Risollevare l’olivicoltura a partire da un piccolo comune. Il caso Arnasco
In Liguria, in provincia di Savona, una micro comunità di poco più di 500 abitanti ha fatto dell’olivo un suo simbolo identitario esclusivo, e insieme inclusivo, di unicità, trasformando molto abilmente un territorio circoscritto a un’area poco estesa, caratterizzato dalla coltivazione degli olivi di varietà Arnasca, in un polo culturale senza precedenti analoghi in Italia. Un esempio che può diventare un modello virtuoso da seguire
Ebbene sì, sono stato ad Arnasco e sono ritornato a Milano arricchito e soddisfatto per quanto ho potuto sperimentare in prima persona. Ci ero già stato, in realtà. Complice il Consorzio dell’olio Dop Riviera Ligure qualche anno fa in occasione di “Oliveti aperti” avevo già visitato il piccolo comune, insieme con un gruppo di giornalisti, e ne ero rimasto affascinato. Questo mio ritorno, questa volta in veste di relatore a un convegno, conferma l’apprezzamento che ho espresso nel corso della mia prima visita. E ho capito che la fortuna di un luogo la fanno le persone. Non che avessi dubbi al riguardo, l’ho sempre pensato, ma in una Italia sempre incline a lamentarsi, qui ad Arnasco ho trovato una comunità viva, operosa e tenace.
Non che altrove ci sia l’immobilismo, per carità, ma pensare a un microscopico comune di poco più di 500 abitanti, credo siano 551, se non ricordo male, sapere di una cooperativa che fa tendenza, che da quarant’anni, a partire da un consorzio che poi ha dato vita alla Cooperativa olivicola di Arnasco si sia potuto realizzare un vero polo culturale, ebbene, questa esperienza confesso di non averla mai vissuta in nessun altro comune d’Italia. Tanti esempi virtuosi, certo, ma non qualcosa che sembra più vicina al miracolo che alla realtà.
La cooperativa, brillantemente guidata da Luciano Gallizia, va di gran lunga oltre. C’è un affiata mento, una condivisione e una divisione sapiente dei ruoli. Non tutto è idilliaco come appare, ovviamente, anche perché altrimenti sarebbe irrealistico trovarsi in un contesto così fuori dall’ordinario. Hanno anche loro i problemi da affrontare, per esempio quello del passaggio generazionale: trovare giovani disposti a proseguire, e a confermare, l’esempio virtuoso che hanno saputo realizzare nell’arco di quarant’anni.
In una coooperativa che ha saputo indirizzare i propri soci olivicoltori verso la qualità e a confezionarla e a venderla in bottiglia, e che ha saputo far memoria del proprio passato attraverso l’istituzione e la realizzazione di un museo, e che, con tutta se stessa, senza mai cedere alla tentazione di convertire i propri oliveti optando per la più nota Taggiasca, ha saputo invece, e fortemente voluto, salvaguardare ad ogni costo la varietà Arnasca, tipica del luogo e di due, tre altri comuni limitrofi non è certo qualcosa di così consueto.
La loro tenacia è costata sacrifici, perché pur ricadendo nella Dop Riviera Ligure, non vi rientravano per via della specificità della cultivar non contemplata nelle percentuali dovute nel disciplinare di produzione, e cosa si sono inventati? La certificazione volontaria, costosissima, peraltro; ma tanto hanno insistito e fatto che sono riusciti a far modificare, dopo anni e anni di impegno contro una urticante burocrazia, le regole del disciplinare e così oggi possono avvalersi sia della Dop Riviera Ligure, sia della possibilità di poter inserire in etichetta, con lo stesso corpo della Dop, il riferimento alla cultivar Arnasca. Sono successi che pesano, frutto di un intenso lavoro collettivo, comunitario. C’è infatti una comunità viva, dove il vantaggio personale coincide con il vantaggio collettivo. Non che la natura umana qui sia diversa dal resto del mondo, ma qui contano i risultati, e questi puntualmente arrivano. Come per esempio arrivano da fuori, da molto lontano, perché qui ad Arnasco ci sono tanti stranieri che hanno acquistato casa e campagna.
