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L’affinamento degli aceti

E’ molto importante il giusto contenitore. Il legno è il materiale più indicato. L’aceto ha bisogno di maturare. Le differenze poi si notano, nel profilo sensoriale. C’è tuttavia da prestare la massima attenzione. Dire botte non è sufficiente per sentirsi garantiti in tutto

Luigi Caricato

L’affinamento degli aceti

Una volta prodotto, l’aceto non può essere conservato dove capita. Perché acquisisca un’identità e un profilo sensoriale peculiare, è necessario che giunga a maturazione non solo nel luogo giusto, in una acetaia dalla temperatura ottimale di circa 15 gradi centigradi, ma anche nel contenitore in cui possa esprimere al meglio le sue caratteristiche potenziali e non ancora manifeste. Il legno è senz’altro il materiale più indicato, certamente il più costoso, ma il più appropriato per una corretta maturazione. Il passaggio in legno è soprattutto fondamentale nella prima fase di invecchiamento. La cessione dei costituenti del legno serve ad esaltare le caratteristiche organolettiche del futuro aceto. La differenza la si nota all’assaggio. Ed è una differenza sostanziale.

Dire legno non basta

C’è tutta una cultura nella scelta dei legni da adottare. Nulla viene fatto a caso. Il legno di Slavonia per esempio permette una maturazione degli aceti più celere. E’ una questione di fibre. E non solo il tipo di legno è importante nella scelta della botte, ma anche il trattamento che il legno subisce prima di diventare botte. Occorre infatti che le tavole di legno siano a loro volta invecchiate a lungo e che abbiano il giusto spessore, che non siano esili. L’invecchiamento del legno deve essere protratto per almeno tre anni. La scelta del tipo di legno è anch’essa importante e avviene in base a ciò che il mastro acetaio vuole ottenere, se un prodotto morbido o più aggressivo. Oltre al già citato legno di Slavonia, ci sarebbe il rovere nostrano, o il gelso, il frassino, il ciliegio, il ginepro, il castagno selvatico…

Così scrive al riguardo l’oxologo Renato Bergonzini in L’aceto balsamico (Mundici & Zanetti Editori, 1990): “il gelso, dalla fibra tenera e porosa, per una concentrazione rapida e profumata; il ciliegio, per il raffinato, gradevole e delicato aroma; il rovere, dalla straordinaria longevità per il colore; il frassino, dalla fibra dura e compatta per la perfetta conservazione; il castagno, per l’aiuto che, secondo la tradizione, darebbe alla gradazione; il ginepro, resinoso per l’essenza aromatica di spiccata potenza.

L’importante è che tutto sia ben programmato, sin nei minimi particolari. Perché il legno lascia un’impronta evidente, cedendo sostanze tanniche, glucosidi, quercetina, emilcellulose, lignine e anche sali minerali (calcio, magnesio, ferro, potassio) buoni per conferire sapidità all’aceto, o saponine, che invece intervengono sulla viscosità. Nulla dunque va lasciato al caso.

Con l’affinamento in botte si hanno delle trasformazioni di natura chimico-fisica, biologica ed enzimatica. Da qui la grande preparazione dell’acetiere, che deve essere in grado di interpretare il giusto passaggio in botte e la stessa capienza dei contenitori non è affatto trascurabile. In genere per gli aceti di alta qualità si opta per botti tra i 5 e i 10 ettolitri, per il resto della produzione sono sufficienti passaggi in botti tra i 200 e i 3000 ettolitri, se non addirittura tra i 600 e gli 800 ettolitri.

La botte presenta anche degli svantaggi

Dire botte non è sufficiente per sentirsi garantiti in tutto. E’ importante una corretta gestione delle botti. Occorre poi considerare gli alti costi e il fatto che siano così pochi i mastri bottai in circolazione, fattori che certamente fanno riflettere. Non solo, c’è la difficoltà di pulire bene le botti, là dove si annidano più facilmente i microrganismi patogeni, lungo le pareti e le doghe. Ci vuole inoltre esperienza, l’aceto per esempio va preferibilmente conservato in botti già usate; e quando è comunque inevitabile il ricorso a botti nuove, è bene procedere ad un lavaggio accurato, all’interno, con acqua bollente e sale, quindi successivamente con aceto dalle forti note fruttate, in modo da creare un ambiente d’accoglienza ideale per l’aceto da sottoporre a invecchiamento.

L’invecchiamento

L’aceto non è tutto da invecchiare. Ci sono aceti infatti che necessitano di un periodo breve di maturazione e sono già pronti per l’impiego. Gli aceti dal color paglierino, per esempio, raggiungono presto la giusta stagionatura e maturazione. Quelli bianchi, in genere, possono addirittura essere tranquillamente posti in contenitori metallici, in acciaio inox; meglio comunque se al riparo dall’aria. L’ossigeno dell’aria è infatti importante nel processo di acetificazione, ma dopo l’affinamento, ogni esposizione è alquanto pericolosa per la stabilità stessa degli aceti.

La foto di apertura è di Acetaia Giuseppe Cremonini

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