Cook

Da Chiluzzo alla Kalsa

Un viaggio tanto atteso, nel desiderio di un cannolo di quelli che fanno “resuscitare i morti”, consumato dall’alto di un palazzo, dal cui tetto si vede l’incomparabile panorama di cielo, terra e mare che incornicia la città di Palermo. E poi, come non ricordare il Panino con la P maiuscola, incomparabile e inimitabile, croccante, con lo sgombro e i pezzetti di verdura anch’essi croccanti. Solo che ora, Chiluzzo non mi dirà più: “Professore, il solito?”

Massimo Cocchi

Da Chiluzzo alla Kalsa

Ancora pochi giorni e, se Dio vorrà, sarò a Palermo.

Non torno a Palermo dal 7 di agosto dell’anno scorso, ricordo che un amico, Maurizio, mi venne a prendere all’aeroporto con la sua scassata Multipla, ormai è una consuetudine, finestrini aperti e la possibilità di fumare il mio Pedroni all’anice nell’andare verso Palermo, tutte cose che con la civiltà del taxi non puoi fare.

L’aereo aveva avuto un po’ di ritardo e lui premeva sull’acceleratore perché temeva che non facessi in tempo a comprare la cena che avrei consumato nel magnifico appartamento che un altro caro amico, Giovanni, mi riserva nel “grattacielo” di Piazza Ungheria, e dove mi aspetta Rosario, il custode, con un cannolo di quelli che fanno “resuscitare i morti”, dal cui tetto si vede l’incomparabile panorama di cielo, terra e mare che incornicia la città e dove pulsa la vita in quelle chiassose macchie di colore che sono Ballarò, la Vucciria e il Capo.

Ricordo che dissi a Maurizio di non avere fretta perché volevo fermarmi alla Kalsa da Chiluzzo a mangiare “il panino”, già il Panino con la P maiuscola perché è incomparabile e inimitabile, il pane speciale croccante, lo sgombro e i pezzetti di verdura anche loro croccanti, una fantasia di sapori unica e al solo ricordarlo sento vivo e incalzante nella bocca il piacere di quel momento.

Chiluzzo è un appuntamento fisso del mio arrivo a Palermo per cui durante il viaggio sentivo già quei sapori giungere al palato.

Arrivammo e, con grande delusione, Chiluzzo era già chiuso.

Ma bisogna spendere alcune parole per raccontare il “posto”, arrivi alla Kalsa e, imboccando la larga ma contenuta strada, ti trovi di fronte una magnifica chiesa che chiude, quasi a incorniciarlo, quello spazio che si apre sulla destra e hai la sensazione di entrare in una sorta di casba dove ancora l’osteria ti offre il bicchiere di vino e il ristorantino che sta di fronte manda il profumo del pesce appena messo sulla griglia.

Prima di girare questo angolo trovi Chiluzzo, un bancone che prospice il largo marciapiede e che si allunga all’interno in una sorta di stanza da dove sgorga il profumo delle panelle, delle arancine, delle verdure con la pastella, fritte e croccanti che, come per magia, dalla confusione che regna in quel buco, arrivano al banco e passano sulla carta gialla per la delizia del palato.

Ricordai in quel momento, sovrastato dalla delusione del boccone amaro che avevo inghiottito al posto del solito “panino”, che l’ultima volta avevo regalato a Chiluzzo il libretto che, con brevi note, descriveva Ballarò e parlava anche del famoso panino della Kalsa.

Era molto fiero del regalo e lo sfogliò subito per leggersi fra le righe, come se gli avessi regalato un momento di grande orgoglio e felicità, poi senza neppure che lo chiedessimo preparò il solito cartoccio di panelle, tre arancine, una per ciascuno, Giovanni, Maurizio ed io e i tre famosi panini che gustammo seduti ai tavolini di plastica con le sedie consumate dal tempo.

Era una sorta di rito che si svolgeva in silenzio, un po’ alla Montalbano, mentre si mangiano quelle leccornie non si deve parlare perché il palato potrebbe distrarsi.

Risalimmo in macchina e giunsi a casa dove la “signora” delle pulizie mi aveva fatto trovare un luccicante appartamento e lasciato quel tanto che era sufficiente per aprire lo stomaco ai sapori siciliani, ma non era il panino di Chiluzzo alla Kalsa.

Pochi giorni fa, la mia cara amica Grazia, mi ha inviato un messaggio, lei sa quanto io amassi la consuetudine del “panino alla Kalsa”, dove mi annunciava che non avrei più incontrato “Chiluzzo”.

Già, ho ancora negli occhi la visione di quello sgangherato squarcio di profumi e il 24, quando arriverò a Palermo, forse, troverò ancora il panino allo sgombro, le fumanti panelle, le fantastiche arancine ma Chiluzzo non mi dirà più, Professore, il solito?

Nella foto di apertura, Nino Biondo, detto Chiluzzo, tra i più noti maestri dello street food a Palermo. È morto lo scorso 2 aprile all’età di 88 anni.

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia