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Qual è lo stato di salute dell’olivicoltura abruzzese

Per certi versi è lo specchio del Paese. Quel che emerge dal ritratto che si ricava dall’intervista che ci ha rilasciato Mauro Monaco, un olivicoltore in provincia di Teramo, non promette bene, ma ci sono chance per ripartire. Solo il turismo può consentire alle piccole realtà produttive di sopravvivere. Il destino dell'olivicoltura tradizionale è messo in discussione e va rimodulato. Per essere competitivi, là dove l'orografia del territorio lo consente, occorre attuare una meccanizzazione spinta, con impianti ad alta densità. Le aree marginali dovranno puntare su olivigni minori, autoctoni, e sulla manutenzione del territorio

Luigi Caricato

Qual è lo stato di salute dell’olivicoltura abruzzese

Cosa succede nelle nostre regioni olivicole? Lo abbiamo chiesto a chi è parte attiva. Partendo da una lodevole iniziativa, un corso di potatura di olivi per olivicoltori dilettanti, ne è scaturita una conversazione interessante, che per molti versi fotografa fedelmente la realtà nazionale, con tinte in chiaroscuro. Anche se non tutti amano ammettere lo stato di salute dell’olivicoltura italiana, le riflessioni dell’olivicoltore Mauro Monaco, con azienda a Tortoreto, nel Teramano. Tutto è nato nel 1970, per volontà di Ruggero Monaco. A partire dagli anni Novanta il figlio Mauro con la moglie Simona Tribuiani hanno reso virtuosa e prestigiosa la propria azienda, a partire da una superficie olivetata di se ettari e mezzo.

 

INTERVISTA A MAURO MONACO

Potatura e coltivazione dell’olivo. A chi è rivolta questa iniziativa di formazione?

È stata una associazione culturale ad avermi chiesto un minicorso su coltivazione e potatura dell’olivo. Tre appuntamenti rivolti fondamentalmente a hobbisti, perché in Abruzzo un po’ tutte le famiglie dispongono di piccoli oliveti e ora, per scarsità di manodopera, in molti avvertono l’esigenza di acquisire conoscenze pere far fronte alle necessità, ricorrendo alla propria formazione per gestire in proprio gli olivi.

C’è una reale conoscenza della pianta dell’olivo, o ci si limita ad ammirare questa pianta senza conoscerla?

C’è, purtroppo, un gap generazionale: un vero e proprio vuoto. I padri coltivavano gli olivi ma poi non c’è stato il passaggio delle conoscenze acquisite ai figli. Percorrendo le campagne si vedono oggi scempi terribili, con capitozzature orrende, inaudite.

Lo sappiamo tutti, ma lo chiedo un po’ per ribadirlo: a cosa è dovuta questa mancanza di manodopera? Ci sono più ragioni di ordine sociale, per il fatto che lavorare in agricoltura non è percepito dal contesto sociale come edificante o è solo un serio problema di disorganizzazione e di un’agricoltura a carattere non professionale?

Perfetto, ha proprio centrato in pieno la causa. Comprendo oggi da mio figlio diciottenne che i lavori in campo potrebbero essere motivo di scerno da parte degli amici. L’aspetto più paradossale è che molti figli di contadini del passato che hanno conquistato la meta dell’agognato posto fisso ora rinnegano il proprio passato, ne stanno alla larga e rifuggono dalla terra. Le nostre belle colline in Abruzzo vengono vendute a un euro al metro quadro, meno di un caffè. Le nostre campagne vengono oggi acquistate dai nordeuropei, perlopiù scandinavi, tedeschi, olandesi. Loro sanno meglio di noi valorizzare il nostro patrimonio territoriale, tutti i prodotti che si ottengono dalla coltivazione della terra.

D’accordo, ma più che un corso non si potrebbe organizzare una cooperativa di servizi così da essere in grado di soddisfare le necessità di manodopera?

La cooperazione in Abruzzo è stata sempre fallimentare. C’è un forte e radicato individualismo. Ci sono anche aziende importanti. Alcune case vinicole del nord hanno acquistato.

Sarebbe allora il caso di acquistare terreni in Abruzzo per organizzare un’azienda dalle dimensioni ragionevoli, anche se immagino sia difficile trovare appezzamenti unitari, c’è troppa frammentazione, e forse nessuno che voglia impegnarsi in prima persona…

Ci sono pochi imprenditori capaci. Le cooperative del vino attraversano tutte uno stato di grave crisi. Per l’olio, poi, non ne parliamo. Solo nel pescarese c’è ancora un po’ di produzione, altrimenti come alternativa si acquistano olive dalla Puglia, perché è più conveniente per i frantoi incrementare una produzione carente.

È un quadro terribile…

Da me, nel teramano, ci sono centinaia di piante di olivo che non sono state raccolte. Funziona solo l’agricoltura industriale, sulle pianure irrigue. Promette bene solo il settore orticolo, per le grandi aziende che trasformano.

Queste notizie che sono comuni in tutte le regioni ma non emerge la realtà per quello che è. C’è una sorta di silenzio collettivo…

Sì, tutto tace. In Abruzzo i controlli vengono effettuati e nessuno rischia con il lavoro nero. Assumere personale per contro costa molto e nemmeno se ne trova. Per raccogliere le olive ho chiesto aiuto a una cooperativa di pakistani, a 120 euro la giornata a persona. Facendo i conti non conviene. È un disastro.

Già, c’è da un lato una disoccupazione strisciante, in verità poco credibile, e dall’altro una mancanza di manodopera. È una contraddizione logica…

Le contraddizioni sono tante. Ritengo che il turismo dell’olio possa essere un’ottima chance per chi vive piccole realtà agricole. Quest’anno ci hanno aiutato degli ospiti, venuti in camper. È stato un vero piacere condividere con loro quest’avventura. Quando gli abbiamo regalato l’olio per ricompensarli, non volevano accettarlo.

Si può ripartire in qualche modo da qui…

Si senza dubbio, l’importante è che non diventi finzione, teatro, commedia, come accade in alcuni agriturismi. Forse il turismo è l’unica strada in grado di far sopravvivere le piccole realtà. Il destino produttivo dell’olivicoltura tradizionale, molto diffuso nella nostra regione, è messo in discussione, anche se il prezzo delle olive è incrementato molto in questi ultimi due anni. Sicuramente in futuro il prezzo scenderà, e probabilmente si uniformerà con gli altri paesi europei. Per essere competitivi, là dove l’orografia del territorio lo consente, occorre attuare una meccanizzazione spinta, con impianti ad alta densità. Per quanto riguarda gli altri territori, con un’olivicoltura marginale, si dovrà puntare sulla valorizzazione delle cultivar minori, autoctone, sulla conservazione e manutenzione del territorio, esaltando il valore paesaggistico con l’implementazione dell’oleoturismo, attingendo di conseguenza guadagni al di fuori di quelli legati strettamente alla produzione olivicola e olearia.

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