Un oliveto di 20 mila piante in Inghilterra. Un evento storico
Lo stupore generale si colma di concretezza allo sguardo di una vasta distesa di giovani piante di olivo a Spalding, collocate per volontà e a opera di un imprenditore audace e determinato, David Hoyles, con la regia di un altro impresario agricolo, altrettanto intrepido e risoluto, Pietro Leone, che ne ha seguito gli aspetti tecnici. Le cultivar che hanno trovato qui un nuovo ambiente, sollecitate da un habitat differente da quello originario, cambieranno aspetto e genetica, provocando un cambiamento ereditario che sarà trasmesso alle generazioni successive
Penso al ruolo decisivo e fondamentale che hanno avuto due personaggi fantastici che sembrano usciti da un uovo di Pasqua, con l’effetto sorpresa, suscitando meraviglia e sicuramente anche invidia. Perché ciò che hanno realizzato David Hoyles e Pietro Leone è qualcosa che trascende l’ordinario: si entra dritto nelle complesse e imprevedibili dinamiche della storia. Perché mai si era verificato di assistere alla messa a dimora di ben 20 mila piante di olivo nel Regno Unito. David e Pietro lo hanno fatto, ma non da temerari che vanno incontro alla casualità senza contemplarne prima gli esiti, ma da coraggiosi imprenditori audaci che sono perfettamente consapevoli dei rischi quanto, parimenti, delle opportunità.
Quanto influisce il riscaldamento del clima e quanto invece la follia razionale e ben meditata di un imprenditore agricolo che sa guardare con estrema lucidità e con convinta determinazione al futuro, lo si deve ancora soppesare. Un po’ e un po’, senza alcun dubbio.
La domanda, quanto mai legittima, me la sono posta prima ancora di imbarcarmi a Milano Malpensa in direzione aeroporto di Stansted, alle porte di Londra. A questa illuminante esperienza ero psicologicamente già pronto da tempo, perché informato punto per punto da uno degli artefici di questo miracolo inglese-italiano che ora è divenuto ufficialmente realtà. Pietro Leone sa bene che ho tutta la stima del mondo per la sua capacità di guardare oltre e per il coraggio nell’intraprendere sempre nuove avventure. David invece non lo avevo mai conosciuto, ma da quanto mi era stato riferito la percezione è stata subito propizia di buoni auspici, una sensazione di cui ho avuto conferma conoscendolo e ascoltandolo di persona nel suo regno di oltre 700 ettari: un imprenditore agricolo poliedrico e ricco di colpi di scena. Il clima, il clima. Come è mai possibile coltivare olivi in Inghilterra? Può senza dubbio sorprendere e lasciare perplessi i più scettici, non certo chi, come me, sa bene che l’olivo sta ormai diventando una pianta universale, avendo travalicato già da molto tempo, quanto meno dalla fine dell’Ottocento, i confini del Mediterraneo. Di olivi se ne trovano in effetti in ogni luogo, e ogni volta è sempre una sorpresa, ma questa, credetemi, lo è ancora di più. È l’oliveto più a nord del mondo, per il quale Pietro Leone, forte della sua esperienza pluriennale in materia, è stato chiamato a seguire un progetto che è già storia.
Non è un caso che l’olivo sia ritenuto l’axis mundi per gli islamici. Questa meravigliosa pianta è l’albero cosmico per eccellenza, non solo per i suoi aspetti altamente simbolici, condivisi e accolti da tutti, in ogni continente, ma è proprio per le sue speciali caratteristiche botaniche, costantemente inclini all’adattabilità, a rendere quest’albero ormai familiare ovunque. Quando si dice “pianta rustica”, si intende proprio questo: resilienza, capacità di adattarsi. E così, sia il cambiamento climatico da un lato, sia l’intraprendenza di chi non si ferma allo status quo dall’altro, hanno permesso a questa grande e per nulla illusoria scommessa di realizzarsi e compiere il primo passo. David e Pietro mi hanno permesso di assistere a ciò che non era nemmeno lontanamente immaginabile, prima ancora che prevedibile: piantare olivi, e tanti, in Gran Bretagna, ed esattamente a Spalding – nella contea di Lincolnshire – non è qualcosa che possa essere collocato dalla nostra mente nella sfera dell’ordinario. Siamo in un contesto per certi versi favoloso e mitico, fuori dal comune, distante per clima e cultura dalla civiltà mediterranea. Eppure, accade.
