Economia

La Puglia olearia c’è

Voltare pagina. “Oggettivamente è mancata una vision, da parte della Regione Puglia, chiamata a programmare lo sviluppo del comparto”. Ad afffermarlo è Francesco Guglielmi, presidente di Assoproli Bari. Un errore? “Si è prestata maggiore attenzione alla burocrazia delle aziende, alla parte cartacea, più che alla parte produttiva”.

Luigi Caricato

La Puglia olearia c’è

C’è una Puglia che ci crede e vuole voltare pagina. Iniziamo questo viaggio in Puglia attraverso i suoi rappresentanti del mondo oleario, con una indagine che ci permette di capire dove si sta andando e quali strade si intendano percorrere. Iniziamo con il presidente di Assoproli Bari Francesco Guglielmi.

Presidente Guglielmi, la chiusura del corso di olivicoltura a Bari rappresenta una brutta pagina per una regione come la Puglia. Dopo la sua accorata lettera-appello, indirizzata a ben 24 soggetti, tra istituzionali e privati, tra cui noi di Olio Officina Magazine, che risposte ha avuto? C’è stato un segnale rassicurante da parte delle Istituzioni o il silenzio assoluto?

Con molta franchezza devo dirle che, fatta eccezione per la lettera dell’assessore all’Agricoltura della provincia di Bari, Francesco Caputo, che ha offerto la disponibilità della Istituzione a trovare insieme strade per contrastare provvedimenti che mortificano il nostro territorio, per il resto, con molta amarezza, ho registrato un silenzio assordante da parte delle decine di Istituzioni che abbiamo interessato e dei tanti che ogni giorno fingono di parlare di olivicoltura.

In un mio libro pubblicato da Mondadori nel 2001, Oli d’Italia, denunciavo l’assenza di una strategia che riportasse la Puglia olearia al centro del Paese. Scrivevo in particolare come manchi “la sensibilità , o comunque quella necessaria visione di chi sappia guardare al futuro con occhi diversi dagli attuali”. Da allora non è cambiato nulla, anzi qualcosa è cambiato, ma in negativo. Come mai questo arretramento, da cosa dipende? Perché si è così fallimentari?

Oggettivamente è mancata una vision, come si suole dire oggi, da parte della Regione chiamata a programmare lo sviluppo del comparto. Inoltre, sono mancati gli strumenti con cui operare, vedi il modello di organizzazione di produttori realizzato per il settore dell’ortofrutta. Le OP Olivicole pur riconosciute non hanno avuto gli strumenti per operare e, soprattutto, la Regione non ha attivato i controlli per verificare il rispetto del mantenimento/raggiungimento dei parametri di riconoscimento delle stesse. Anzi, attraverso le risorse finanziarie destinate al miglioramento della qualità dell’olio (Reg . CE 867/08 e smi) si è continuato a finanziare un sistema che in gran parte ha esaurito le sue funzioni e non risponde alle esigenze del vero olivicoltore.

A proposito di formazione, nei secoli passati se ne faceva tanta. Esistevano pure, in altre regioni, le “cattedre ambulanti”, Bettino Ricasoli addirittura aveva programmato la domenica gli incontri di “catechismo rurale”, come è possibile che in un’epoca di scolarizzazione di massa, non si investa in formazione? Come è la situazione reale in Puglia?

