Economia

Uffa, che noia, l’ennesimo scandalo fotocopia a danno dell’olio extra vergine di oliva

Ormai è un appuntamento fisso con l’emergenza. C’è sempre qualcuno disposto a creare confusione e dar luogo a equivoci che possono solo allontanare il consumatore, spaventandolo con annunci infondati di truffe. Eppure il comparto oleario ha le sue gravi colpe, non solo perché è diviso, ma perché il sospetto è che sia in atto una dura guerra commerciale

Luigi Caricato

Uffa, che noia, l’ennesimo scandalo fotocopia a danno dell’olio extra vergine di oliva

Ogni volta che viene architettato uno scandalo prendendo di mira l’olio extra vergine di oliva si scatena puntualmente un putiferio. Tant’è che chi opera nel settore se ne duole facendosene ormai una ragione ma senza di fatto avere la concreta possibilità di poter reagire, difendersi e fronteggiare l’aggressione.

La tempesta mediatica

L’antefatto che ha dato luogo a questo articolo è una inchiesta della rivista Il Salvagente, nelle cui pagine del numero di maggio si mettono in maniera implacabile alla gogna 7 oli extra vergini di oliva su un totale di 15 testati. Si tratta, per l’esattezza, non di oli 100% italiani, ma di extra vergini di provenienza estera collocabili tutti nella fascia del primo prezzo, quella destinata al grande pubblico. Inutile evidenziare il fatto che sia stata scatenata ad arte, prima ancora della pubblicazione, una tempesta mediatica in grande stile, facendo leva sulla presunta oggettività di valutazione degli oli. Evidenzio presunta perché formalmente una valutazione sensoriale che abbia valore deve necessariamente seguire le norme stabilite dal legislatore.

Per la cronaca, la stessa rivista era già intervenuta nel 2015, recando danni di molti milioni di euro alle aziende, i cui oli erano stati allora bocciati. Bocciare/promuovere è un esercizio di potere e le conseguenze, indipendentemente dal fatto che tutto possa essere motivato e giustificato, resta un atto sproporzionato rispetto ai danni, non solo d’immagine, che ne sono conseguiti

Effetto isolamento

Ora, facciamo una pausa rispetto all’antefatto, e affrontiamo una analisi del fenomeno che ha portato, in questi ultimi anni, vari soggetti, in Italia e all’estero, a infierire sulle aziende prendendo le mosse dai loro prodotti in commercio.Cosa accade?

Le aziende coinvoltein uno scandalo, o le organizzazioni alle quali queste appartengono, subiscono l’effetto isolamento e a loro non viene di fatto concesso alcuno spazio sui principali media, non tanto per giustificarsi, perché non vi è alcun motivo per farlo, vista la grande e indiscussa professionalità delle aziende olearie soggetto di indagine, quanto almeno per fornire una propria, legittima, versione e non essere messi sotto scacco da una serie continua e in diversi casi ripetuta di azioni ostili che possiamo senza esitazione definire senza alcuna incertezza discutibili e, di sicuro, poco credibili.

L’aspetto più inquietante è che le azioni ostili si ripetono ormai in maniera sistematica, senza nemmeno razionalmente comprenderne le ragioni, soprattutto per la violenza con le quali questi atti avversi si manifestano. La questione è delicata. Quando si monta uno scandalo, si creano immediatamente le condizioni per una gogna mediatica che di fatto può colpire chiunque, in una sorta di roulette russa, e tutti sono a rischio, anche le aziende più virtuose. Questo gioco al massacro è deplorevole, tanto più che in alcuni casi si tende a colpire volentieri coloro che mancano di una rete di protezione politica. Così, in questo effetto isolamento in cui sono costrette le aziende che subiscono questi atti ostili, anche il marchio più prestigioso e storico può venire violato, essere compromesso nella sua reputazione ed essere messo alla berlina, creando danni enormi che possono compromettere la stabilità di una impresa e porre a rischio posti di lavoro, tra dipendenti e indotto. Purtroppo, la cronaca degli episodi insegna che non sempre i danni vengono risarciti come dovrebbero, nel caso in cui sia eclatante l’errore o, peggio, la malafede. Su questo fenomeno esiste una sorta di omertà, perché si ha paura di essere presi di mira, in particolare da soggetti istituzionali che pubblicamente assumono posizioni esplicitamente ideologiche, quindi in quanto tali deplorevoli.

