Economia

Olio e olive, ultime news

Non bastava il sorpasso sul mercato statunitense. Ora l’olio spagnolo distacca quello italiano anche in Giappone. Un incremento del 4% per un totale di 2.953.000 tonnellate. È questa la previsione del COI per la produzione mondiale di olive da tavola nella campagna 2017-18, riportata da diverse testate sfogliate nell’ultima settimana, tra cui anche Mercacei. La rassegna stampa internazionale della settimana

Mariangela Molinari

Olio e olive, ultime news

Secondo quanto riporta Mercacei, il Consiglio Oleicolo Internazionale sottolinea come il settore abbia conosciuto un’evoluzione costante e regolare, passando da una produzione di 950mila tonnellate nel 1990-91 ai quasi 3 milioni previsti per l’ultima annata, con un aumento del 211%.
Se in questo lasso di tempo a mettere a segno una crescita soddisfacente è stata la maggior parte dei suoi Paesi membri, alcuni hanno però registrato tassi particolarmente significativi, come l’Egitto, la Turchia, la Spagna, l’Algeria, la Grecia, l’Argentina, l’Iran e il Marocco.
A fronte di questo andamento generale, per i mercati europei si stima, invece, una diminuzione complessiva della produzione dell’11%, soprattutto a causa del calo che ci si attende in Spagna, dove la raccolta dovrebbe aggirarsi sulle 521.500 tonnellate (-12% rispetto alla campagna precedente), mentre in Grecia ci si aspetta un incremento del 31% e in Italia del 20%.
Campagne record sono addirittura previste in Egitto e Turchia, con una produzione rispettivamente di 650mila (+30%) e 455mila tonnellate (+14%).
In quanto, invece, al consumo di olive da tavola a livello mondiale, tra la campagna del 1990-91 e l’attuale i dati del COI registrano un aumento del +186%. La crescita più considerevole è appannaggio dei Paesi membri del Consiglio oleicolo, che sono pure i principali produttori e che durante le ultime campagne hanno coperto oltre il 70% del consumo mondiale. Alcuni mercati, inoltre, hanno messo a segno aumenti particolarmente corposi anche su questo fronte. È il caso, per esempio, dell’Egitto, passato dalle 11mila tonnellate del 1990-91 alle 450mila stimate per il 2017-18; dell’Algeria, dalle 14mila alle 289mila tonnellate, e della Turchia (da 110mila a 355mila tonnellate). Complessivamente, infine, i Paesi dell’Ue hanno incrementato i consumi da 346.500 a 585mila tonnellate. Nelle ultime cinque campagne in Unione europea, Egitto, Turchia e Stati Uniti si è concentrato il 57% dei consumi mondiali.

Passiamo alle pagine di agroinformacion.com, dove si puntano i riflettori sul bio. Diversi studi avrebbero constatato come gli alti costi produttivi delle coltivazioni condotte secondo tali dettami allontanerebbero i produttori dalle alternative più “green”. Che sia olio biodinamico, frutta, verdura o vino biologico, i costi per la loro produzione si rivelano, infatti, sensibilmente più sostenuti rispetto a quelli di un approccio tradizionale, presentando, in particolare, due punti critici: la spesa elevata per i materiali e il maggiore tempo necessario affinché i prodotti siano pronti per la commercializzazione. Secondo le fonti della testata, infatti, l’agricoltura biologica richiede investimenti molto più consistenti anche nei trattamenti da apportare in campo. Senza considerare che nell’agricoltura tradizionale è possibile accelerare i processi di maturazione, mentre quella che segue il biologico pone il massimo rispetto ai ritmi naturali della natura. Tutto questo si traduce, in concreto, in richieste sempre più pressanti di aiuti e sovvenzioni agli organismi competenti da parte di quanti hanno optato per il bio. Affinché l’agricoltura sia più sostenibile e di maggiore qualità, ma possa rivelarsi anche redditizia, è indispensabile – questa la conclusione di agroinformacion.com – che venga sostenuta negli investimenti a breve e medio termine.

Non bastava il sorpasso sul mercato statunitense. Ora l’olio spagnolo distacca quello italiano anche in Giappone. Lo sottolinea un ampio e approfondito articolo su Cinco Días, che elenca i Paesi più importanti in cui ormai i cugini iberici hanno conquistato la leadership in fatto di olio: Usa, per l’appunto, Cina, Taiwan, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, India e Indonesia. Del resto, la passione del Sol Levante per la Spagna, dal flamenco alla chitarra, pare non essere cosa nuova. Basti pensare che la maggiore catena nipponica della grade distribuzione si chiama Don Quijote. E proprio questa insegna dedica (come poteva essere altrimenti?) ampio spazio agli oli. Il quinto piano del punto vendita posto nel quartiere centrale di Osaka, per esempio, è interamente occupato da salse e condimenti. A spiccare è ovviamente l’olio spagnolo, proposto in un formato da 250 ml e mezzo litro e in un packaging che lo fa assomigliare a un’essenza preziosa. Secondo uno studio condotto dal COI, nel 2016 il 64% dei giapponesi ha consumato olio di oliva, seppure in quantità limitata: 350 grammi all’anno e soprattutto nei ristoranti. Sette consumatori su dieci, inoltre, affermano di sceglierlo per motivi di salute e cinque per il suo sapore. Secondo Teresa Pérez, direttrice della Interprofesional del Aceite de Oliva Español, il segreto del successo su questo mercato è la capacità dell’industria olearia spagnola di offrire alta qualità a prezzi accessibili.
Proprio questa combinazione di prezzo e qualità ha suggerito all’insegna Hanamasa una particolare iniziativa per il suo punto vendita di Ginza, la zona più commerciale di Tokyo: la proposta di olio di oliva spagnolo in bottiglie da due litri a un prezzo corrispondente a 30 euro e in confezioni da cinque litri a 78 euro.
Se le importazioni di olio di oliva in Giappone nel 1997 ammontavano a 39.038 tonnellate, 20 anni dopo sono arrivate a quota 55.392 tonnellate. Nello stesso periodo, le vendite di prodotto spagnolo sono passate da 9.927 a 31.451 tonnellate, fino a raggiungere un valore di 125 milioni nel 2017 e far aggiudicare alla Spagna una market share del 59% (contro il 37% dell’Italia).

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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