L’esordio sulla scena è avvenuto tra il 29 aprile e il 2 maggio 2024, quando ben 20 mila piante di olivo di differenti varietà sono state interrate nel suolo inglese con la complicità e per merito dell’Oleificio Cericola, che non è solo un oleificio che frange olive per estrarre olio, ma è anche un’entità che racchiude molti altri mondi paralleli, tra i quali l’attività di consegnare oliveti ad alta densità “chiavi in mano”. L’obiettivo cui da tempo anelava David Hoyles è stato possibile conseguirlo in ragione del prezioso apporto di conoscenze e tecniche all’avanguardia dell’imprenditore pugliese Pietro Leone, autore anch’egli di una svolta epocale nella sua Borgo Incoronata, in provincia di Foggia, dove tutti lo davano per matto incorreggibile, nel piantare olivi in una terra che da sempre ha accolto il frumento e che molti ritenevano inadatta alla coltivazione degli olivi. Eppure, è accaduto. E ora tutti provano per lui un misto di ammirazione e tanta invidia. E adesso che esporta il suo background, insorge il fastidio e l’insofferenza verso Pietro Leone, colpevole, in un’Italia olivicola macchiata da un tradizionalismo a oltranza e fine a se stesso, ancorato al passato, con uno sguardo nostalgico al tempo dell’idillio che nessuno ha potuto mai sperimentare perché l’olivicoltura era la scorciatoia per una economia di sussistenza. L’essere pioniere di una nuova olivicoltura – moderna, razionale, efficiente, economicamente sostenibile, e per giunta anche vantaggiosa per l’ambiente può dare fastidio ai tanti soloni, anche accademici, retrogradi nonostante il mondo si avvii verso il progresso, perché sconvolge, scuote e strapazza tutto quella sacca di resistenza così inattuale che è contro una olivicoltura ad alta densità, quella, per intenderci, in cui alla passione si associ pure orgogliosamente il reddito.
Guadagnare con l’olivo si può e non è certo un peccato per il quale provare un senso di colpa. “Il superintensivo”, irrompe senza tanti giri di parole Pietro Leone. Io dico invece “alta densità”, anche perché ci sono tante sfaccettature e declinazioni nella realizzazione degli impianti olivetati, anche se, lo sappiamo bene, “alta densità” è altresì un modo, in Italia, per non destare sospetti e guadagnare il minimo rispetto in una società agricola che si tiene ancora stretto come fosse un valore il concetto di tradizione, tant’è che si parla ben volentieri di Km zero, un baluardo contro ogni integrazione, contro ogni scambio culturale.
La parola innovazione viene utilizzata come un disco rotto senza comprenderne il significato. Tant’è che va di moda dire “tradizione e innovazione”, come se abbinare i due estremi fosse la strada più accettabile. Non capiscono, gli italiani, che il concetto di innovazione gli inglesi lo hanno ben metabolizzato, tanto che per loro la parola innovazione si traduce con disruption. Insomma, energie nuove, discontinuità. E allora, è proprio una benedizione questo viaggio che ho intrapreso con Pietro Leone e i figli Veronica e Michele, tutti con un ruolo ben preciso, nel portare avanti sin dal 2009 questi progetti di innovazione nell’azienda Cericola. Non c’è il figlio Luigi, perché dei Leone è l’unico rimasto in Puglia per la gestione dell’azienda.
David Hoyles ha trovato in Leone, la figura giusta per sperimentare e rischiare come solo gli imprenditori illuminati sanno fare, inseguendo un sogno, accettando le sfide. Con me, a inaugurare l’oliveto di Spalding – il The English Olive Co. – ci sono anche le competenze tecnico-gestionali di Matteo Pazienza, che è il responsabile agronomico della cooperativa OlMaS, acronimo di Olivicoltura e Mandorlicoltura Superintensiva, e di Gianfranco Caserta, stretto collaboratore dei Leone. È stata una festa, ed è stato un piacere relazionarsi con un inglese che sa varcare ogni confine, visto che oltre ai 700 ettari della propria azienda, ne segue 400 in Italia e ben 1000 in Spagna, coltivando di tutto.