Una strategia ben coordinata

Le ripetute azioni ostili contro il settore oleario che si sono consumate nel corso degli ultimi anni non sono episodiche e casuali, ma il frutto di una ben studiata combinazione di fattori. Vi sono soggetti che cooperano tra loro – non so se in buona o mala fede – i quali agiscono in alcuni casi alla luce del sole, in altri casi in incognito.

Da un lato abbiamo la stampa scandalistica, e non certo quella più autorevole, ma quella dello scandalo fine a se stesso, cui si affianca spesso e volentieri la stampa generalista, compiacente a volte per superficialità, a volte per scelta, perché in fondo agitare le acque porta lettori. Così accade che la stampa generalista riprende le notizie diramate da vari soggetti, anche e soprattutto istituzionali, senza mai verificare la ragionevolezza delle notizie e, soprattutto, senza mai sentire la controparte.

Dall’altra lato sono contemplati due soggetti che corrono sullo stesso binario: ovvero, i rappresentanti delle Istituzioni in senso stretto, i quali comprendono sia coloro che vivono esclusivamente di politica, in quanto espressione diretta o indiretta di lobby, sia, a livello più basso, i rappresentanti di enti istituzionali ideologicamente inclini ad accogliere una visione di parte, magari anche in buona fede, alimentati da un clima avverso e battagliero condito di sovranismo, giustizialismo e populismo.

L’esaltazione dello scandalo

Lo scandalo viene dunque montato ad arte e fatto scoppiare al solo scopo di dare risalto alla notizia, rendendola eclatante. A questa prassi si adeguano tutti coloro che hanno l’obiettivo di ricavare qualcosa a proprio vantaggio. Per esempio visibilità, anche per solo vanagloria. O per uno scatto di carriera. O per acchiappare un facile consenso e sentirsi protagonisti dalla parte del bene contro le forze del male. Oppure allo scopo di creare un danno a vantaggio di chi commercialmente può scalzare il concorrente. C’è, insomma, sempre un guadagno nel creare uno scandalo, soprattutto di questi tempi animati e bellicosi. Se si presta un minimo di attenzione, si scopre anche che ad avere la peggio sono soprattutto i prodotti in testa alle classifiche di vendita. Nel caso degli oli, gli extra vergini tra i più venduti. In questa logica perversa, da una parte c’è chi attacca e demonizza, dando il massimo risalto a una operazione; dall’altra c’è chi, vittima designata, non può nemmeno difendersi, perché non viene concessa la possibilità di farlo, e quando si effettuano le verifiche la macchina del fango ha lasciato segni indelebili: perdita di fatturato; fallimento, nei casi più estremi; e comunque un danno notevole alla reputazione dell’azienda.

Fin qui ci siamo soffermati su aspetti generali, che riguardano uno scenario retrospettivo.

