Economia

Una sana economia locale

Carlo Cattaneo, il grande pensatore lombardo, torna oggi d’attualità con le sue concezioni economiche. Per lui la libertà è il primo valore da vivere ogni giorno nelle libere scelte consapevoli e partecipi della vita sociale e politica. La sua critica al centralismo e il suo favore verso il modello federalista non ha nulla a che vedere con le concezioni separatiste e autarchiche. Per lui si deve soprattutto puntare alla partecipazione piena e consapevole di tutte le componenti della società locale, a partire dai ceti più bassi delle campagne e delle città

Alfonso Pascale

Una sana economia locale

Per chi si occupa di sviluppo locale è forse un dovere (ri)prendere dimestichezza con gli scritti di Carlo Cattaneo. C’è, infatti, un filo rosso che lega quel pensiero enciclopedico alle esperienze di progettazione territoriale dal basso, a carattere pluridisciplinare, praticate negli ultimi decenni in Italia. Qualcosa di tipico nel fare economia politica e sociologia militante. Una tradizione di studi, se non una vera e propria scuola. Ne scrisse una quindicina d’anni fa Giacomo Becattini in un bel volume intitolato: “I nipoti di Cattaneo. Colloqui e schermaglie tra economisti italiani” (Donzelli, 2002). Rifacendosi alla lezione dello studioso lombardo, l’economista fiorentino osservava che è “spesso sterile uno studio del pensiero economico che prescinda dal suo innervamento nei luoghi, nelle culture e nelle istituzioni in cui esso matura”.

La vita

Cattaneo visse prevalentemente a Milano dal 1801 al 1869. Egli è ammirato come filosofo, storico, politico, critico, filologo, glottologo, economista, statistico, tecnico, agronomo. In ognuno di questi campi è stato insigne. Mente universale e poliedrica, approfondì in particolare due temi: l’edificazione della terra coltivata e la città. Per lui due facce della stessa medaglia. Insegnante di filosofia, collaborò con saggi originali, recensioni e notizie a due riviste: gli “Annali universali di statistica” e il “Crepuscolo”. Fondò “Il Politecnico”, la più grande tra le riviste formatrici dell’Italia del risorgimento. Redasse il mensile talvolta quasi per intero, prima dal 1839 al 1844 e poi, di nuovo, dal 1860 al 1865.

Ricevette sin da giovane un’ottima educazione culturale e durante i suoi numerosi soggiorni nella casa di campagna degli zii paterni si avvicinò alle letture classiche. L’amore per la cultura umanistica lo fece accostare inizialmente alla carriera ecclesiastica. Decise, perciò, di intraprendere i corsi dei seminari, che frequentò prima a Lecco e poi a Monza.
All’età di diciassette anni, però, comprese di voler approfondire maggiormente le conoscenze degli studi classici e, abbandonato il seminario, si iscrisse al liceo Sant’Alessandro di Milano e successivamente a quello di Porta Nuova. Il contatto con il mondo culturale e intellettuale della Milano ottocentesca lo indusse ad appassionarsi anche alle materie di ambito scientifico e storico.

Dopo essersi diplomato iniziò a insegnare grammatica latina e scienze umane al ginnasio comunale di Santa Marta e, contemporaneamente, si iscrisse al corso di studi giuridici dell’università di Pavia. Seguì anche le lezioni private del giurista e filosofo Gian Domenico Romagnosi, il cui insegnamento influì moltissimo nel pensiero politico di Cattaneo, che diventò il suo allievo più caro. Si laureò in Giurisprudenza con il massimo dei voti, ma non intraprese mai la carriera di avvocato, preferendo invece quella di insegnante.

Dopo quindici anni, Cattaneo lasciò l’insegnamento e si dedicò esclusivamente agli studi e alla redazione delle riviste. Con le cinque giornate di Milano, nel 1948, entrò a far parte dei rivoltosi che combattevano per l’indipendenza. A seguito della sconfitta, fu costretto a fuggire e riparò in Svizzera, nella città di Castagnola, dove iniziò a partecipare alla vita politica svizzera. Fu tra i promotori del nuovo liceo di Lugano, di un’istruzione pubblica e laica non più sotto il controllo della Chiesa. Presso questo liceo gli venne conferita la cattedra di filosofia.

