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C’è l’ispirazione etica nell’agire politico di Alcide De Gasperi

Il grande statista oltre ad aver ottenuto i finanziamenti del Piano Marshall, con cui poté ricostruire l’Italia sepolta dalle macerie della guerra, aveva promosso la riforma agraria e la Cassa per il Mezzogiorno, creando le condizioni per il miracolo economico. Uno dei fattori del suo grande successo è nell'aver saputo coltivare un rapporto positivo con i tecnici, valorizzandone le competenze indipendentemente dall'affiliazione politica. Lo ricordiamo nel giorno in cui, il 19 agosto, cade il settantesimo della morte

Alfonso Pascale

C’è l’ispirazione etica nell’agire politico di Alcide De Gasperi

Settant’anni fa moriva Alcide De Gasperi. Aveva governato il Paese ininterrottamente per otto anni. Un Paese sconfitto di cui era riuscito a difendere l’integrità territoriale. Aveva ottenuto i finanziamenti del Piano Marshall con cui poté ricostruire l’Italia sepolta dalle macerie della guerra. Aveva promosso la riforma agraria e la Cassa per il Mezzogiorno, creando così le condizioni per il miracolo economico. Aveva portato Roma nel Patto atlantico e costruito l’embrione dell’integrazione europea con la Francia e la Germania. In sostanza, aveva dato un apporto determinante alla costruzione della nostra democrazia.

Uno dei fattori di tale successo era la capacità – mostrata da De Gasperi e dal gruppo dirigente che egli guidava – di coltivare un rapporto positivo coi tecnici e di valorizzare le competenze indipendentemente dall’affiliazione politica.

Ci sono diversi esempi che si possono fare per dimostrarlo, come la collaborazione a più riprese prestata dagli economisti agrari Giuseppe Medici e Manlio Rossi-Doria.

Una scelta di principio è quella di De Gasperi che lo statista enuncia esplicitamente nel suo intervento al III Congresso nazionale della Dc del giugno 1949. Egli dice: “Senza dubbio, se noi possiamo ottenere l’associazione della competenza tecnica con la concezione sociale (cioè l’uomo moderno con la mente aperta alle riforme, e con la conoscenza delle aspirazioni delle classi alle quali le riforme si rivolgono) è certo il meglio che si possa fare. Quindi se troviamo un democratico sul serio che abbia contemporaneamente cognizioni tecniche per un posto economico o esecutivo, egli deve essere certo il preferito. Però, la competenza tecnica è necessaria e non sempre disponibile come la tessera del Partito. Segnalateci dei giovani che maturano, e noi vi saremo grati. Non è che si vada a cercare nell’antico Partito liberale il tale o il tal’altro uomo, perché del Partito liberale. È semplicemente un uomo che ha fatto l’esperienza avanti che l’abbiano potuta fare altri. Evidentemente questo contributo non deve essere trascurato. Il Paese, badate, dopo un periodo in cui la tessera era tutto e la competenza poco, il Paese oggi ha diritto di sapere che secondo il nostro sistema non è la tessera politica quella che decide quando si tratta di posti di competenza; e i nostri devono sapere che alla tessera, intesa come concezioni di vita, bisogna aggiungere competenza. Fortunati noi se le troviamo associate”.

Al fondo di questa scelta c’è l’ispirazione etica nell’agire politico. E c’è l’idea che esista, per chi governa, un bene comune da perseguire che non consiste solo nella somma dei beni individuali o di corporazioni.

Ai tecnici che collaborano con i governi e con le strutture pubbliche dello Stato è garantita l’autonomia in modo scrupoloso fino al compimento del centrismo degasperiano. Già con il passaggio della segreteria democristiana ad Amintore Fanfani nel 1954, incomincia una fase in cui la collaborazione tra politica e tecnici si trasforma. Il criterio enunciato nel 1949 si dissolve. E sempre più viene richiesta un’adesione politica per svolgere funzioni pubbliche fino a pretendere – dagli anni Sessanta in poi – vere e proprie forme di fedeltà. La competenza non viene nemmeno presa in considerazione.

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