Il caso sollevato dalla rivista Il Salvagente

Ora, dopo una premessa senza dubbio piuttosto lunga ma quanto mai necessaria per inquadrare il continuo stato di perenne instabilità in cui versa il comparto oleario, entriamo invece nella più stringente attualità degli eventi, soffermandoci sul numero di maggio della rivista Il Salvagente, dove in copertina campeggia la scritta “Incognita olio”, riservando all’interno ben venti argomentate pagine, redatte sempre sulla base dell’avvertimento che si legge nel sotto testata: “Leader nei Test di laboratorio contro le Truffe ai consumatori”. Sì, perché la rivista è concepita per essere deliberatamente perentoria e definitiva nei toni, quanto nel contempo giustizialista. Non è un caso che una pubblicità che si vede spesso girare sui social, a proposito di un libro da loro edito, lancia proclami che non lasciano spazio a incertezze. Titolo del volume: Dacci oggi il nostro veleno quotidiano. Slogan pubblicitario: “Il libro rivelazione più odiato dalle aziende disoneste”. Ed è tutto un dire. Dai toni si comprende bene che loro sono gli onesti, gli altri è tutto da vedere. Una rapida scorsa delle copertine e si inquadra subito lo stile della rivista. Alcuni titoli, scelti a caso: “Affari sporchi nel biberon”; Burro italiano. C’è da fidarsi?”; “Ceci, fagioli e glifosato”; “Giù le mani dalla marmellata”; “Fragole & chimica”; “Pomodoro annacquato”; “Brutte sorprese a merenda”; “Ombre sul latte”; “Il lato oscuro dell’uva bianca”; “Ma che frutta beviamo?”; “Rosso pesticidi”; “Verità sulla farina italiana”; “Ghiaccio, prosecco e pesticidi”; “Il piatto truccato”; e mi fermo qui, per non tediare troppo chi legge. Insomma, tutti gli strilli di copertina sono scritti per colpire e suscitare timori. È una infusione di ansia, non una rivista per orientare il consumatore, semmai l’intenzione è di svergognare i truffatori. Perché la logica è coerente a quanto richiamato in copertina: “test contro le truffe”, non invece test per verificare il meglio che si trova sul mercato. È una questione puramente ideologica, però questa ideologia colpisce puntuale ogni mese prendendo di mira ogni volta un prodotto e quando colpisce mena fendenti. Una sola domanda: ha senso tutto ciò?

Il panel test usato in modo discutibile

Non ho alcuna intenzione di soffermarmi in questo spazio di riflessione sui contenuti espressi nell’inchiesta, anche perché il tema è stato già ampiamente affrontato in modo egregio e impeccabile da Assitol, le cui osservazioni sono esplicitate in maniera chiara ed eloquente, e potete leggerle CLICCANDO QUI, magari riflettendoci su in maniera distaccata, senza guardare alle logiche delle appartenenze. Per anni, purtroppo, si è giocata una partita sbagliata, sul fronte del panel test, facendone un uso strumentale, usandolo come fosse una clava per colpire, finalizzato solo a creare equivoci e gettare discredito, perché il punto debole e il più ambiguo nell’inquadrare merceologicamente l’olio extra vergine di oliva resta proprio il panel test. Eppure esiste un regolamento che non lascia spazio a equivoci, giacché sarebbe sufficiente seguire alla lettera quanto riportato nelle indicazioni ufficiali, e osservare le regole, ma questa accortezza evidentemente non interessa, perché servirsi del panel test e utilizzarlo come una clava per colpire fa più comodo.

Reintrodurre sugli scaffali l’olio di oliva vergine

Eppure una soluzione ci sarebbe, senza per questo far perdere o sminuire di importanza lo strumento del panel test. Si tratta di una soluzione dispendiosa, certo, ma di fatto risolutiva: basta estendere obbligatoriamente il panel test a tutte le vendite del prodotto sfuso. Così, chi produce si fa carico di vendere il proprio olio solo dopo il rilascio di un documento di un panel ufficiale che ne attesti l’idoneità alla categoria merceologica. Così, in questo modo, non si ingenerano equivoci. Accanto a questa soluzione, diventa fondamentale reintrodurre sugli scaffali la categoria dell’olio di oliva vergine. Solo in questo modo ci si potrà difendere da ogni tentativo di strumentalizzare i mercati con i ripetuti scandali. Questa mia proposta di introdurre l’olio vergine di oliva non è mai stata presa in considerazione, pur avendola lanciata più volte, e invece salverebbe un comparto che non può certo restare in balia degli scandali. Oltretutto si troverebbe una giusta collocazione commerciale a tutta quell’enorme quantità di olio italiano che il mondo della produzione non è mai riuscito a gestire. Si tratta dunque di fare delle scelte, perché è in gioco il futuro di un settore già fortemente minato da troppe contraddizioni e contrapposizioni.