Cacciati gli austriaci dalla Lombardia, Cattaneo riprese le sue pubblicazioni su “Il Politecnico”, interrotte a causa degli scontri. Nel 1860, candidatosi nel collegio di Milano, venne eletto nel primo Parlamento unitario, ma rifiutò la carica perché avrebbe dovuto giurare di fronte al re, simbolo della monarchia. Rimase così fedele ai suoi ideali repubblicani. Nel 1865, dopo tredici anni, abbandonò l’insegnamento di filosofia al liceo. Negli ultimi anni della sua vita versò in gravi condizioni di salute.

Le opere

Una delle opere fondamentali di Cattaneo è “Notizie naturali e civili sulla Lombardia”, in cui spiega come si sia formata e cosa sia la Lombardia. Una terra che inizialmente non aveva alcun valore perché i suoi caratteri erano del tutto avversi all’agricoltura. L’opera dell’uomo – con l’irrigazione – rese quei caratteri non più sfavorevoli ma benèfici. Lo strumento giuridico utilizzato per realizzare tale trasformazione fu il “diritto di acquedotto”, ereditato dal diritto romano e perfezionato dagli statuti comunali, grazie al quale ogni proprietario può condurre l’acqua, sua o da altri a lui concessa in perpetuo o a tempo, attraverso il terreno altrui senza la necessità di chiedere il consenso dei proprietari. Se si dovesse ottenere il loro consenso per realizzare un acquedotto, esso non sarebbe mai concesso, se non a condizioni usuraie. Cattaneo dimostra che il diritto d’acquedotto (e non altri strumenti) ha creato l’irrigazione e, dunque, la terra lombarda. Ognuno, pagando l’indennizzo uguale al valore della terra occupata per il canale, più un quarto, ha diritto di traversare il fondo altrui, contro la volontà del proprietario. Una volta introdotta una norma siffatta, si passa alla divisione dei compiti tra proprietari, affittuari e tecnici: i primi compiono le opere di trasformazione; gli affittuari mettono a disposizione la propria professionalità per condurre i terreni e investire i capitali; i tecnici elaborano il codice della terra per regolare i rapporti tra proprietari e affittuari e consentire i miglioramenti.

Il codice della terra è imperniato su due concetti di fondo: la lunga durata dell’affitto e l’istituto della consegna e della riconsegna.
Ma a permettere a quei tre ceti di trovare un equilibrio sono due idee che provengono dalla città, dalla cultura mercantile e industriale: certezza del possesso e risparmio. Affluendo capitali cittadini, la terra può essere trasformata. L’altro elemento che rafforza il sistema è il catasto che permette la certezza dell’imposta dovuta, ripartita su basi destinate a non mutare per un lungo periodo. La terra poteva essere edificata usando a tale scopo cinque istituti giuridici: la proprietà piena, il diritto d’acquedotto, l’affitto lungo, la consegna con rimborso delle migliorie e il catasto stabile. Con tali certezze, assicurate da una legislazione d’avanguardia, il risparmio cittadino s’incanalò nelle campagne.

Cattaneo segnalò ai suoi contemporanei le miserrime condizioni dei contadini e il rischio di un inceppamento del sistema agricolo qualora non si fosse data certezza e dignità anche al lavoro. Avverrà con le lotte agrarie dell’ultimo ventennio dell’Ottocento e sarà motivo di ulteriore avanzamento dell’agricoltura lombarda.