Una farm a pieno titolo, quella di Hoyles: efficiente, dinamica, aperta alla progettualità e alle sfide. Sfide che consistono anche nel tenere a bada un territorio che ha bisogno di costanti attenzioni: Spalding e tutte le località dei dintorni sono terre che gli olandesi strapparono al mare per renderle coltivabili. A osservarla oggi la campagna inglese è spettacolare. C’è il dominio assoluto del colore verde. Tutto in questa campagna è lussureggiante, ma quanto impegno, quante energie, quante risorse. Due metri sotto il livello del mare, con due pompaggi di acqua affinché il suolo non venga sommerso. Altro che i consorzi di bonifica in Italia, qui l’acqua viene gestita con grande professionalità, indirizzando le giuste risorse a vantaggio della comunità e dell’ambiente e dell’agricoltura. Nelle sue quattro fattorie David ha vasti serbatoi per contenere l’acqua per quando è necessaria per le piante. Abbiamo visitato il laghetto di 4 ettari e si comprende come essere imprenditori significhi prendersi cura della propria azienda e governarla alla perfezione. David Hoyles ci conduce in auto lungo le strade interne della sua fattoria, con lui il collaboratore di fiducia, Henri, giovanissimo e dagli occhi scintillanti. Sia David, sia Henri hanno questo sguardo magnetico, pronto ad attrarre pensieri, accogliere suggerimenti, esprimendo desiderio di apprendere. Il gruppo di noi sei italiani segue passo dopo passo tutti i filari di olivi. Non è stato semplice portare fino in Inghilterra le piante, la Brexit è stato un duro colpo mortale per il Paese, danneggiando sostanzialmente tutti. Si spera ora nel ritorno nell’Unione europea. Questo è il desiderio di David. È stata pura incoscienza inseguire l’aberrante stoltezza dei sovranisti. Il mondo si ritrova nell’olivo, non si può rinchiudere nel guscio dell’insensatezza. L’olivo ha compiuto viaggi per ogni dove e così oggi, in questo mese di giugno, il 14, abbiamo visto celebrare l’universalità dell’olivo che affratella i popoli e porta saggezza.
L’aspetto della campagna inglese si sta trasformando, compaiono nuove coltivazioni ritenute un tempo inadatte alle temperature e alle condizioni climatiche. Eppure, accade. È la migrazione dei popoli che fa la differenza, migrano le persone, migrano pure le specie vegetali. Ci si aspetta di tutto con il riscaldamento delle temperature terrestri. Nel bene, o nel male, accade qualcosa di nuovo. A tutto c’è una risposta che viene dall’uomo. L’agricoltura è il segno dell’uomo nella natura. I campi coltivati sono l’imprinting degli esseri umani esercitato sull’ambiente. La natura ci domina, ma noi rispondiamo punto per punto, in piena consapevolezza e con le giuste e necessarie strategie. L’agricoltura segna l’ingresso nella civiltà.
La Gran Bretagna d’ora in avanti con il cambiamento climatico in corso di certo si avvantaggerà, per via di un periodo vegetativo più lungo, la presenza di tanta luce che è una benedizione per le piante, inverni più brevi e clementi, godibili primavere che si annunciano in largo anticipo rispetto al passato. In queste terre dove oggi dimorano gli oltre 20 mila olivi di cui non diciamo il nome delle varietà, perché c’è giustamente il massimo riserbo su questo aspetto, almeno fino a quando non ci sarà una produzione di olive consistente. D’altra parte, possiamo ben definirlo un oliveto sperimentale a tutti gli effetti.