Il vero obiettivo sono le importazioni

Tutte le battaglie condotte sul panel test in realtà riguardano l’insofferenza verso gli ingenti quantitativi di oli provenienti dall’estero. Incomprensibilmente ci si accapiglia su una realtà che non lascia spazio a equivoci: l’Italia non è in grado di essere autosufficiente e pertanto dovrà continuare ad approvvigionarsi da altri mercati, non riuscendo a investire in olivicoltura come fanno altri Paesi. Nello stesso tempo gli italiani sono poco inclini a spendere cifre ritenute a torto elevate per un olio extra vergine di oliva. Di conseguenza la richiesta di oli da primo prezzo vince sacrificando le altre referenze, segno che il settore non ha saputo assegnare valore a un prodotto che invece è ritenuto un functional food e perfino un nutraceutico. Ma, d’altra parte, cosa si può pretendere mai se vi sono organizzazioni agricole che ancora credono che per sensibilizzare il consumatore occorra fornire loro un kit di oli difettati? Non c’è futuro senza una gestione manageriale delle organizzazioni agricole, lo dico da decenni ma nessuno se ne rende conto del disastro cui stiamo andando incontro.

Il bollino “Zero truffe”, ovvero il lato comico del Salvagente

Tornando alla rivista Il Salvagente, c’è sempre un lato comico pur in una vicenda dannatamente drammatica. Il dramma è quello delle aziende che subiscono una immeritata gogna mediatica, messe alla berlina per puro esercizio retorico fondato sulla parola chiave “truffa”. Di conseguenza, questa rivista che fonda il proprio credo assoluto ponendosi in modo ossessivo “contro le truffe ai consumatori”, non può che vedere truffe ovunque; e infatti si adoperano per cercare di portare a sé tutte quelle aziende che intendono entrare a far parte del club dei privilegiati che si reputano onesti affidandosi alla certificazione che prevede di esibire sui prodotti in vendita il bollino “Zero truffe”. Non so se vi siano aziende olearie che abbiano ceduto alle lusinghe del bollino, mi auguro proprio di no, perché con tutta franchezza mi verrebbe da ridere alla sola idea. Mi immagino intento a fare colazione, apro la confezione dei biscotti e leggo “Zero truffe”, prendo la marmellata e leggo “Zero truffe”, svito il tappo della bottiglia d’acqua minerale anche lì in etichetta leggo “Zero truffe”. Mi sentirei in grande disagio dinanzi a una simile eventualità, ma per fortuna non vedo in giro questi bollini indicanti l’inquietante segnalazione “Zero truffe”. Spero, almeno. Qualcuno giura di averli visti e fotografati, anche su alcune bottiglie d’olio.

Fino del ridicolo, andiamo avanti.

C’è chi non ci sta

Se avete notato, non ho fatto nomi di aziende, perché ho il massimo rispetto verso chi lavora e nel contempo da’ lavoro e produce ricchezza e benessere destinandolo alla vasta comunità dei consumatori. Io stesso sono un consumatore e non vorrei mai imbattermi in coloro che ossessionano la gente incutendo disagio e paure con questa fissa delle truffe. Mi conforta l’idea che una delle aziende colpite abbia pensato di opporsi e battagliare per difendere la propria onorabilità. La giustizia in Italia funziona malissimo, perennemente in ritardo com’è. Resta sempre un terno al lotto, però, come sempre accade, alla fine la verità trionfa, ma è una magra consolazione che non restituisce piena giustizia visto che nel frattempo la gogna porta i suoi infausti frutti. Occorre reagire, perché fa bene farlo. Così come si evince da quel che si legge, CLICCANDO QUI, a partire da una nota diffusa da Codacons.