L’altra opera di Cattaneo utile per ricostruire il suo pensiero è “La città considerata come principio ideale delle istorie italiane” che racchiude 24 articoli pubblicati sul “Crepuscolo”. In esse viene ricostruito il ruolo della città nella storia italiana a partire dall’antica Roma perché in quella cultura la città costituiva un punto di riferimento peculiare che sottolineava la differenza tra i popoli nomadi e pastorali da quelli dell’”imperio romano [che] comincia entro una città”. Con la dominazione romana “il governo di una città” si estese a tutte le nazioni che circondavano il Mediterraneo. L’analisi storica si dilunga sino al periodo comunale e della repubblica di Venezia, e la preferenza di Cattaneo la si coglie nel penultimo capitolo quando esalta il ruolo dei Comuni dell’antica Toscana ove si diffuse “fino all’ultima plebe il senso del diritto e della dignità civile”, superando in ciò anche l’antica Atene.

Ma il fulcro della sua visione economica si trova nel suo saggio classico “Pensiero come principio di economia pubblica” e nell’idea di “intelligenza” e di “volontà”. Cattaneo intende per intelligenza, l’intuizione del “nuovo possibile” e la capacità di prefigurarsi nella mente un sentiero per raggiungerlo. “Prima di ogni lavoro, prima di ogni capitale – afferma con enfasi – quando le cose giacciono ancora non curate e ignote in seno alla natura, è l’intelligenza che comincia l’opera”. L’intelligenza è la capacità di vedere in ogni cosa che tutti osservano, che è sempre stata sotto il loro sguardo, qualcosa di nuovo, di inatteso, di promettente. Ma essa non basta a liberare il potenziale di progresso inscritto nel Dna, diremmo oggi, dell’umanità, a “disostruire ogni fatal ristagno”; oltre all’intelligenza ci vuole anche la volontà. “Se l’intelligenza promuove la pubblica ricchezza, è d’uopo che la volontà la quale aspira alla ricchezza favorisca lo sviluppo dell’intelligenza”. Tra le due c’è un rapporto di stretta complementarietà.

Nelle sue “Lezioni filosofiche” Cattaneo chiarisce che l’intelligenza non va confusa con il pensiero scientifico ma è il frutto di un’osmosi di sagacia pratica e sapere scientifico. Insomma, per Cattaneo, i due elementi (di recente ribattezzati da Michael Polanyi come sapere tacito o contestuale e sapere codificato) debbono interagire strettamente l’uno con l’altro in un coinvolgimento pieno di tutto il corpo sociale nel processo di cambiamento. E il corpo sociale, in Cattaneo, si identifica non solo nei ceti e nelle istituzioni ma anche nel sistema dei luoghi, nel territorio, considerato non come mera opera della natura ma “opera delle nostre mani, patria artificiale”. Per lo studioso, il “luogo” non è un punto o un’area in una superficie omogenea, ma una micrototalità, di sentimenti e di idee, innanzitutto, e poi di costumi, d’istituzioni economiche e civili, di interdipendenze economiche, di dati naturalistici; una micrototalità che tende, non sempre riuscendoci, a riprodursi nel tempo.

Si può cogliere, dunque, nel pensiero di Cattaneo un primo nucleo di idee che porteranno nel tempo ad un approccio territoriale allo sviluppo, uscendo dagli schemi economicistici. Un filone del pensiero economico che si afferma nella seconda metà del Novecento e che ha una delle sue più solide radici proprio in Cattaneo. Egli scrive: “Ogni popolo ha un’economia sotto una forma determinata dal suo pensiero”. In questa luce va letto anche il suo “federalismo”. La sua idea federalista non scade mai nel localismo, nel frazionismo e nel particolarismo egoista. Ma nasce dalla sua concezione della libertà come primo valore dell’uomo che si realizza ogni giorno nelle libere scelte dei cittadini consapevoli e partecipi della vita sociale e politica. La sua critica al centralismo e il suo favore verso il modello federalista non ha nulla a che vedere con le concezioni separatiste e autarchiche. Ma si richiamano alla sua idea di progresso che per essere tale deve puntare alla partecipazione democratica, convinta e consapevole, di tutte le componenti della società locale, a partire dai ceti più bassi delle campagne e delle città.

Nel corpo del testo: Edoardo Matania, ritatto giovanile di Carlo Cattaneo. In apertura una foto di Luigi Caricato

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