Molti anni fa, la Regione ebbe una felice intuizione, quella di assumere dei consulenti (agronomi, periti, ecc.) perché si recassero presso le aziende. Una iniziativa che ha avuto vita breve, detti consulenti in breve tempo finirono dietro le scrivanie e amen.
La Puglia olivicola di oggi vive ancora grazie agli sforzi di divulgazione vera, di formazione e informazione realizzati fino agli anni Novanta. Poi si è prestata maggiore attenzione alla burocrazia delle aziende, alla parte cartacea, più che alla parte produttiva. E ancora ai giorni nostri, gran parte delle enormi risorse investite per la formazione e l’assistenza sono state indirizzate più verso le “aule” che verso i campi!
Per fortuna lo spirito imprenditoriale e la curiosità tipica della gente di Puglia porta i migliori imprenditori a “girare il mondo” e a procurarsi le informazioni e le innovazioni sviluppate in altri sistemi-paese. Finché le risorse finanziarie e umane ce lo hanno consentito abbiamo cercato di sopperirvi, infatti istituiamo corsi per gli olivicoltori che spaziano dal corretto uso dei fitofarmaci, al corretto smaltimento dei rifiuti in olivicoltura per ridurre il più possibile l’impatto ambientale, corsi di potatura ecc., con la presenza solo per lo scorso anno di quasi mille partecipanti, ma è poca cosa rispetto alla esigenza reale di formazione per il nostro comparto. Solo di recente la Regione ha promosso dei corsi per esperti di frantoio. Meglio tardi che mai. Ma è pur sempre una goccia. Forse ai tanti sfugge il fatto che il nostro comparto è uno dei pochi che ancora sviluppa occupazione in una terra con grandi problemi di lavoro.

In conclusione, che futuro prevede per la Puglia olearia? Ci sono reali occasioni di riscatto?

Noi crediamo nel futuro della Puglia olivicola e operiamo in tal senso tutti i giorni sul territorio. Le occasioni, indubbiamente, ci sono, considerate le eccellenze, in termini di aziende agricole e cooperative che riscuotono successo sui mercati e nelle grandi fiere nazionali ed internazionali. Tuttavia, occorre uno sforzo corale di tutti i soggetti della filiera olivicolo-olearia. Ma, a latere, deve esserci l’azione dei soggetti pubblici, in testa Regione e Ministero, attese le competenze che la legge gli attribuisce. Insomma ognuno deve svolgere il proprio ruolo. Penso che una risposta in tal senso dovrà venire dalla programmazione delle azioni da porre in essere in relazione alla nuova Politica agricola comunitaria (Pac) 2014-2020 anche se, dalla lettura dell’attuale quadro normativo il settore olivicolo subirà tagli pesantissimi che metteranno in ginocchio l’intero comparto oleario soprattutto nelle regioni meridionali.

Infine, una domanda: siamo stati diffamati da un quotidiano statunitense, il New York Times. Noi sappiamo bene quale sia la realtà dei fatti: abbiamo nove organismi di controllo e quindi dobbiamo dirci sicuri e garantiti, perché allora nessuna Istituzione, nè il Governo, nè gli enti di controllo, nè le accademie, hanno reagito indignati, smentendo categoricamente queste offese? Siamo allora un popolo di delinquenti?

Come ho già denunciato in una nota stampa, all’indomani della pubblicazione delle vignette sul New York Times, non si può criminalizzare un intero comparto, come quello dell’olio extravergine di oliva pugliese ed italiano per un insignificante numero di imprenditori italiani senza scrupoli che pur di realizzare rapidi e ingenti guadagni, deturpano l’immagine di produttori e industriali onesti che, poco alla volta con grandi sacrifici e investimenti nella qualità, hanno conquistato importanti fette di mercato in America. Con amarezza ho registrato il silenzio di quei soggetti ed organismi, pubblici e privati, che avrebbero dovuto prendere posizione sul problema. Tant’è che sul tema ho lanciato una provocazione, sempre a mezzo stampa, invitando tutti gli attori della filiera olivicolo-olearia e pugliese e delle Istituzioni preposte ad un’azione coordinata, a comprare delle pagine a pagamento sul New York Times (e l’Assoproli è sempre pronta a fare la sua parte), per illustrare ai lettori e all’opinione pubblica americana i livelli di eccellenza conseguiti dal vero olio extra-vergine di oliva italiano. Per dire insomma che gli operatori italiani del comparto non sono certo una massa di delinquenti. Inoltre, vorrei aggiungere che anche i vari buyers che solitamente vengono considerati “fuori” da queste problematiche, dovrebbero iniziare seriamente ad occuparsi e preoccuparsi non solo del prezzo conveniente ma anche di approfondire le loro conoscenze sulla qualità del prodotto che acquistano e sulla qualità delle imprese con le quali intrattengono rapporti commerciali.

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