Lungo il percorso della strada principale a dominare lo sguardo dei passanti sono i tanti murales che richiamano scene agresti in cui l’olivo è protagonista assoluto. Tutto nel nome della santa Arnasca. L’arte, ad Arnasco, è di casa. C’è pure una biblioteca olearia, che raccoglie i principali e più significativi testi sull’olivo e l’olio. C’è una Liguria fiera di sé stessa e che crede nelle proprie potenzialità esprimendole al meglio. Mi fermo però qui. Nel corso dell’incontro ho ascoltato stupefatto e soddisfatto gli interventi dei vari relatori, io stesso tra loro ho espresso la mia visione e lanciato idee e proposte. Anche perché a pochi chilometri di distanza c’è un istituto agrario, quello di Albenga, da cui provengono le nuove promesse. Anche se non basta: si cercano giovani competenti e motivati, perché qui, dopo aver costruito qualcosa di unico ed esemplare, non si intende affatto venir meno alle intenzioni di chi ha realizzato un sogno, quello di vivere di olivicoltura. Oggi non è forse così facile, visto anche le ultime campagne olivicole poco generose, ma non si desiste. Ma cerchiamo di capire cosa è stato detto nel corso del convegno “Arnasca d’Argento” e l’importanza di quanto è stato pronunciato dai vari relatori.
Il presidente Gallizia nel rievocare i quarant’anni ricorda un’annata storta, quella del 1990, con solo 50 “macinate”, è stata una crisi senza precedenti, con tanto olio lampante. “Allora abbiamo iniziato con il sistema di conferimento fondato sulla qualità. Pagando bene la qualità, l’anno successivo sono stati prodotti solo due quintali di olio lampante. E così il traguardo per tutti è stato solo e soltanto produrre la qualità. Non tutto è stato facile – ha detto. Con la Dop Riviera ligure abbiamo dovuto risolvere il problema della varietà. Non potevamo accettare di convertire gli oliveti e sostituire la Arnasca con la Taggiasca. Decidemmo di non iscrivere gli oliveti ma senza rinunciare a certificare, lo abbiamo fatto una certificazione volontaria, attraverso un ente certificatore. Per fortuna lo scorso anno l’Arnasca è rientrata finalmente nella Dop. Per noi è una soddisfazione grande, perché la certificazione volontaria ci costava molto. Oggi – prosegue Gallizzia – dobbiamo affrontare il domani, cui non possiamo sottrarci: abbiamo il cambiamento climatico da un lato e il ricambio generazionale dall’altro. Il confronto – ammette – è fondamentale. Già in passato invitavamo da noi altre regioni olivicole per ragionare sul da farsi, ma ora tutto questo non basta più. Oggi c’è un problema: non c’è più lo spirito dell’olivicoltore nei figli. La situazione è cambiata radicalmente, ma non è solamente un problema di Arnasco. È un problema generale. Occorre lavorare sui giovani e motivarli. Ci vuole una spinta per trovare soluzioni per rinnovare. Non ci si ferma mai” – conclude Luciano Gallizia.
Arnasco è una comunità viva e lo si nota anche dalle loro pubblicazioni, anche di taglio narrativo, in cui si racconta il territorio e la sua gente, le campagne coltivate, il paesaggio in cui l’uomo ha avuto un ruolo determinante nell’edificare i muretti a secco e procedere con terrazzamenti che hanno garantito per secoli la buona tenuta del suolo. Ecco allora farsi strada il Gruppo Amici dell’Olivo. Alcuni titoli chiariscono molto eloquentemente l’immenso amore per il proprio mondo, a partire dal volume I figli degli ulivi, di Pierluigi Bogliorio, o, di Francesco Gallea e Gian Carlo Ascoli, il volume illustrato Pendii d’ulivi dal Monviso al mare, e altri libri ancora, tra cui un libretto emblematico, Nell’olivo le nostre radici. Dal Consorzio alla Cooperativa, in cui si delinea il percorso virtuoso che ha portato alla nascita della Cooperativa olivicola di Arnasco e al successo ottenuto in tutti questi quarant’anni di operatività sempre ai vertici della qualità e ricchi di inventiva e di intuizioni straordinarie, nel senso proprio di fuori dall’ordinario.