Il Kit Salva olio

Niente capita per caso. Quando c’è uno scandalo, c’è sempre dietro – direttamente o indirettamente – una organizzazione agricola. Infatti, con Il SalvagenteAssoproli Bari ha stretto un accordo, partorendo l’illuminante idea, direi lampante, di omaggiare gli abbonati della rivista fornendo un kit “Salva olio” composto da un olio di qualità e da una serie di oli difettati, in modo che i consumatori possano in un primo tempo esercitarsi con un ki fai da te, per poi, alla fine, quando sono stanchi di annusare, condire l’insalata con tutti gli oli, per non sprecare tata bontà. Non mi prolungo oltre, perché potete leggere CLICCANDO QUI il goffo tentativo di marketing di Assoproli e Oliveti d’Italia.

Le maldestre e incomprensibili uscite (di senno) di Italia olivicola

Figurarsi se non vi è chi profitta di uno scandalo per lanciare un comunicato stampa. Ci pensa immediatamente Italia Olivicola, che definisce “meritoria” l’inchiesta del mensile Il Salvagente. “Svela quello che sappiamo già da tempo”, precisa il presidente dell’organizzazione Fabrizio Pini. Il quale prosegue: “la stragrande maggioranza delle miscele di oli Ue ed extra Ue, oltre a svilire il prodotto e a sminuire il valore con prezzi stracciati, non sono nemmeno extra vergini, come dichiarato in etichetta, e danneggiano tutta la filiera della qualità”. Non si accontenta, e aggiunge: “Le inchiesta coraggiose come questa del Salvagente inchiodano tutti i protagonisti della filiera alle proprie responsabilità soprattutto nei confronti dei consumatori”.

Non immaginavo una simile caduta di stile: “L’appello che facciamo a tutti i cittadini è questo: acquistate un olio extra vergine d’oliva 100% italiano, tracciato, controllato, anche Dop o Igp, per avere la certezza di un prodotto di qualità che fa bene al gusto e alla salute”, conclude Pini nel comunicato diffuso lo scorso 3 maggio. D’accordo, siamo tutti felici per questo invito, ma se l’Italia quest’anno ha prodotto 250 mila tonnellate d’olio, ma ne ha necessità per un milione di tonnellate, cosa potrà fare?

  1. Acquistare oli di semi per compensare la quota mancante
  2. Non acquistare l’olio estero confezionato da aziende operanti in Italia ma delegare semmai imprese estere, lasciando loro campo libero
  3. Dedicarsi finalmente all’olivicoltura, azzerare le organizzazioni agricole, incapaci di managerialità, e affidare la direzione a persone competenti e professionalmente preparate in modo da consentire un rinnovo e un’opera di modernizzazione dell’olivicoltura, liberandola dalle maglie dell’arretratezza.

Non parliamo di Coldiretti

Sì, non è proprio il caso di accennare a Coldiretti, perché tutti sono a conoscenza dell’idiosincrasia verso ciò che non è riconducibile all’Italia, quanto meno nelle dichiarazioni pubbliche, poi, nella vita reale, chissà. L’importante è l’apparenza. Infatti in un comunicato stampa diffuso il 30 aprile si legge che “la pandemia non ferma l’invasione di olio straniero in Italia con gli arrivi in crescita del 5% nell’ultimo anno che hanno superato le 700 milioni di bottiglie su scaffali di supermercati, negozi e discount con allarme sulla qualità del prodotto portato in tavola dagli italiani”. Tutto ciò viene sostenuto da Coldiretti proprio in riferimento all’ultima indagine del mensile Il Salvagente che svela, appunto, che “ben 7 miscele di oli stranieri venduti come extra vergini sui 15 analizzati al panel test sono risultati essere dei semplici oli di oliva vergine”.

Come si può notare, Coldiretti e sempre in prima linea quando si tratta di diffondere o cavalcare notizie scandalistiche, sia con le sue note per la stampa (che vengono riprese in percentuale bulgara dai media italiani, a occhi chiusi, senza mai verificarne l’attendibilità), sia collaborando attivamente: infatti nell’inchiesta figurano diversi soggetti riconducibili a Coldiretti. No, non è una ossessione verso Coldiretti la mia. È la realtà, miei cari. Prima o poi tutti cedono al fascino del potere. Io resisto, a testa alta e schiena dritta. Non siete obbligati a farlo anche voi, per carità, non vi giudico.