L’intenzione iniziale di David Hoyles era di piantare addirittura 50 ettari, ma su indicazione dettata dalla prudente saggezza di Pietro Leone si è optato per una superficie minore, in modo da avere un maggior controllo, riducendo nel contempo i rischi e, semmai, dopo aver verificato quali cultivar si adattino meglio all’ambiente, risultando più soddisfacenti ed efficaci, l’idea di progettare altri oliveti diventa sempre più concreta e facilmente gestibile alla luce dei riscontri in campo. Ora si attendono solo gli esiti, la prima produzione di olive per ricavarci l’olio è prevista fra due anni, ma già Hoyles pianifica una struttura che accolga quanto necessario per allestire frantoio, deposito e locale confezionamento. Tutto sin da ora è sotto controllo. Cellulare in mano, David legge sullo schermo del suo smartphone le esigenze di ogni singola pianta, così da intervenire all’occorrenza. La tecnologia aiuta, le telecamere sono posizionate ovunque, la cabina di pompaggio si può trasferire agevolmente anche laddove si rende più necessaria, l’acqua non manca, viene filtrata portando con sé anche il concime, quando è tempo di nutrire le piante, il clima si è ammansito e il desiderio di avere l’olio e goderne tutta la bontà è tale da far pianificare da qui fino al 2026: si prevedono dalle 2 alle 4 tonnellate di olive per ettaro, e si immaginano 6 mila litri d’olio entro il 2027, e 15 mila litri fra sette anni.
Tutto è pianificato, David mi porge una scheda in formato A4 plastificata, dove sulle due facciate compaiono tutti i dati utili riguardanti l’oliveto, con l’indicazione di tutte le cultivar disposte filare per filare, e poi tanti numeri, per entrare nel dettaglio di ogni singola voce, concepita in prospettiva, progettando proprio come ogni buon imprenditore che si rispetti, non lasciando nulla al caso. Giugno è il mese dalle giornate più lunghe, la luce non manca mai, c’è la bellezza degli olivi, il grande vento che scompiglia i capelli, l’aria buona e sana, tutto sa di futuro. Io sono ottimista, chi lo è di più è proprio David Hoyles, tenace e deciso, certo dei risultati, anche perché la fortuna, si sa, come suggerisce l’antico detto, aiuta sempre gli audaci. È bello vedere gli olivi in fiore a Spalding.
E ora? Tutto procede bene, le piante reagiscono adattandosi al nuovo ambiente. L’olivo, d’altra parte, è un albero che si adatta all’occorrenza. Resisterà? Le piante trovano sempre il modo di sopravvivere alle sollecitazioni ambientali, anche in condizioni sfavorevoli. Le cultivar che hanno trovato un nuovo ambiente in Inghilterra, sollecitate da un habitat differente da quello originario, cambieranno aspetto e genetica, provocando un cambiamento ereditario che sarà trasmesso alle generazioni successive. Non possiamo pensare che le piante siano ignare di ciò che le circonda, sono anzi estremamente consapevoli del mondo intorno a loro e si adattano di conseguenza. L’ambiente conduce inevitabilmente allo sviluppo di caratteristiche adattive, poi, certo, c’è sempre l’imprevedibilità del clima che quando si impone non perdona mai nessuno. Uomini, animali o piante, sono tutti soggetti fragili ancorché si impongano di resistere il più a lungo possibile.
La natura vince facile, ma l’uomo fa la sua parte, imponendo, attraverso la coltivazione, il segno della sua volontà e di dominio sulla natura. Non è un caso che il passaggio dal selvatico al coltivato segni l’ingresso nella civiltà. L’olivastro nella notte dei tempi era solo un cespuglio ingovernabile e solo in seguito, per opera dell’uomo, è stato tramutato in olivo, assumendo così l’attuale forma di albero. L’olivo a distanza di oltre sei mila anni rappresenta la conquista della civiltà da parte dell’uomo: inizia, con esso, la storia. Un oliveto rappresenta una comunità di anime vegetali e per noi, attraverso il mito di Atena, l’olivo ci ricorda la nascita della polis, luogo eletto e privilegiato di cultura, simbolo di permanenza, unità e saldezza. Ben vengano perciò gli olivi in Inghilterra. Le 20 mila e passa piante di olivo che David Hoyles ha introdotto nella sua fattoria a Spalding, con il supporto tecnico di Pietro Leone, entrano di diritto nella storia. Comunque vada, è storia. La fortuna, ne sono certo, aiuta sempre gli audaci.
Le foto, laddove non indicato, sono di English Olive Oil Company
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