Il libretto sulla cooperativa è qualcosa di fantastico, perché fotografa in modo essenziale tutto il succo della storia. Interessante al riguardo l’intervento al convegno di sabato 7 settembre di Antonella Mirone. “Nel 1952 nacque il Consorzio di miglioramento olivicolo di Arnasco. L’olivicoltura aveva una importanza centrale, perché la raccolta delle olive – ha affermato la Mirone – consentiva di far sbarcare il lunario delle famiglie. Il Consorzio – ha tenuto a precisare – ha rappresentato la nostra piccola comunità, interessandosi di tutti gli aspetti, dalla lotta alla mosca olearia e di altri parassiti, al miglioramento e sviluppo, e puntando soprattutto su una qualità sempre migliore, in modo da assegnare maggior valore all’olio. Erano parecchi – ricorda la Mirone – i frantoi a sangue presenti ad Arnasco, ben dieci. Il Consorzio ha avuto un ruolo fondamentale perché si credeva in una idea da sviluppare con entusiasmo, portando così a buoni frutti. Tra i vari personaggi dell’epoca c’era don Ubaldo, il più istruito, e la sua presenza fattiva ha consentito al paese di trovare l’aiuto necessario per avere i giusti contatti con le istituzioni. Non fu però tutto rose e fiori – ha chiarito al riguardo Antonella Mirone – ma alla fine il Consorzio raggiunse gli obiettivi che si era proposto. Tutto era disposizione della comunità Il salone veniva utilizzato anche per le feste e per i matrimoni. In seguito si pensò di trasferire l’attività del Consorzio a una cooperativa, anche perché – specifica la Mirone – i fondi del consorzio non erano sufficienti. Da qui allora la soluzione della Cooperativa”.
Il 1984 è stato l’anno della fondazione. Oggi il Consorzio vive ancora, ma di fatto la Cooperativa olivicola di Arnasco ne ha assorbito in pieno le funzioni. Ed è stato un impegno a tutto tondo, come dimostrano i risultati raggiunti. Tante le inziiative, tra cui una serie di premi, per incentivare l’impegno di tutti, e coinvolgere le persone in questo percorso virtuoso. Nacque il Gruppo Amici dell’Olivo, i premi premi Sociolio, in modo da valorizzare il lavoro dei soci, giornate di studio, e poi i Giovedì dell’olivicola. L’Aperolio, tutta una serie di attività per valorizzare tutte le risorse della comunità e aprirla all’esterno. Venne istituito il Premio Gianni Alberti, per perpetuare la memoria di un personaggio che ha contribuito a ideare progetti significativi per tutto il territorio, e poi a partire dal 1990 venne l’idea dei murales incentrati sulla pianta dell’olivo e sull’olio. Ecco in seguito il Premio Arnasca d’Argento, ideato nel 2012, e poi la Scuola dei muretti a secco, ormai diventata una istituzione apprezzata anche a livello internazionale.
Antonella Mirone, ricordando quanto avvenuto in passato, ha voluto rievocare la figura delle olivere, le donne che dal Piemonte arrivavano ad Arnasco per la raccolta delle olive. Ed è stato commovente immaginarle oggi mentre un tempo percorrevano a piedi, con la valigia sulla testa, tutta la distanza che intercorreva tra le due regioni. Un paese a misura di olivo.
C’è molto altro da dire intorno ad Arnasco, ma ci riserviamo di farlo con un altro articolo. Ciò che qui è bene invece far emergere, è questo forte senso della comunità, questo comportamento così esemplare di tutta una popolazione che oggi, a ben riflettere, costituisce un modello virtuoso da prendere in seria considerazione per risollevare le sorti, in questi anni molto incerte, dell’olivicoltura italiana. Risollevare l’olivicoltura a partire da un piccolo comune è la vera sfida da portare avanti. Il caso Arnasco deve diventare un esempio virtuoso da seguire.
In apertura, foto di Olio Officina
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