E se dietro ci fosse una guerra commerciale?

Il comparto oleario in tutti questi episodi che accadono ormai di frequente e a ripetizione ha le sue gravi colpe, non soltanto perché si presenta diviso e conflittuale, ma perché da un lato non ha al suo interno figure all’altezza dei ruoli, dall’altro manca di una rappresentatività forte e autorevole, e, da un’altra prospettiva, non nascondo che sia in atto una dura guerra commerciale, senza rinunciare a colpi bassi. Le voci al riguardo hanno raggiunto tutti e si può perfino tacere, visto che tutti già conoscono, e non si tratta certo di insinuazioni. D’altra parte, la logica non lascia spazio a equivoci: chi viene danneggiato, con perdite di milioni e milioni di euro, subisce perdite di posizione, e, di conseguenza, gli spazi persi li occupa qualcun altro. Più chiaro di così?

Il caso clamoroso di un organismo di controllo

C’è qualcosa che non va. A dare concretezza a quanto finora ho esposto, cito solo a mo’ di esempio un caso indecoroso, accaduto non molto tempo fa ai danni di una impresa olearia indebitamente accusata di truffare sulle origini dell’olio. Una accusa infamante: spacciare per italiano un olio extra vergine di oliva di provenienza siriana. Tutto ciò si è verificato nel periodo più nero e drammatico per la Siria, quando era tormentata da devastazioni e cruenti assassini. Tutto accadde in maniera plateale. Fu un autentico massacro, pagato a caro prezzo dall’azienda. Per questa operazione, condotta da un organismo di controllo in seguito declassato, avendo perso di fatto la propria autonomia, era stata effettuata una pesante intrusione nello stabilimento dell’azienda. Erano andati giù in modo pesante, nel perfetto stile da “romanzo criminale”, si muovevano armati, numerosi, con telecamere e giornalisti al seguito, la notizia data dai Tg, evidentemente confondendo uno stabilimento oleario per un’enclave di terroristi. Fu una umiliazione imperdonabile. Se Dio esiste, quel Dio dovrà pur tener conto della barbarie commessa. Ecco, questo caso si è concluso con un nulla di fatto, dopo una lunghissima indagine costata cifre inverosimili alla collettività, poi, nel luglio 2020 la sentenza: piena assoluzione, perché il fatto non sussiste. La gogna mediatica era stata insostenibile, però hanno resistito, tenaci. Il giudice ha evidenziato il debole dato probatorio fornito dalla pubblica accusa, smontato in uno schicco di dita. In compenso, i gravi danni arrecati all’azienda sono stati ingenti, ma d’altra parte poco interessa a chi cavalca il tema delle frodi.Troppi avventurieri tra le pubbliche istituzioni. Non c’è da meravigliarsi di come va il mondo.

C’è una via d’uscita?

Non esiste alcuna via d’uscita, dimenticate perciò ogni possibile svolta. Le aziende cercano di difendersi, per quanto è loro concesso. Paradossalmente, c’è pure chi non si fa scrupoli di nulla, contro ogni forma di buon senso. Io non sono un giornalista investigativo, e neppure voglio esserlo. Ho tuttavia letto documenti che mi hanno lasciato sbigottito e addolorato, profondamente ferito, e ho provato il sentimento dello schifo.

È dagli anni Novanta che dedico a un prodotto come l’olio da olive tutte le mie energie, cerco di creare e trasmettere cultura, ma mi trovo in un mondo barbaro, senza più rispetto alcuno per la verità e per le persone.

In apertura, un ‘opera di Davide Ferro, “Teste di olio”, esposta alla mostra “Olio di Artista, a cura di Francesco Sannicandro, nell’ambito di Olio Officina Festival 2017

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