Economia

Nessuno crede più nell’olivicoltura

Strano Paese il nostro, il numero degli alberi messi a dimora in Unione europea, nel corso del periodo 1995-2002, è la chiara testimonianza di un’Italia in netto arretramento. Il confronto tra Italia e Spagna spinge a severe riflessioni cui non ci si può sottrarre

Massimo Occhinegro

Nessuno crede più nell’olivicoltura

La tabella sopra riportata spiega, in sintesi, il divario produttivo che esiste tra l’Italia e, soprattutto, la Spagna. Due Paesi, due modi di pensare al prodotto “olio di oliva” diversi, due strategie diverse.

L’Italia, anche per diversità territoriali, ha investito e continua a investire in qualità senza tuttavia la necessaria comunicazione al consumatore, sia in ambito nazionale, sia in contesti internazionali.

La seconda , la Spagna, al contrario ha puntato sulla quantità, sulla leadership di costo e sulla comunicazione promozionale del Made in Spain. Spagna che, cogliendo “l’assist” di alcune note associazioni di produttori nostrane, comunica che l’Italia è il primo acquirente di olio spagnolo, e non solo.

Nessuno dei due Paesi ha puntato sulla “cultura” dell’olio, indispensabile, per far conoscere ai consumatori le differenze gustative e qualitative degli oli extra vergini di oliva; ma, vista la differente strategia, tale compito spettava forse all’Italia, così come aveva fatto per il vino, ma nulla è stato fatto e viene fatto, nonostante i fiumi di danaro arrivati da Bruxelles, senza quindi “attingere” dalle tasche degli operatori, se non in misura risibile.

Oggi il consumatore sa bene cosa acquista, pagando un prezzo differente, come “vino” – nome che accomuna il Tavernello al Sassicaia o al Brunello.

La stessa cosa non accade per l’olio extra vergine di oliva: il consumatore li accomuna tutti , comprando quello che costa di meno, con la complicità della grande distribuzione – “organizzata”.

L’Italia accetta oli vegetali vari per la frittura, ma disdegna l’olio di oliva e l’olio di sansa come più nobili sostituti. In molti hanno un solo “Dio” , l’olio extra vergine di oliva. Tutto il resto “è noia”. Ma certo, consumiamo pure olio di palma, olio di arachidi, olio di girasole, questi si di assoluta o prevalente importazione. Facciamoci dunque del male.

A parte il vantaggio dell’Italia a livello d’immagine nel mondo, la Spagna si fa largo in tutti i Paesi europei e non, scalzando l’Italia dalla sua riconosciuta leadership.

In Spagna le attività promozionali sono condotte sotto un’unica regia, in Italia, le regie sono diverse e spesso poco efficaci. Entrambi i Paesi beneficiano di aiuti comunitari per la realizzazione di campagne promozionali all’estero, ma mentre la Spagna investe in aggiunta, anche con risorse finanziarie della filiera, interprofessione, l’Italia non investe con soldi propri e l’interprofessione si può schematizzare – in riunioni tra compagni che parlano molto e agiscono meno.

In Italia si litiga su tutto e con tutti, in Spagna si va coesi con l’unico obiettivo di vincere la competizione e guadagnare la leadership mondiale.

Erroneamente l’Italia si ritiene la “prima della classe”, denotando una scarsa umiltà, e cerca di “muovere le acque” , legiferando qua e là, spesso in maniera convulsa in Italia, dimenticando di far parte dell’Unione europea, ottenendo modifiche legislative, con la contropartita di pagare sanzioni che in periodo di crisi non ci possiamo e non dobbiamo permettere che ci siano. Nel periodo 1998-2013, ad esempio, si sono succedute diverse leggi, tutte tese sostanzialmente a complicare la vita ai produttori italiani, con l’aumento di scartoffie, con la sottrazione di tempo utile alle poche risorse umane, altrimenti destinate alla crescita.

Nulla è cambiato sul fronte dell’olivicoltura italiana, si lamentavano a ragione prima, continuano a lamentarsi, sempre a ragione, dopo; ma, nonostante ciò, nessuno riflette su questo fondamentale aspetto, e ancora oggi molti produttori appoggiano le associazioni dei produttori, le vere artefici, a mio parere, del costante declino della produzione italiana.

Pigrizia? Non saprei. In fondo il tutto è politica.

I voti, i voti, le promesse, e ancora promesse, senza risultati.

Allorquando si tenta di fare qualche cambiamento , come ad esempio l’Sqn, (Sistema di Qualità Nazionale) ecco che i produttori di Dop (denominazione di origine protetta) se ne lamentano, dimenticando che i numeri delle vendite parlano da soli. Abbiamo creato molte Dop, ma solo poche “funzionano” veramente. In pochissime sono riuscite realmente a trasmettere il loro “valore” ai consumatori italiani e stranieri.

L’Italia è costretta, per il consumo nazionale nonché per l’export che traina il comparto e quindi il Pil, a importare olio da altri Paesi, come accade per il caffè, per la pasta, e per altri prodotti. Ma mentre si osannano le imprese italiane quando realizzano esportazioni che danno ossigeno a un’Italia in deciso affanno, dall’altro le si demonizzano perché acquistano olio dagli altri Paesi, in primis dalla Spagna; o si piange, quando i nostri marchi più prestigiosi, vengono ceduti a operatori al di fuori dei nostri confini.

Ho assaggiato degli oli spagnoli eccellenti, oggi. Mi dicono offerti a un prezzo estremamente competitivo. Se solo la Spagna decidesse di produrre tutti i suoi oli secondo i canoni della qualità, sarebbe veramente dura per l’Italia. Visti i “i numeri” della tabella, anche a fronte di una minore resa, le quantità sarebbero comunque quasi tre volte superiori a quelle italiane. A proposito, ma quali sono i numeri veri della produzione di qualità, dell’Italia?

Strano Paese è il nostro.

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