domanda da porsi è la seguente: «È sensato proseguire in tale sovrapposizione di competenze, quando il processo vuole esplicitamente evolvere verso la ‘ri-nazionalizzazione’? Non conviene trovare soluzioni più ragionevoli che portino ad una effettiva e piena responsabilizzazione (anche nei confronti dei propri elettorati) di quei soggetti istituzionali che assumono le decisioni, rendendo trasparenti e semplificate le modalità con cui si adottano?». Per poter raccogliere la sfida dello sviluppo sostenibile e mettersi alla testa degli investitori “verdi” europei, gli agricoltori hanno tutto l’interesse a rifiutare la forma d’intervento “pagamenti diretti” e battersi per rafforzare, sul piano normativo e finanziario, la componente della PAC “sostegno agli investimenti” in ricerca, sviluppo e innovazione (politica di sviluppo rurale). Il nuovo terreno su cui, nei prossimi anni, competeranno le agricolture del mondo sarà quello della scienza e delle tecnologie per modelli produttivi orientati allo sviluppo sostenibile.

[fine quinta puntata, prosegue]

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